Festa di Sant’Antonio da Padova Monastero di Sant’Antonio in Pennabilli,

13 giugno 2014

1Re 19,9.11-16
Sal 26
Mt 5,27-32

Chi non desidera la sapienza e che altro è, se non il gusto, il sapore che rende “salata” ogni azione, ogni parola, ogni rapporto? Se uno trova questo “sapore” che condisce le sue giornate è davvero fortunato. Scettri, troni, ricchezze, gemme di valore inestimabile, oro, salute, bellezza, lucentezza… non sono paragonabili al suo valore, sono tutte cose che non riempiono il cuore. Il cuore, il nostro cuore, vuole molto di più! E’ di questo che oggi ci si dovrebbe preoccupare.
Fuori di metafora: c’è una sapienza che dà senso al nostro vivere; sempre, anche quando prendiamo coscienza della nostra fragilità. Anzi tutto potrebbe venirci a mancare, compreso ciò che sembra dare solidità. Solo se c’è questa sapienza restiamo veramente saldi, ben piantati sulla roccia. «Tutto è vanità», ci insegna il Qoelet; «all’infuori che amare e servire il Signore», ci ripetono i grandi maestri della spiritualità cristiana. Infatti, questa sapienza non è altro che il Verbo di Dio a noi comunicato: «Nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa, mentre la notte era a metà del suo corso, il tuo Verbo è sceso dal trono regale» (Sap 18, 14-15). Allora questa sapienza ha un nome: Gesù! Capisco sant’Antonio che insegnava a “chiedere Dio a Dio”.

Qui, stando in preghiera con voi, nostre sorelle, ci sovviene la testimonianza di Santa Teresa di Lisieux. Non reggeva all’esuberanza dei desideri del suo cuore. Avrebbe voluto essere tutto nella Chiesa, vivere i carismi e i doni di cui San Paolo scriveva nella Lettera ai Corinti: profezia, apostolato, ministero… Fu felice quando trovò la sua vocazione: essere “cuore” dentro la Chiesa. Antonio aveva trovato lo Zenit, il punto d’arrivo del suo cammino. Aveva centrato la sua vocazione: era così libero da sé che Francesco acconsentì alla sua vita accademica; e il suo cuore fu così pieno di Dio da poter attraversare indenne le piazze e le contrade del suo tempo, non meno turbolento del nostro. Antonio ricordava quanto scrive Sant’Isidoro di Siviglia: “L’aquila, dopo aver deposto tre uova nel nido, ne butta fuori una per covarne solo due. Così noi non possiamo alimentare l’amore di Dio, del prossimo e di noi stessi. Il cristiano butta via l’amor proprio”.

Sant’Antonio è caro al popolo perché taumaturgo. Ma perché è taumaturgo? Perché Dio operava insieme a lui e «confermava la Parola con i prodigi che l’accompagnavano» (cfr. Mc 16, 20).
Antonio fu soprattutto missionario. Prima in Marocco (con un viaggio avventuroso) e poi in Europa e nelle nostre terre. Credete fosse più facile la missione in quei tempi? Antonio vive dal 1195 al 1231, tempi duri e, per certi versi, oscuri per la Chiesa e per la società. Come sta un missionario autentico nel proprio tempo e nel proprio contesto? Come “abita” la crisi? Con la coscienza che è mandato e preceduto: «Voi farete cose più grandi di me» (cfr. Gv 1, 50); con l’ardore che gli viene dalla frequentazione costante del giardino nascosto (cura della vita interiore, anima dell’apostolato); con la serenità di chi pone solo in Dio la sua confidenza: «Omnia possum in eo qui me confortat» (Fil 4, 13).

DIRITTO AL FIGLIO O DIRITTO DEL FIGLIO?

ESSERE GENITORI NELL’EPOCA DELLA FECONDAZIONE ASSISTITA

Veglia di Pentecoste

7 giugno 2014

Novafeltria

Gv (7, 37-39)

Siamo qui per vivere un’ora di Cenacolo (il cenacolo è la sala adornata, al piano superiore, nella quale Gesù riunisce gli amici) e qui portiamo tutte le sorelle e i fratelli della nostra Chiesa diocesana. Li consideriamo tutti presenti! Vorremmo che quest’ora non finisse mai…
In questo momento, qui, è la “Domus ecclesiae”: «Come è bello che i fratelli stiano insieme» (Sal 133). E’ utile, è necessario, è bello ritornare al Cenacolo (tutti insieme, pur diversi). E’ utile perché abbiamo di che meditare: il Cenacolo, infatti, ci riporta all’essenziale. Abbiamo gustato la sequenza delle letture, dall’episodio della Torre di Babele fino al grido di Gesù che dice: «Chi ha sete venga a me e beva» (cfr. Gv 7, 37). E’ necessario ritornare al Cenacolo, perché abbiamo la gioia di rinnovare l’incontro che ci emoziona sempre, l’incontro con Gesù Risorto che dice: «Pace a voi»! Bisognerebbe non farne mai l’abitudine, talvolta sembra quasi tutto scontato: entriamo in chiesa e usciamo tali e quali. Invece, questa sera imploro lo Spirito Santo di farci tornare a casa – come diceva il Papa domenica scorsa – “ubriachi di Spirito”. E poi è bello ritornare al Cenacolo, perché questo luogo, questa compagnia di amici, questa fraternità, ci dispongono ad accogliere una nuova effusione di Spirito Santo, Spirito che noi professiamo essere la Terza Divina Persona della Trinità, Dio Amore. Ricorderete tutti quel passaggio degli Atti degli Apostoli in cui viene proposta ad alcuni discepoli questa domanda: «Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?». Gli risposero: «Non abbiamo nemmeno sentito dire che ci sia uno Spirito Santo». «Quale battesimo avete ricevuto?». «Il battesimo di Giovanni» (cfr. At 19, 1-6). La nostra spiritualità, la nostra preghiera, spesso ignora il Dio di Gesù Cristo, che è un Dio Trinità di Persone: la Prima Divina Persona, che noi chiamiamo, con parola umana dolcissima, “Padre”, la Seconda Divina Persona che conosciamo, perché si è fatta uomo ed è venuta in mezzo a noi, Gesù di Nazaret, la Terza Divina Persona, lo Spirito. Una parola equivoca, Spirito. Quando si dice “Spirito” si pensa spesso agli spiriti, a qualcosa di evanescente, invece lo Spirito è parola che sta ad indicare la potenza di Dio, il suo respiro, il suo amore. Noi lo invochiamo qui, dentro il Cenacolo, e consideriamo il clima che lo avvolge attorno e dentro, i personaggi che lo abitano (gli apostoli, le donne, Maria madre-sorella-discepola), lo Spirito Santo Creatore che scende con potenza, Avvocato, Maestro interiore, e poi le porte del cenacolo già spalancate sulla città degli uomini. Il cenacolo è il luogo a cui Gesù riconduce i discepoli, perché vivano intensamente la Pasqua, l’Esodo: è la sala grande e addobbata, al piano superiore, in cui si gusta l’Eucaristia, in cui si fa memoria della lavanda dei piedi e della istituzione del ministero presbiterale, lo spazio nel quale si è compiuto l’evento della Pentecoste. Nel cenacolo Gesù ha pronunciato i discorsi di addio nei quali ha annunciato lo Spirito Santo Persona. Che cosa potevano sapere gli Apostoli dello Spirito Santo? Fu Gesù a rivelarne la presenza, fu Gesù che fece comprendere ai discepoli che l’Antico Testamento tante e tante volte alludeva allo Spirito Santo; dal momento della Creazione: «lo spirito di Dio aleggiava sulle acque» (cfr. Gn 1,2); poi Dio plasma l’uomo, prende la creta come abile vasaio, infonde il suo spirito soffiando nelle narici e l’uomo diventa un essere spirituale. E a seguire tutta la storia della salvezza, in cui lo Spirito guida Israele verso la Terra promessa, prima come nube e poi come fuoco; lo Spirito che scende sui profeti – anzi i profeti stessi diranno che lo Spirito sarà spirito di vita che farà rivivere ossa aride e sostituirà il cuore di pietra con un cuore di carne. Infine Gesù dice: «E’ bene che io me ne vada, altrimenti non verrà a voi lo Spirito» e ci saranno Giovanni, l’amico del cuore, e Maria, la mamma di Gesù, a raccogliere – come rappresentanti di tutti noi – lo Spirito che Gesù dona, lo Spirito che esce dalla spaccatura della sua umanità, da un amore indicibile che non poteva più contenerlo, effuso nel momento del suo grande dolore. Quando poi dirà «ho sete, tutto è consumato» consegnerà lo Spirito al Padre.
Inoltre Gesù, nel cenacolo, ha consegnato ai discepoli il comandamento nuovo, il suo testamento. Dal Cenacolo, apparendo a porte chiuse, inaugura la missione, inviando alle genti gli apostoli equipaggiati dei suoi stessi poteri per la remissione dei peccati. Il Cenacolo ci ripropone l’atmosfera per una intimità profonda; fu là che risuonavano queste parole: «rimanete in me e io in voi … non vi chiamo più servi ma amici» (cfr. Gv 15, 4.15); là c’era stata l’apertura dei cuori: Giovanni che posava il capo sul petto di Gesù, Tommaso che metteva la mano nella ferita del cuore; c’era stata la rivelazione piena: «mostraci il Padre e ci basta» – e Gesù che risponde: «chi vede me vede il Padre» (cfr. Gv 14, 8)…mentre un altro apostolo dirà: «sì, adesso parli apertamente» (cfr. Gv 16, 29).
Sì, il cenacolo prepara alla missione; in esso si vive una trepida attesa. Se paragoniamo la vita cristiana al battito del cuore, il cenacolo rappresenta il primo movimento, la missione fuori del cenacolo il secondo. II sangue viene richiamato al suo centro e poi mandato ad irrorare ogni parte del corpo: momenti diversi e successivi, ma inseparabili in un organismo vivo.
La stessa logica ritroviamo nelle cose della vita: l’alba prepara il pieno giorno, la gestazione la nascita, il fidanzamento il matrimonio, lo studio la professione, l’allenamento la gara …
A dire il vero, ogni persona conosce il suo cenacolo, lo spazio per l’intimità e il raccoglimento, il tempo per il radicamento degli ideali per cui vivere. Non ci sono imprese autenticamente umane che non siano precedute dalla contemplazione. Come non c’è vera comunicazione senza il silenzio. Non possiamo lasciare questo Cenacolo senza avere imparato una virtù di cui non si parla mai – la virtù della solitudine (ben intesa) – una virtù disprezzata perché non conosciuta. Non si tratta della solitudine sofferta o della solitudine che è privazione degli affetti (queste solitudini vanno eliminate o sopportate, se necessario, per la propria crescita), ma di quella creata in noi dalla vita interiore e necessaria alla vita interiore. È la virtù che fa spazio, assicura condizioni, crea capacità di accoglienza, di accumulo e di custodia, come una conca con l’acqua, in cui essa sale pian piano e tracima. E di che cosa se non di amore? Solitudine per amore. Solitudine per l’amore. Solitudine piena d’amore, perché piena di Dio.
La diocesi sta vivendo in questo mese le celebrazioni delle Cresime. Anche la diocesi è un grande Cenacolo. Il vescovo, come gli apostoli, stende le mani e compie il sacramento. I ragazzi completano così l’Iniziazione Cristiana; le famiglie si mobilitano, è un momento importante per loro (per qualcuno è occasione per un felice ritorno, che sia sempre una festa accogliente!); la parrocchia è in festa; i parroci e i catechisti sono pieni di trepidazione e di gioia. I ragazzi – come le volpi di Sansone – sono inviati ad incendiare d’amore i luoghi in cui vivono. Su tutta la diocesi scende la potenza del Signore con la ricchezza dei doni. Allora mi viene da domandare: “Ne siamo consapevoli?”. Davvero: «Un fiume e i suoi ruscelli rallegrano la città di Dio» (cfr. Sal 45). Riprendiamo entusiasmo da quanto accade?
Non cediamo alla tentazione delle lamentele. Il Signore è all’opera: «Io faccio una cosa nuova. Non ve ne accorgete?» (cfr. Is 43, 19).
Con questa fede-certezza si vive assai diversamente la responsabilità del discepolo “nella città degli uomini”. Si va in missione con un animo diverso, positivo: si va a raccontare l’incontro che ha cambiato la nostra vita; si va a riconoscere quanto lo Spirito va facendo prima e molto meglio di noi; si va per un ministero di consolazione. Viviamo tempi difficili. Ma quando mai i tempi sono stati facili? E’ certo che oggi c’è una cultura, un’antropologia, un modo di pensare l’uomo, che sono radicalmente cambiati, che fanno sentire diversamente il rapporto con Dio e le cose dell’anima. La tentazione è quella di rinchiudersi, di viaggiare per nostro conto (è come se i binari del nostro treno fossero convenzionati con altre misure rispetto ai binari del mondo). Allora è facile cadere nella tentazione della strategia della fuga. Gesù invece ha preferito la strategia di ingresso: essere lievito nella pasta, sale sciolto nell’acqua.
Nella nostra Chiesa diocesana vi sono molte associazioni, gruppi e movimenti. Una ricchezza formidabile. Non diremo mai grazie abbastanza. Associazioni, gruppi e movimenti nelle parrocchie, oppure, se si tratta di aggregazioni d’ambiente, accanto alle parrocchie, mai alternative o contro. Associazioni, gruppi e movimenti che hanno il grande pregio di favorire la formazione, con le loro tappe, le verifiche, la comunicazione aperta, lo scambio di esperienze, la vitalità, tutti in relazione tra loro, non in concorrenza. Tutti fedeli al carisma ispiratore, alla propria genialità. Carisma significa dono di Dio per l’utilità di tutti. I carismi appartengono allo Spirito e per questo vanno sottoposti al discernimento della Chiesa.
Vorrei dire grazie in particolare a tutti voi qui presenti, per quello che fate e per quello che siete, per la prossimità che, come laici, sapete esprimere a noi sacerdoti. Insieme al grazie, ripetiamo ora, insieme, il nostro “eccomi”!

Omelia Ascensione del Signore

Carpegna, 1 giugno 2014
At 1,1-11
Sal 46
Ef 1,17-23
Mt 28,16-20

Per tutti è una giornata straordinaria. E’ il giorno dell’Ascensione di Gesù al Cielo.
Gesù, il figlio di Maria e – come si riteneva – del carpentiere di Nazaret è il figlio di Dio fatto uomo. Con l’Ascensione si fa manifesta la sua duplice natura umana – divina. Gesù – come dice la formula di fede che proclamiamo ogni domenica – ora «siede alla destra del Padre». «Mediatore fra Dio e gli uomini – così recita il prefazio – giudice del mondo e Signore dell’universo, non si è separato dalla nostra condizione umana, ma ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena fiducia che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria». Gesù porta in Cielo la nostra umanità, la nostra umanità viene divinizzata. E tutto ciò che fu del nostro Redentore passa nei segni sacramentali (S. Leone Magno). Così il Signore Gesù ci fa suoi per sempre.
Con i sacramenti dell’iniziazione cristiana questi ragazzi toccano con mano il suo amore. Gesù li chiama a seguirlo da persone consapevoli. Ora si accingono a rispondere «sì»; ma non sarà sempre facile essere fedeli. Al fonte battesimale sono state dette su di loro le stesse parole pronunciate su Gesù dal Padre: «Tu sei il Figlio mio»… «tu sei l’amato»… «tu sei motivo della mia gioia». Che cosa c’è di più consolante che avere un Dio per papà? Che cosa c’è di più emozionante che sapersi da lui amati immensamente? E aggiungo: essere motivo della sua gioia!
Lo Spirito Santo scenderà su di loro come profumo (crisma), farà prendere a loro la forma di Gesù e sarà loro forza e loro luce. Potranno contare su di lui nei momenti difficili e nei momenti delle scelte: li assisterà.

Ho parlato del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; è il mistero di Dio Trinità d’Amore. Concetti difficili? Non sono concetti, ma il volto stesso di Dio come ce lo ha presentato Gesù. Dio è amore, relazione di persone; persone che non vivono per sé, ma l’una per l’altra. Quando facciamo il segno della croce e la mano sfiora prima il capo e poi il cuore e le spalle: non facciamo altro che riconoscere che siamo partecipi della vita dei «Tre»; i «Tre» si amano tanto da essere «Uno», e noi «uno» con loro per grazia, perché avvolti dal loro Amore. La vita cristiana non è altro che stare in Gesù, rivolti verso il Padre con quell’infinita fiducia e quell’infinito abbandono che lo Spirito Santo mette in noi. Sono solito dire che il Padre è l’Amante, il Figlio è l’Amato, lo Spirito Santo il Bacio! Sarebbe bello ricordarsi, ogni mattina, che ci siamo svegliati con il Bacio di Dio!

Cose troppo grandi? Eppure Gesù le ha insegnate proprio per noi. Sono la verità della nostra vita e segnano la qualità e lo stile dei nostri rapporti. Alla fine ci verrà chiesto se avremo vissuto sulla terra come si vive in Cielo. La famiglia, lo studio, il lavoro, i vicini di casa… non sono altro che terra da trasformare in Cielo.
Bisogna cominciare subito con la forza dello Spirito Santo.
Intanto viviamo il momento presente con amore e dedizione. Facciamo comunione eucaristica; facciamo comunione con la Parola del Vangelo. Teniamo i contatti con la parrocchia, Chiesa viva e vicina. Se ti sembra di non trovarvi sempre amore, dico: «mettilo tu»!

Solo l’amore crea