Veglia per la vita nascente

Giornata Unitaria AC

“I fatti e i giorni” dal 2 all’8 novembre 2014

Settimana dal 2 all’8 novembre 2014

La settimana s’è aperta nel clima mesto della commemorazione dei defunti: visite al campo santo, famiglie che si ricompongono nel ricordo dei propri cari, momenti di intensa preghiera anche se minacciata – come spesso accade – dall’esteriorità e dal chiacchiericcio. C’è da augurarsi che la consuetudine e la memoria non affoghino la riflessione. Davanti alle tombe infiorate, ma pur sempre testimoni di quanto è breve la nostra vita e fragile la nostra umana condizione, ritorna la domanda severa: “Su che cosa fondo la mia vita? Ho trovato un solido ancoraggio per la barchetta della mia esistenza?”. E poi la domanda totale: “Per chi vivo?”. Molto forte l’intervista rilasciata in questi giorni da mons. Negri, intervista che – come sempre – fa notizia. “La svalutazione della vita – dice l’Arcivescovo – ha portato all’annientamento della morte: di essa o non se ne parlala si eclissa – o si tentano vie artificiose per darne un’immagine che sconfina in qualche convinzione millenarista, reincarnazionista, pseudorazionalista, tutte soluzioni che sono assolutamente inadeguate e affermano – conclude mons. Negri – un fallimento sulla vita prima che sulla morte”.

Prima notizia su tutti telegiornali gli eventi climatici di questi giorni. Il bel paese alle corde: nubi gravide di bombe d’acqua, veri e propri tornadi, frane, alluvioni, crolli di argini e di ponti, città inagibili… Si dà la colpa alla cattiva gestione del territorio, si cercano i responsabili del dissesto idrogeologico; c’è chi denuncia la generale disattenzione verso la natura. Effettivamente c’è poco da stare allegri. Quale futuro per chi abiterà il pianeta se non si trovano rimedi, se non si mette un freno all’uso indiscriminato delle risorse?

La settimana si chiude in casa nostra (precisamente nel territorio del comune di Pennabilli) con un evento che dà speranza. Al grande Parco del Simone e del Simoncello vengono restituite, completamente restaurate, la torre medioevale di Bascio e l’antica chiesa dedicata a san Lorenzo. Si tratta del recupero di due monumenti importanti ridati a nuova bellezza. Il recupero favorirà l’utilizzo dell’uno e dell’altro. La torre è corredata da un importante cantiere archeologico nell’intento di riportare alla luce le strutture interrate della fortificazione permettendo così di fruire nuovamente dell’intera pianta del castello. La chiesa, aperta al culto, offre al pellegrino e al visitatore la possibilità di contemplare l’affresco ritrovato raffigurante una splendida deposizione ed il santo martire Lorenzo. A metà settimana si è riunita la commissione diocesana per i Beni culturali; riunione importante nella quale sono stati approvati altri progetti di restauro. La domanda sottesa è stata la seguente: “Che cosa vogliamo fare di tanta bellezza?”. La bellezza è come un raggio camminando sul quale si arriva a Dio, perché raggio che scende da lui, la bellezza più bella! Ma la bellezza è fragile, chiede custodia e difesa. Parola d’ordine: diligenza!
I beni culturali di cui è dotata la diocesi hanno a che fare con la liturgia e l’evangelizzazione. Si tratta di beni che insieme al valore in sé, da tutti fruibile, hanno una destinazione vitale, carica di significati per il presente. Appartengono ad enti ben precisi ma si può dire che sono – in certo modo – proprietà di un popolo che vede in queste le proprie radici e l’espressione di una viva tradizione. Lo Stato chiede di vigilare: giusto. Non si deve interpretare questa come “pretesa”: la bellezza è un dono per tutti, come la verità e la bontà!

Inaugurazione Bascio

Omelia Commemorazione dei fedeli defunti

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Gattara, 2 novembre 2014

Lc 12,35-40

«Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate». Si parla troppo poco dei Novissimi. Anzi, s’è perduto il significato stesso della parola; parola che indica “le ultime cose” della storia di ognuno e di tutti. Un tempo venivano elencate così: morte, giudizio, inferno, paradiso. Che i Novissimi siano importanti per la vita era ben espresso dall’ammonizione – pezzo forte dei predicatori – memorare novissima tua et non peccabis (traduzione libera: il ricordo dei Novissimi ti terrà lontano dal peccato). Noi preferiamo dire che il discorso sulla fine è in realtà il discorso sul fine che diamo alla vita.

Tutto finisce. E, allora, perché comincia ad esistere? La zanzara come l’aquila, il cespuglio come il cedro del Libano, la capanna come il grattacielo, le cose banali come le sublimi… Il Vangelo racconta dello stupore degli apostoli davanti alla bellezza del tempio di Gerusalemme (cfr Lc 21,3-7). Era una meraviglia: chi veniva dalla provincia non poteva trattenere l’ammirazione. Del resto anche Gesù era assai sensibile alla bellezza (ricordate le sue parole sul monte: Guardate i gigli del campo? cfr. Mt 6,28). Eppure tutto passerà, ribadisce Gesù. Perfino del tempio non resterà pietra su pietra (Lc 21,6). «Tenetevi pronti» (Lc 12,40).

Morte. E ci saranno altri crolli. Crolli cosmici e crolli personali. Siamo fatti di materiali deperibili, a breve o a lunga scadenza che siano. Val la pena pensarci: su che cosa fondo la mia vita? Ho trovato un solido ancoraggio per la barchetta della mia esistenza? Domanda totale: per chi vivo?

Giudizio. Tutto apparirà più chiaro alla fine: sarà un giudizio inequivocabile, ma non dovrò temere se Dio sarà il mio tutto. Egli non lascia nulla d’intentato per unirmi a sé. Persino gli avvenimenti che fan soffrire sono un invito a cercare quello che vale, a procurare amici, a mettere da parte tesori che la ruggine non consuma.

Inferno. Un cuore che non si apre sarà incapace di Dio, come un radar in avaria, sordo ad ogni segnale e opaco persino allo splendore del sole. L’inferno non è altro che la definitiva, ostinata e terribile chiusura all’amore di Dio.

Paradiso. Il paradiso, al contrario, è inesauribile emozione e pienezza: vedremo, ameremo, canteremo. Desiderio colmato, amore senza fine, pienezza che non ha più bisogno di parole: cuore dov’è il nostro tesoro (cfr. Lc 12,34). Questo Vangelo – morte, giudizio, inferno, paradiso – ci fa camminare sul crinale della storia: da un lato il versante oscuro della fine; dall’altro il versante della tenerezza che salva: neppure un capello andrà perduto (cfr Mt 10,30). Questa la missione di Gesù: «che io non perda nulla di quanto il Padre mi ha dato» (Gv 6,39). Missione compiuta (cfr. Gv 17,12; 18,9)!

 

Omelia Solennità di Tutti i Santi

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Cattedrale di Pennabilli, 1 novembre 2014

 
La solennità di Ognissanti e l’annuale commemorazione dei defunti sono una tappa importante nell’anno liturgico e ricorrenze molto sentite dai cristiani.
Siamo invitati dalla liturgia ad una straordinaria esperienza di comunione spirituale: la Chiesa militante (noi in cammino sulla terra), la Chiesa purgante che si prepara con la purificazione all’incontro “faccia a faccia” col Signore, la Chiesa trionfante che gode già della visione beatificante. Non tre Chiese, ma un’unica Chiesa. Un unico corpo, saldissima unità, reciproco scambio. In questi giorni la liturgia non ha pianti, perché ciò di cui fa memoria non è la morte ma la resurrezione; la liturgia non ha lacrime se non asciugate dalla mano di Dio. La Chiesa infatti non pronuncia parole sulla fine, ma sulla vita…
Come si riconosce un santo? Dalla gioia, anzitutto. Il santo è una persona non necessariamente straordinaria, ma straordinariamente centrata sul tesoro che rende la sua vita felice, cioè tutta “unità” e “armonia”: un santo triste è un triste santo!
Ecco le beatitudini! Poveri, miti, puri, affamati, perseguitati… che Gesù chiama “beati”!
Provo a dire qualcosa del mio rapporto coi santi. Da ragazzo ammiravo padre Damiano De Veuster, missionario tra i lebbrosi. In lui, come in altri santi missionari, ammiravo l’aspetto eroico, avventuroso e romantico. Il mio proposito di adolescente era: anch’io voglio essere santo. Ma è pura illusione pensare che la santità sia frutto dei nostri sforzi!
Da giovane mi ha soccorso l’incontro con Teresa di Lisieux, “la mia ragazza” (così la chiamavo). L’ho incontrata nei giorni della disillusione: non riuscivo ad essere santo nonostante gli sforzi sinceri. La santità – concludevo – non è per me. Teresa mi ha insegnato la “piccola via” e le sei “esse”: “Sarò santa se sarò santa subito” – diceva Teresa. Una scoperta: la santità dono da accogliere, dono di Dio seminato in ciascuno di noi.
Molti fra i santi sono giovani. Forse il Signore li porta presto con sé perché hanno raggiunto la maturità? Forse vengono preservati da questo mondo? La cosa finisce per inibire la presentazione dei santi giovani, perché spesso ricordati per la loro sofferenza e la morte prematura, prima che abbiano “gustato la vita”, l’amicizia, l’amore… Ci si spaventa pensando: “Dio mi prende in parola, appena riesco a dirgli che voglio essere suo”. Pregiudizi, luoghi comuni, paure: pensieri da superare.
La santità è per i giovani. Ma è per tutti: la santità rende giovani, perché porta a vivere gli aspetti più belli e caratteristici della giovinezza. Queste le qualità dei giovani: la generosità come assenza di calcolo; la totalitarietà: tutto o niente!; l’audacia dei grandi progetti: sono leggeri, senza troppe sovrastrutture e si incamminano più facilmente verso “i sogni” (nota sul sogno: una certa scuola di pensiero afferma che il sogno fa emergere il passato che è stato rimosso, passato che l’assenza di censure fa affiorare; secondo un’altra scuola il sogno è una risorsa aperta al futuro, è immaginazione verso una realtà nuova, è il principio della speranza).
Nella mia esperienza di postulatore ho notato lo stupore dei contemporanei e dei vicini scettici sulla santità dei candidati (troppo normali!); la scia di persone accanto ai santi: c’è un fascino che attrae e coinvolge (la santità è un fatto comune); la santità è Gesù tra noi: nella Chiesa, nella Parola, nei sacramenti, nel servizio amorevole.
Ho conosciuto dei santi “vivi”: quanti! Non sono proclamati tali perché ancora in cammino. Santi col Vangelo nel cuore, gente che scopre che “c’è più gioia a dare che a ricevere”, che nonostante la loro piccolezza sono “sale e luce”…

“I fatti e i giorni” dal 26 ottobre al 1 novembre 2014

Settimana dal 26 ottobre al 1 novembre 2014

Renzi si fa sentire in Europa, mentre in casa nostra si alzano le urla degli operai di Terni e la polizia è costretta ad arginare energicamente la rabbia dei manifestanti. A dir il vero di rabbia ne hanno tanta tutti gli italiani per il lavoro che non c’è. Come uscire dalla crisi? Come restituire speranza ai giovani? E che dire dei cinquantenni che perdono il posto? È lo sfondo della nostra preghiera di questi giorni. Nonostante la preoccupazione, tutto scorre in una apparente normalità: ci si adatta. “Altrove è peggio”, qualcuno sussurra. Ma è una magra consolazione. È necessario reagire, fare il possibile.

Nel quotidiano della vita ecclesiale intanto si moltiplicano iniziative culturali (riflessioni post-sinodo, interessante due giorni di studio organizzata dall’associazione degli storici romagnoli, presentazione del nuovo libro su papa Francesco); iniziative caritative (ma su queste è bene tenere il riserbo); iniziative di formazione (sono ripartiti alla grande gli Uffici pastorali: pastorale giovanile, pastorale vocazionale, pastorale sanitaria, pastorale famigliare, pastorale liturgica, pastorale missionaria, ecc.).
I movimenti, i gruppi e l’Azione Cattolica sono in splendida forma.

A metà settimana il Vescovo, insieme ad una delegazione diocesana, a Cracovia ha ritirato dalle mani del Cardinale Stanilaw Dziwisz una reliquia con il sangue di San Giovanni Paolo II; reliquia che verrà conservata dalla diocesi fino alla prossima Giornata diocesana della gioventù, quando sarà consegnata ai giovani che parteciperanno all’evento. La delegazione diocesana ha visitato il Museo dedicato al santo pontefice nella quale si può ammirare una serie di immagini raffiguranti il suo viaggio sul Titano nel 1982. L’iniziativa sottolinea il legame che unisce la nostra diocesi a San Giovanni Paolo II. La “reliquia” più vera sono le sue tredici encicliche, il suo magistero e la sua straordinaria testimonianza.

La comunità diocesana ha ricordato all’inizio della settimana la partenza di un’altra monaca: suor Maria Caterina, clarissa di Sant’Agata. Quanti angeli abbiamo nel Cielo!