Omelia della XXIII Domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Santa Maria d’Antico, 6 settembre 2015

Is 35,4-7
Sal 145
Gc 2,1-5
Mc 7,31-37

Chiedo venia per il tono un po’ autobiografico e simbolico di questo commento al vangelo (un tono del genere lo si ritrova in alcuni commenti patristici ben più autorevoli). Tuttavia più di un ascoltatore si ritroverà nella mia esperienza…
Ho trovato in questa pagina di vangelo l’antidoto per la mia povertà di parola: consiste nell’avere un cuore che sa ascoltare: lo chiedo al Signore. A volte, infatti, faccio l’esperienza di non sapere che cosa dire. Non solo al microfono, ma anche nei colloqui confidenziali. Sono un po’ come il sordomuto: non parlo perché non “sento”, non ascolto col cuore. C’è silenzio e silenzio… Qui alludo al silenzio imbarazzato e troppo presto riempito da “parole di circostanza” allorché non so fare “il vuoto” e non so entrare nel mondo dell’altro. “Non c’è tempo”, “ho in testa altro”… scuse! Gesù guarisce il sordomuto. Fa così: lo porta fuori dalla folla e dalla confusione. Stabilisce un rapporto personale, a tu per tu. Gli accarezza orecchi e bocca. Tutto avviene con un contatto corporeo: il Vangelo parla di saliva, dita della mano, orecchi, bocca… C’è un coinvolgimento empatico: sospiro, sguardo verso l’alto, grido. «Effatà!»: non è una formula magica come fa pensare il suono misterioso della parola, ma trascrizione dell’imperativo aramaico: «apriti!». L’effetto è immediato. Quell’uomo si mette a parlare correttamente. E’ stato restituito alla relazione. Gesù ha debellato una patologia, ma soprattutto ha abilitato un discepolo alla comunicazione, insegnandogli i passaggi necessari per il cammino più importante della vita. Di quel sordomuto guarito non si è saputo più nulla: non il nome, non la professione, non le frequentazioni. L’immagino, dopo quel fortunato incontro, uomo di rapporti profondi: Gesù gli ha insegnato ad ascoltare. Ad ascoltare col cuore. Lo penso desideroso di trattare gli altri come Gesù ha trattato lui. L’immagino missionario: capace di prendere la parola nella quotidiana trama dei rapporti e incapace di tacere davanti all’ingiustizia che colpisce i compagni di viaggio. L’immagino aperto: «Parla, sento!»… aperto verso il suo prossimo. Aperto verso il mistero di Dio che si è fatto visibile e corporeo in Gesù di Nazaret. Oso una domanda all’anonimo discepolo guarito: «Chissà com’era il sapore della saliva di Gesù…». Mi risponde sorridendo: «Quel sapore non l’ho più dimenticato, ma lo ritrovo ogni volta che mi accosto ai sacramenti. Soprattutto nel dolce sapore del Pane eucaristico».