Omelia XVI Domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Marta e Maria, le due sorelle di Betania, rappresentano l’itinerario di ogni credente che passa dall’affanno per ciò che deve fare per il Signore, allo stupore per ciò che Dio fa per lui o, se vogliamo, dal Dio come dovere al Dio come desiderio.
In questo grazioso quadretto che l’evangelista Luca ci descrive, Gesù ci appare come un cultore dell’amicizia; non cerca servitori, ma amici. Durante l’ultima cena dirà: Non vi chiamo più servi ma amici… Maria l’ha capito e, benché seduta, si è messa in cammino. Si tratta di un cammino interiore; ecco le tappe: dal faccia a faccia, al tu per tu, fino al cuore a cuore.
L’amicizia domanda vicinanza; Gesù reclama attenzioni, gratitudine e … baci. L’ha detto chiaramente a Simone, suo ospite, quando, al banchetto a cui ha invitato il Maestro, irrompe la peccatrice: Tu non mi hai dato il bacio, questa donna non smette di baciarmi i piedi. Al lebbroso guarito che torna a ringraziare, Gesù dice: Non sono dieci quelli che ho sanato; dove sono gli altri nove? Nella tremenda notte del Getzemani protesterà: Dunque non siete capaci di stare svegli e di regalarmi un’ora di compagnia?
Dunque, si potrebbe dire, più importante del «fare per Gesù» è lo «stare con Lui»; anzi, lasciarsi guardare, lasciarsi amare.
Maria, l’amica, l’ascolta stupefatta. “Sa incantarsi – scrive un commentatore – come fosse la prima volta. Tutti conosciamo il miracolo della prima volta. Poi ci si abitua… L’eternità invece è non abituarsi, è il miracolo della prima volta che si ripete sempre” (E. Ronchi).
A Marta, l’ancella, Gesù dice: Marta, Marta tu ti affanni per troppe cose. Gesù non contraddice il servizio, ma l’affanno; non il desiderio, ma la dispersione dei desideri. La sola cosa urgente è non vivere senza mistero, non vivere senza relazioni amorose.
Marta e Maria non si oppongono, i loro atteggiamenti sono complementari. Qualcuno legge l’episodio contrapponendo le due figure e i due modi di vivere il discepolato: azione, contemplazione. Non è questo l’intento di Luca. Infatti che cosa fa Maria quando si alza? E che cosa fa Marta quando si siede? Marta non può fare a meno di Maria, perché il servizio zampilla da una sorgente, l’unica che fa grande il cuore. Maria non può fare a meno di Marta, perché non c’è amore di Dio che non si traduca in gesti concreti. L’amica e l’ancella sono due modi d’amare, entrambi necessari. Coessenziali.
Beati quelli che ascoltano la Parola, beati quelli che la mettono in pratica!

Assemblea diocesana di verifica

Assemblea diocesana di fine anno pastorale “Un pomeriggio di Magnificat”

Una Chiesa che si incontra è sempre una risorsa per ogni uomo. Per questo ci rivolgiamo a tutti coloro che hanno a cuore la qualità della vita nel nostro territorio per scoprire quanto i cristiani possono dare agli uomini loro fratelli.

  1. Sabato 11 giugno 2016 si terrà a Pennabilli l’Assemblea diocesana per «un momento di “verifica” del nostro cammino come Chiesa diocesana, alla luce dei tre punti di impegno evidenziati dal Vescovo nel Programma pastorale di inizio anno:

La misericordia

L’accoglienza

Nuovi stili di annuncio (espressione della capacità generativa della Chiesa, opera congiunta della comunità cristiana e della famiglia);

  1. Un secondo intendimento è rappresentato dalla volontà di far conoscere maggiormente la Diocesi e conoscerci meglio tra noi;
  2. Un terzo obiettivo è il desiderio di dar lode al Signore per le cose belle che ha compiuto nella nostra comunità durante l’anno pastorale che sta per concludersi».

Anche e particolarmente in una società pluralistica e parzialmente scristianizzata, la Chiesa è chiamata a operare, con umile coraggio e piena fiducia nel Signore, affinché la fede cristiana abbia, o recuperi, un ruolo-guida e un’efficacia trainante, nel cammino verso il futuro [Giovanni Paolo II al Convegno ecclesiale di Loreto].

Esorto tutti i fedeli ad essere come fermento nel mondo, mostrandovi sia nel Montefeltro che a San Marino cristiani presenti, intraprendenti e coerenti [Benedetto XVI durante la s. Messa allo stadio di Serravalle – RSM].

Ma la Chiesa sappia anche dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all’interno del dibattito pubblico: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune. I credenti sono cittadini. E lo dico qui a Firenze, dove arte, fede e cittadinanza si sono sempre composte in un equilibrio dinamico tra denuncia e proposta [Francesco al Convegno ecclesiale di Firenze].
Rispondiamo all’invito dei sommi pontefici rivolti all’Italia intera e in particolare a San Marino per riprendere, con tutti i fedeli della Diocesi e di fronte a tutti gli uomini, l’esperienza vissuta in questo anno pastorale.

L’invito è rivolto a tutti i fedeli, in particolare agli operatori pastorali della Diocesi.

Questo il PROGRAMMA

– ore 15.00: accoglienza in Cattedrale, preghiera, saluto del Vescovo
– ore 15.20: proiezione di un filmato con le immagini più belle delle attività diocesane realizzate durante l’anno
– ore 15.35: introduzione ai temi dell’Assemblea e ascolto di alcune brevi esperienze
– ore 16.00: suddivisione in piccoli gruppi di lavoro, guidati da un moderatore
– ore 17.15: ritorno in Cattedrale per una preghiera di lode
– ore 18.00: conclusione

Ufficio Stampa
Diocesi di San Marino-Montefeltro

Omelia VI Domenica di Pasqua

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Petrella Guidi (Chiesa del Castello), 1 maggio 2016

At 15,1-2.22-29
Sal 66
Ap 21,10-14.22-23
Gv 14,23-29

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola».

Oggi ci viene data l’opportunità di meditare alcune frasi dai discorsi di addio, i discorsi che Gesù tiene agli apostoli durante l’ultima cena. Si tratta di parole dolcissime, tutte intonate ad un sentimento di amore. Amore che Gesù reclama dagli amici; amore che egli offre. Sono parole consolanti anche per noi che oggi le leggiamo come fosse la prima volta.
In quasi tutto il Vangelo ritorna l’invito a dimorare con Gesù maestro, amico, signore. In questi giorni ho avuto modo di sviluppare la ricchezza tematica del verbo giovanneo rimanere, verbo usato con frequenza soprattutto dall’evangelista Giovanni e che sta come parola chiave. Ad esempio nel racconto della chiamata dei primi due apostoli, Andrea e Giovanni, si dice di loro che, assecondando l’invito del maestro (Venite e vedrete) rimasero con lui tutto quel giorno, inizio di infiniti altri giorni. Ho identificato in quel verbo la fondamentale proposta di Gesù che sceglie e chiama i Dodici perché rimangano con lui e poi per inviarli a predicare. Rimanente in me è, poi, l’invito appassionato di Gesù nei discorsi di addio. C’è dunque il rimanere di chi condivide spazi e tempi, di chi dimora fisicamente presso l’ospite. Ma non è propriamente a questo che si riferisce Gesù. Gesù, anzi, si sottrae alla Maddalena che, nel mattino di Pasqua, vorrebbe stringerlo a sé. Altro lo spessore del rimanere in lui. C’è il rimanere saldo del discepolo negli insegnamenti del Maestro: fare delle sue Parole la forma stessa della propria vita (in un crescendo di sfumature: in-formarsi, tras-formarsi, con-formarsi, uni-formarsi…). Più dello stare in uno spazio seppur sacro, più dell’abbracciare la disciplina e l’esemplarità del maestro, il rimanere di cui parla Gesù consiste in una immanenza vitale, un essere pervasi della sua stessa vita, linfa che discende da lui. Di più: non staccarsi mai da Colui che è la vite vera. L’apostolo Pietro scriverà ai primi cristiani: siete partecipi della natura divina! (cfr 2Pt 1,4).

«Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui».

Il Vangelo ci ricolma di stupore quando, dopo averci condotto sin qui, annuncia la volontà di Dio di prendere lui stesso dimora presso di noi per rimanere in ciascuno! Prendere coscienza che si vive dell’Amore e del Respiro di Dio, è la cosa più bella, più utile e più necessaria che vi sia. Allora prende luce e pienezza di senso tutta la vita. Tutto quello che tu fai è come se il Signore agisse per mezzo tuo. Tu sei abitato dal Signore.
Ho visto luccicare gli occhi dei miei piccoli amici che si preparano alla Prima Comunione, quando hanno saputo che realmente Gesù verrà ad abitare in loro e che loro saranno il suo tabernacolo vivente. Andare in mezzo al mondo con questa convinzione sarà per loro e per tutti noi tutt’altra cosa!
Leggiamo allora il Vangelo in questa prospettiva, prima l’emozionante chiamata ad abitare presso il Signore, e poi la sorprendente notizia: lui stesso prende dimora in noi. Noi cielo di Dio!

Per un nuovo umanesimo del lavoro. SI’, MA INSIEME.

Domenica 1° maggio 1955 papa Pio XII istituì la festa liturgica di san Giuseppe lavoratore, dando una prospettiva religiosa alla giornata del 1° maggio la cui origine risaliva al 1890, anno in cui i lavoratori di vari paesi per la prima volta chiedevano pubblicamente condizioni di lavoro più eque. La Chiesa volle illuminare questa festa con l’esemplarità di san Giuseppe, affidando ogni uomo che lavora alla custodia dell’umile artigiano di Nazareth, che «impersona presso Dio e la Santa Chiesa la dignità del lavoratore» (Pio XII).

Oggi purtroppo il dato prevalente è che il lavoro manca, con la conseguenza che sempre più persone, impaurite dalla prospettiva di perderlo o di non trovarlo, condividono l’idea che nulla sia più come è stato finora: dignità, diritti, salute finiscono così in secondo piano. E’ diffusa la “incapacità di fermarci e tendere la mano a chi è rimasto indietro. Intimoriti e atterriti da un mondo che non offre certezze, scivoliamo nel disinteresse per il destino dei nostri fratelli e così facendo perdiamo la nostra umanità, divenendo individui che esistono senza trascendenza e senza legami sociali… Oggi più che mai c’è quindi bisogno di educare al lavoro… Il lavoro deve tornare a essere luogo umanizzante, uno spazio nel quale comprendiamo il nostro compito di cristiani, entrando in relazione profonda con Dio, con noi stessi, con i nostri fratelli e con il creato” (Vescovi italiani per il 1° maggio 2016).

Per costruire un futuro in cui il lavoro contribuisca a creare una società più giusta e vicina ai bisogni dell’uomo, Papa Francesco ci invita a “FARE INSIEME”: “Come sarebbe diversa la nostra vita se imparassimo davvero, giorno per giorno, a lavorare, a pensare, a costruire insieme! … “fare insieme” significa investire in progetti che sappiano coinvolgere soggetti spesso dimenticati o trascurati. Tra questi, anzitutto, le famiglie, focolai di umanità… le categorie più deboli e marginalizzate, come gli anziani, … i giovani, prigionieri della precarietà…Tutte queste forze, insieme, possono fare la differenza per un’impresa che metta al centro la persona, la qualità delle sue relazioni, la verità del suo impegno a costruire un mondo più giusto, un mondo davvero di tutti. “Fare insieme” vuol dire, infatti, impostare il lavoro non sul genio solitario di un individuo, ma sulla collaborazione di molti… Al centro di ogni impresa vi sia dunque l’uomo: non quello astratto, ideale, teorico, ma quello concreto, con i suoi sogni, le sue necessità, le sue speranze, le sue fatiche…Dinanzi a tante barriere di ingiustizia, di solitudine, di sfiducia e di sospetto… il mondo del lavoro è chiamato a fare passi coraggiosi perché “trovarsi e fare insieme” non sia solo uno slogan, ma un programma per il presente e il futuro.” (Papa Francesco agli imprenditori italiani, 2016)

 

Omelia V Domenica di Pasqua

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Domagnano, 23 aprile 2016
At 14,21-27
Sal 144
Ap 21,1-5
Gv 13,31-35
Molti hanno nostalgia di una comunità che sia veramente fraterna, nella quale ci si senta amati e seguiti anche nei passaggi difficili che talvolta impongono inevitabile lontananza. Ci si lamenta quando non c’è attenzione, amore, coerenza… Un amico mi confidava in questi giorni la gioia per aver trovato, finalmente, quello che cercava nel clima fraterno di una comunità evangelica protestante. Pur nel rispetto della decisione, ho manifestato il mio dispiacere, non tanto per la sua scelta, quanto per la sua delusione nei nostri confronti. E’ soltanto un sogno fare della parrocchia una comunità fraterna? Ascoltiamo il Vangelo. Ci parla di una notte sorprendente…Notte di straordinari contrasti: tradimento e amore, oscurità e luce. «Quando Giuda fu uscito dal cenacolo, Gesù disse: ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato…». Poi continua: «Vi dò un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri». Giuda esce di scena. E’ stato oggetto di una infinita tenerezza da parte di Gesù: immagina lo sguardo di Gesù verso Giuda mentre, in ginocchio, gli lava i piedi, mentre gli porge il primo boccone… Adesso Gesù può parlare, ancor più a ragione, dell’amore! E’ in questo contesto, infatti, che dona il comandamento nuovo. Perché “nuovo” se da sempre e dovunque uomini e donne amano? E molti amano in modo stupendo. Perché comandare l’amore? Un amore forzato che amore è? In realtà non è un comando, è di più: indica il destino di tutti. Siamo chiamati ad amare perché così fa Dio. L’amore è il nostro DNA. Amare tutti, senza alcun aggettivo qualificativo: simpatici o antipatici, giusti o ingiusti, ricchi o poveri, prossimi o lontani… Amare come Gesù ama. Ma chi potrà amare come lui, del cui amore è stata proclamata la lunghezza, l’altezza, la profondità (Ef 3,18)? Gesù lava i piedi ai discepoli, si rivolge a Giuda chiamandolo amico, prega per chi lo uccide, piange per l’amico sepolto da giorni, gioisce per il nardo profumato dell’amica, si china su chi soffre… Riprendi in mano il Vangelo e ricomponi le tessere di come ha amato Gesù, e poi ricomincia ad amare. E se non trovi amore, metti amore. Gesù non vuole essere un maestro solitario, al centro delle sue immense parole. Dagli angoli più nascosti e insospettabili suscita discepoli che osano d’essere come lui, dimentichi di sè.

 

Omelia IV Domenica di Pasqua

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Domenica del Buon Pastore
Gualdicciolo (RSM), 17 aprile 2016
 

At 13,14.43-52
Sal 99
Ap 7,9.14-17
Gv 10,27-30

 

Ogni anno alla quarta domenica di Pasqua si legge un brano del Vangelo nel quale Gesù si presenta come Buon Pastore. In questa domenica detta «del Buon Pastore», si fanno preghiere per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. La scarsità delle vocazioni è motivo di grande preoccupazione per la Chiesa italiana e per la nostra Diocesi. In realtà il Signore non smette di chiamare. Non si è certamente dimenticato della sua Chiesa e lo Spirito suscita nuovi apostoli per il nostro tempo.
Il problema allora è un altro: sappiamo accogliere le vocazioni? Sappiamo coltivarle? Ci accorgiamo delle nuove forme vocazionali che il Signore va suscitando come il diaconato, come le testimonianze forti di frontiera? In fatto di vocazioni la Chiesa è chiamata, oggi più che in altri tempi, a dare prova di coraggiosa fantasia nel dare risposte al Signore che chiama; eccone un esempio: gli Atti degli Apostoli ci raccontano di Paolo e Barnaba che, rifiutati dai connazionali, si rivolsero ai pagani, aprendo così, nuove frontiere all’evangelizzazione. Una situazione di crisi si è trasformata in nuova chance.
Le vocazioni nella Chiesa sono “affare” di tutti. E’ sbagliato pensare sia un problema degli altri: «E’ un impegno della gerarchia» – si dice – «E’ una sfida per gli operatori pastorali specializzati». Non è evangelico pregare così: «Signore, manda operai nella tua vigna: manda altri, non me. Una comunità senza vocazioni è come una famiglia senza figli. Un sogno: che la nostra diocesi abbia vocazioni, tutte quelle che sono necessarie e che ne abbia da donare alla Chiesa tutta; che sia una comunità che prega (la preghiera è ascolto e accoglienza); una comunità che chiama (non solo in paziente attesa ma anche capace di proposte coraggiose); una comunità missionaria dove la domanda non è: «dove andare ma «che cosa posso fare là dove sono?». La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni è un invito a riflettere sulla Speranza, un tesoro fragile e raro; il suo fuoco è sovente tenue anche nel cuore dei credenti. Abbiamo bisogno di una grande riserva di Speranza, con l’annuncio di un orizzonte luminoso verso cui insieme proiettarci.
L’immaginetta con la preghiera per le vocazioni che ci verrà consegnata e adagiata sul palmo della mano ha il valore di un mandato: «Ricordati ogni giorno di pregare perché tutti sappiamo rispondere con un generoso e pieno alla chiamata del Signore».

 

Messaggio del Vescovo per la Giornata Mondiale per le vocazioni

Che cosa vuol dire pregare per le vocazioni?

1. La preghiera per le vocazioni è una preghiera di lode. Lode perché il Signore rompe il silenzio. C’è un silenzio che avvolge il cosmo e avvolge le nostre vite inquiete, assetate di senso. Ebbene, il Signore parla con il suo silenzio e chiama. Ma, soprattutto, il Signore parla attraverso il Figlio suo, Gesù Cristo, crocifisso. Il Crocifisso è il libro aperto – che si può sfogliare – dove troviamo la parlata di Dio..

2. La preghiera per le vocazioni è una preghiera per la felicità. Ognuno di noi è voluto, desiderato, pensato, amato, creato da Dio. Considerare ciò, suscita dentro di noi un brivido di felicità. La preghiera per le vocazioni è una preghiera per la felicità, perché impariamo quanto siamo preziosi e quanto siamo servibili. Di per sé, il discorso vocazionale non è per l’autorealizzazione: è autorealizzato Gesù sulla croce? È autorealizzato padre Damiano De Veuster, apostolo dei lebbrosi a Molocai?
La preghiera per le vocazioni è una preghiera per la felicità, perché il Signore ha detto: «Non vi chiamo più servi ma amici… perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena»(Gv 15,15; Gv 15,11). Dobbiamo, allora, trovare il nostro posto a servizio.

3. La preghiera per le vocazioni è una preghiera per la Chiesa. Perché noi, uniti insieme, in tutte le componenti (sacerdoti, religiosi e religiose, famiglie, bambini, giovani e adulti), siamo testimoni che la Chiesa è un popolo di chiamati, che la Chiesa è chiamata ad essere segno e strumento dell’unione degli uomini con Dio e degli uomini fra loro: lumen gentium. La preghiera per le vocazioni è anche preghiera per la Chiesa, perché la Chiesa, al suo interno, ha bisogno di tanti servizi, ha bisogno della edificazione reciproca.

Rendiamo grazie al Signore contemplando il versetto bellissimo del cap. 3 di Giovanni, in cui Gesù rivela che Dio dona lo Spirito “senza misura”. Ciò è vero anche oggi: non è possibile, allora, che il Signore centellini le vocazioni.
Nella nostra preghiera non può mancare il battersi il petto per la nostra sordità e per il nostro scarso impegno di animazione vocazionale.
Davanti a Gesù Eucaristia prendiamo questa risoluzione, di parlare bene di vocazioni, con queste tonalità: di lode, di felicità e di ecclesialità.

+ Vescovo Andrea

Messaggio del Vescovo all’incontro di solidarietà di San Marino for the children

Pennabilli, 14 aprile 2016

Carissimi amici,
sono con voi in questo appuntamento d’amicizia e di solidarietà con una parola di apprezzamento e – se ce ne fosse bisogno – di incoraggiamento.
Mi ha colpito questo proverbio africano che si rifà ad una sapienza antica, anzi perenne: «Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio». Siamo tutti parte – ognuno secondo le proprie possibilità – di questo villaggio. La lontananza geografica non sminuisce le responsabilità.
I progetti di “San Marino for the children” ci coinvolgono e chiedono, anzitutto, una riflessione, poi, la maturazione di uno stile di vita coerente coi valori di solidarietà che professiamo.
«Pueris debetur maxima reverentia»: è un detto che ci riporta a quel continente delicato, fragile e preziosissimo che è il mondo dell’infanzia.
Voglio riprendere alcune parole del Signore Gesù sui bambini: «È inevitabile che vengano scandali, ma guai a colui a causa del quale vengono. È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli» (Lc 17,1-2). Se questo detto incombe minaccioso contro ogni forma di violenza fisica e morale, quest’altro detto ci sprona alla generosità: «Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa» (Mt 10,42).
Concludo con una preghiera che mi è cara: «Signore, che io sappia accettare il rischio di spalancare le braccia: così creerò spazio in me, ma per l’altro. Le mie braccia aperte, Signore, dicono il mio desiderio di non restare solo ed il mio invito perché l’altro si senta a casa sua in casa mia. Nello scambievole abbraccio nessuno resterà intatto perché ognuno arricchirà l’altro e ambedue resteranno se stessi».
Un caro saluto a tutti e un ringraziamento particolare al Vicario Generale della diocesi di San Marino-Montefeltro, Mons. Elio Ciccioni, per la disponibilità a rappresentarmi all’incontro di questa sera.

Omelia III Domenica di Pasqua

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Uffogliano, 9 aprile 2016 – Faetano RSM, 10 aprile 2016

Un gruppo di apostoli, dopo tre anni con Gesù, è tornato alla propria casa, alle barche e alle reti. Quelli che erano del gruppo di Gesù, sono tornati sulle rive del lago a pescare. Pietro non si è riavuto completamente dal triplice rinnegamento, dal suo venerdì santo. Sta nudo sulla barca come Adamo davanti al suo peccato. Gli apostoli non riconoscono Gesù sulla riva; non è una questione di distanza o di nebbia mattutina. Semmai di lontananza del cuore “lento a credere”.
Anche a noi, come a Pietro e agli altri, succede di restare bloccati sotto il peso di un fallimento, di un errore o di penare, senza vedere risultati tangibili, per il nostro impegno ecclesiale o sociale, per il nostro impegno famigliare (può succedere, ad esempio, di vedere lo svaporare della tenerezza, il progressivo allontanarsi di un figlio, ecc.). E’ notte. La barca è vuota. Il racconto evangelico ci riferisce di Giovanni che sa vedere con gli occhi della fede il prodigio della rete piena di pesci, è lo stesso apostolo che “vide la tomba vuota e credette”. Giovanni riconosce Gesù e lo fa riconoscere agli altri: «E’ il Signore!». Allora tutto cambia. Cambia il cuore degli apostoli. La luce succede alla notte. La presenza all’assenza.
Questa settimana ci proponiamo una più intensa vita sacramentale: considerare l’importanza dei sacramenti, riceverli, creare le condizioni per una fruttuosa recezione, conservarne la grazia. E’ il modo più concreto di vivere la Pasqua. I sacramenti sono segni efficaci della presenza di Gesù risorto: nel Battesimo ci fa suoi; nella Cresima dona lo Spirito “senza misura”; nella Confessione il perdono; nell’Eucaristia se stesso come nutrimento; nel Matrimonio e nell’Ordine la chiamata al dono di sé; nella santa Unzione la guarigione. Tutto ciò che fu visibile del nostro Redentore è passato nei segni sacramentali. Nelle domeniche del tempo pasquale la parrocchia vive con gioia le tappe dell’iniziazione cristiana dei più piccoli: un cammino che riguarda tutti. Tutta la comunità è coinvolta: la generazione di nuovi cristiani è affare di tutti!

Propongo la meditazione dei versetti finali dell’apparizione del Risorto sul lago di Galilea che riportano il dialogo fra Gesù e Pietro (tra le pagine più belle del quarto vangelo). Suggerisco due piste. La prima. Gesù è risorto; ha attraversato l’oscura valle della morte che tanto inquieta ed incuriosisce. E’ risalito dagli inferi, misterioso tunnel dell’altro mondo. E’ entrato nella gloria. Ormai la sua umanità è trasfigurata nella beatitudine, ma viene nuovamente tra i suoi. E lui che fa? Potrebbe comparire tra i filosofi che amano disquisire sull’immortalità dell’anima (ha precise informazioni!). Potrebbe manifestarsi ai potenti che l’hanno condannato e prendersi la rivincita per l’onta subita… E lui che fa? Va in cerca degli amici. E li raggiunge sulle rive di un lago in tenuta da pesca. Gli sta a cuore la relazione, la relazione interpersonale. Domanda all’amico: Mi ami? La relazione resta anche oltre la morte. Sarà così anche per noi. Vorrei dirlo ancora allo sposo che in questi giorni piange la sua sposa ancora giovane. In Dio la ritroverà. Quel legame così speciale sarà ritrovato, seppure in nuova modalità. Seconda pista di meditazione. Sono andato a verificare, direttamente sul testo greco (la lingua dei Vangeli) la sequenza dei verbi adoperati nel dialogo Gesù – Pietro. Tre volte Gesù reclama amore. E si mette in ascolto del discepolo: Mi ami più di tutti? «Amare» qui è detto con un verbo forte (il verbo dell’agape), il verbo dell’amore assoluto ed è rafforzato da quel più di tutti che aggiunge una pretesa di esclusività. Pietro, consapevole del triplice tradimento, vola basso e risponde con un altro verbo che significa più amicizia che amore, un verbo meno impegnativo: Certo, Signore, ti voglio bene. Gesù per la seconda volta formula la domanda, ma tace il più di tutti. Al ti voglio bene ribadito da Pietro, Gesù si adegua alla timidezza dell’amico e per la terza volta chiede: Mi vuoi bene? Si avvicina al cuore incerto del discepolo, ne accetta il limite, abbassa le esigenze dell’amore per amore. Umiltà di Dio!
Nel vangelo di Matteo il primato è conferito a Pietro in un contesto solenne di professione di fede (cfr Mt 16,13-20), in Luca nella notte pasquale (cfr Lc 22,31-34), in Giovanni in questo momento di confidenza e di amore: “Mi ami tu?”.

Messaggio per la Commemorazione dell’eccidio di Fragheto

Fragheto, 9 aprile 2016

Fragheto: ahimè, anche il nostro territorio porta il segno di una ferita profonda. Un giorno di tanti anni fa Fragheto ha visto scorrere il rosso del sangue mentre attorno risplendeva il candore della fioritura di primavera.
Noi siamo qui a ricordare e raccontare, ancora una volta…
Un racconto doveroso perché non vada perduta la memoria delle persone innocenti che hanno subito violenza…
Un racconto necessario perché le nuove generazioni imparino dalla lezione della storia il grande bene della pace…
Un racconto utile perché nascano e si rafforzino progetti di impegno civile, perché maturino in noi tutti consapevoli giudizi sulle nostre emozioni. Noi adulti … in prima fila come testimoni, prima ancora che come maestri, di questa ascesi per costruire relazioni buone con tutti.
Non c’è nulla di più importante che amare
Alla luce di questa frase ognuno dica a se stesso: “Questa mattina guardo le mie azioni e le mie parole di ieri … Ammetto che tante di esse non sono state pienamente in linea. Allora inizio questo nuovo giorno con un atto di pentimento e con una nuova scelta: oggi voglio dare importanza solo all’amare! Amare, ossia, donarmi senza aspettare nulla in cambio:

  • ringraziare per ogni attenzione ricevuta;
  • sottolineare l’esempio e la parola del mio prossimo che mi sono state utili;
  • accennare alla gioia che ricevo dal mio prossimo e dalla sua presenza;
  • mettere in rilievo le sue doti, il suo contributo.

Fragheto e le sue ferite…
Anche Gesù risorto, mio Signore, porta le piaghe del suo Venerdì Santo.
Ma ora quelle piaghe sono un segno del suo amore e del suo perdono, sono un segno della sua vittoria! “Omnia vincit amor”. (Tutto vince l’amore)
Che il Signore risorto faccia di tutti noi uomini di pace!
Questo è il mio augurio e la mia preghiera; in realtà, anche se lontano sono presentissimo tra tutti voi e chiedo al diacono – il sig. Antimo Cecchi, responsabile della cura religiosa di questi paesi – di farsi portatore di questo mio affettuoso saluto.

+ Andrea Turazzi