Omelia S. Messa in suffragio di Ernest Lulashi

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Mercatale, 20 Marzo 2015
 
(Trigesimo)

Gv 7,1-2,10.25-30

«Andate voi a questa festa; io non ci vado… Ma, andati i suoi fratelli alla festa, allora vi andò anche lui».
Va o non va alla festa? Che farà Gesù?
Ci verrebbe quasi da rimproverargli una bugia: dice “no” e poi va! Eccolo tanato!
I suoi parenti, in realtà, propongono uno stile di presenza che Gesù non condivide, non ama, non vuole, non gli appartiene. Gesù non vuole andare per abbagliare e incantare la folla, semmai per insegnare ed essere accanto. E Gesù andrà, ma nella forma discreta, quasi nascosta, per sfuggire ai suoi famigliari. Ci va in ritardo, per by-passarli: loro vorrebbero potersi vantare e avvantaggiare del suo prestigio. In realtà, Gesù va incontro alla croce, e lo sa. Sarà presto oggetto di odio, perché non cerca il successo, né tanto meno l’adulazione, ma la gloria del Padre.
È così anche per noi, per la nostra vita: Gesù viene in “incognito” e non sempre nel clamore della festa. Viene ad segnare il suo mistero, ma senza bagliori. Nessun applauso a scena aperta per lui! Talvolta, la presenza di Gesù provoca tensioni e forse delusione, ma non respingiamolo: ascoltiamo ancora; ascoltiamolo più attentamente. “Che cosa mi vuoi dire Signore attraverso questa esperienza?”. Se lo sapremo ascoltare, finirà per confidarci il suo segreto.
Anche la preghiera ha le sue fantasie; seguitemi… Ho provato ad appoggiare una scala alla croce dove Gesù sta inchiodato. È fatica salire quei gradini, sono molto ripidi!
Ho messo la mia guancia sulla guancia di Gesù, il mio cuore sul cuore di Gesù. M’è parso di sentire i suoi battiti e il soffio leggero del suo fiato, del suo singhiozzo. Ho sentito il suo pregare sommesso: “Padre, perché?”. Mi ha fatto pensare alle domande a raffica dei bambini che continuano a rivolgersi così a mamma e papà: “Perché? Perché? Perché?”. Non sono mai soddisfatti delle risposte e, forse, neppure gli importano le risposte. A loro importa stringere la mano di mamma e papà, essere ben sicuri che sono al loro fianco, che li amano infinitamente.
Così è stato per Gesù, rivolto al Padre: “Perché? Perché? Perché mi hai abbandonato?”. Ma non era abbandonato.
Così è per la mamma e il papà di Ernest, così è per la sorella Jole e il fratello Bledy. Così è per gli amici di Ernest. Così è per tutti noi. La litania dei “perché” è una protesta? Forse. Ma più ancora una preghiera: “La preghiera del perché”!
Intanto siamo qui, sgomenti per quanto è accaduto, ma certi di essere ascoltati. Certi di essere amati. Ce lo assicura il Crocifisso Risorto.
«Signore, aumenta la nostra fede!» (cfr. Lc 17,5).

Notificazione vescovile: Insieme al Papa per la Terra Santa

Nella regione dove ha vissuto Gesù, la Terra Santa, i cristiani sono sempre di meno. Le guerre, le rivalse, le difficoltà spingono le famiglie che credono in Cristo a lasciare le loro case e ad andare in paesi più sicuri. Per aiutare i cristiani che abitano in questa regione e per evitare che continuino a fuggire, le diocesi e le parrocchie di tutto il mondo si mobilitano.

Come accade ogni anno, il Venerdì Santo ci sarà una raccolta di offerte in tutte le chiese da destinare alle famiglie del Medio Oriente. Si chiama “la colletta per la Terra Santa” ed è voluta direttamente dal Papa al quale “stanno particolarmente a cuore le sofferenze di tanti fratelli e sorelle di questo angolo di mondo”, si legge in una lettera partita dal Vaticano e indirizzata ai vescovi di tutto il mondo.

Le offerte raccolte, che sono frutto della generosità di tantissime persone, vengono usate per sostenere la vita e le iniziative di quelle comunità.

 

Omelia IV Domenica di Quaresima

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Serravalle (RSM), 15 Marzo 2015
 
2Cr 36,14-16.19-23
Sal 136
Ef 2,4-10
Gv 3,14-21

Nicodemo scivola nella notte da Gesù. Ma, un giorno, lo ritroveremo coraggioso. Sarà infatti lui che andrà da Pilato a chiedere il corpo crocifisso del Maestro.

Il dialogo notturno con Gesù, ad un certo punto, non poteva più proseguire. Nicodemo non capiva, non credeva: “Come può? … Può forse? …È possibile?”. Allora inizia il monologo di Gesù. Nicodemo avrebbe dovuto sapere dalle Scritture (lui che è maestro in Israele) che nel tempo del Messia ci sarebbe stata una rinascita (una palingenesi, cfr. Ez 36-37). Gesù prosegue e porta Nicodemo, e tutti noi, al cuore del suo Vangelo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16). Il Figlio è la rivelazione dell’amore di Dio, il volto stesso di Dio. Non dobbiamo pensare alla crudeltà di un padre che consegna un figlio alla morte. Il Padre e il Figlio sono una cosa sola e amano l’uomo sino alla follia.

Tutta la vita pubblica di Gesù è la rivelazione dell’identità di Dio e del suo rapporto con gli uomini. Ma, nel momento supremo dell’innalzamento sulla croce, siamo posti di fronte all’abisso della sua profondità e autocomunicazione.

Dio è amore! Non un amore a parole, un vago sentimento, ma un amore concreto. Non un amore ristretto ai limiti nazionali, ma universale, un amore per il “mondo”. La croce diventa il centro di gravità universale! E di attrazione ed erogazione della vita divina.
L’Innalzato è visibile da tutta l’umanità peccatrice e bisognosa di redenzione. A dispetto delle apparenze (il fallimento di Gesù), segna la suprema manifestazione della vittoria dell’amore totale, gratuito, universale di Dio.
L’immagine biblica a cui ci rinvia Gesù è quella del serpente di bronzo che Mosè innalzò nel deserto per soccorrere quanti venivano uccisi dal morso velenoso dei serpenti (cfr. (Num 21,8ss). Gesù è il Salvatore!

Se nell’Antico Testamento Dio si manifestava nel tempio e attraverso la parola dei profeti, ora l’Innalzato è il nuovo tempio da cui l’evangelista Giovanni vede scaturire «sangue ed acqua» (cfr. Gv 19,34; dono dello Spirito 1Gv 5,6).
Gesù è il “sacramento” che opera invisibilmente ciò che significa visibilmente.
In virtù dell’Innalzato anche i credenti vengono innalzati per il dono della vita di Gesù. Entrano nel circuito d’amore della Trinità. Essendo Dio, Gesù è fonte della vita.
La Trinità non è solo l’origine dell’operazione salvifica, ma ne è anche il fine: l’Innalzato, infatti, consegna lo Spirito e introduce nel seno del Padre.
È chiesta una sola condizione: la fede! (cfr. Gv 3.14.16.18).
L’uomo è posto in una situazione di scelta radicale: fede o incredulità. A seconda della scelta il verdetto: pienezza di vita per chi crede, condanna per chi non crede.
Guardiamo il crocifisso. C’è nelle nostre case? Facciamo attenzione alle tre elevazioni nella liturgia eucaristica: durante la consacrazione del pane e del vino, al termine della preghiera eucaristica, prima della comunione.
Alzare lo sguardo e guardare. Guardare e credere. Credere e amare!

Omelia Terza Domenica di Quaresima

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Cattedrale di Pennabilli, 8 marzo 2015

In occasione di quella Pasqua, la prima narrata dall’evangelista Giovanni, Gesù compie uno dei gesti più significativi in ordine alla Rivelazione: il segno del Tempio. Gesù si automanifesta come il vero e unico “luogo” dell’incontro con Dio.
«Chi vede me, vede il Padre» (Gv 14,9), dirà Gesù nell’ultima sera con i suoi discepoli.
Al tempio di Gerusalemme confluivano enormi folle di pellegrini per la Pasqua ed era necessario aprire negli atri il mercato di pecore, buoi e colombe per le offerte sacrificali, dal momento che non riuscivano a portarseli dietro dai luoghi di provenienza. Anche Maria e Giuseppe un giorno acquistarono colombe per offrirle al Signore, quando portarono il bambino Gesù al Tempio (cfr. Lc 2, 22-24). Inoltre, i fedeli venivano dalle regioni più lontane ed erano perciò necessari anche i cambiavalute.
Gesù compie nei loro confronti un’azione simbolica e profetica: prende alcune funicelle che servivano per condurre gli animali e violentemente rovescia bancarelle, soldi e ceste. Il mercato del tempio aveva già acceso d’ira il profeta Zaccaria (14,21), ma la motivazione che spinge Gesù è diversa.
Gesù non se la prende tanto con i venditori o con i loro eventuali affari, più o meno leciti. Il suo obiettivo non è tanto quello di “purificare” il tempio come nel racconto dell’episodio che ci hanno riferito i vangeli sinottici. Gesù aggredisce direttamente l’istituzione del tempio come tale e il culto in essa celebrato. Il tempio di Gerusalemme ha finito il suo compito! Ciò è in linea con quanto Gesù dirà alla Samaritana: «Non più su questo monte o a Gerusalemme adorerete… viene un’ora ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno Dio in spirito e verità» (Gv 4,21-24).
Nella nuova comunità di Gesù non ci sarà più il tempio (cfr. Ap 21,22).
Il gesto compiuto da Gesù è dunque un gesto messianico, non semplicemente un richiamo liturgico-morale.
Gesù, Verbo incarnato, è il luogo della dimora di Dio fra gli uomini. D’ora in poi chi vuole incontrare Dio deve “passare” attraverso di lui, attraverso la sua umanità. Chi vuole rendere culto a Dio deve onorare il corpo di Cristo. E questo ci riguarda tutti. Ricavo due considerazioni non opposte, ma certamente complementari. La prima riguarda i sacramenti, segni efficaci della grazia di Cristo. «Tutto ciò che fu visibile del nostro Redentore è passato nei segni sacramentali». Gesù Risorto è in mezzo a noi, nella sua Chiesa. È presente ed è vivo! Ci è dato incontrarlo, dunque, nella sua realtà beneficante, nella sua potenza terapeutica, nel suo amore forte e delicato, nel suo corpo, sangue, anima e divinità, ecc.
Teresa d’Avila ha scritto pagine straordinarie sulla necessità di “passare attraverso l’umanità di Gesù” (cfr. Teresa d’Avila, Vita).
E beato chi non si scandalizza della povertà dei segni che ha indicato e dei ministri a cui li ha affidati (cfr. Mt 11,6; Gv 6,61).
Ma non sarebbe completa la nostra meditazione senza considerare il corpo di Cristo che è l’organismo vivo della sua Chiesa, il “corpo mistico” e – in qualche modo – l’umanità in tutti i suoi membri, soprattutto i più poveri e i più fragili (cfr. Mt 25,31-46). È la seconda considerazione che attualizza il brano evangelico di questa terza domenica di Quaresima. Non si può ricevere con devozione l’Eucaristia e poi, usciti fuori, lasciarsi andare a critiche astiose e cattive verso gli altri membri della comunità, perché il Pane ci fa tutti un corpo solo in Cristo, una sola famiglia. Non si può dichiararsi cattolici e poi promuovere una campagna contro gli stranieri; anch’essi sono corpo di Cristo. Non è possibile pretendere di agire in nome di Dio e poi uccidere vite innocenti. In altre parole: il culto gradito a Dio non è fatto di cerimonie, ma di atti di amore: «Amore voglio, non sacrifici» (Mt 9,13; cfr. Is 58,6-7).
 

Omelia per l’ordinazione sacerdotale di don Pier Luigi Bondioni

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Cattedrale di Pennabilli, 3 ottobre 2015

1. «Certo, se vi sono delle buone pecore vi saranno anche buoni pastori, perché dalle pecore si formano i buoni pastori». Sant’Agostino ci riporta al cuore della questione vocazionale. Signore, come possiamo essere buone pecore? Cosa ti attendi da noi? Ce lo chiediamo con schiettezza: qual è il punto critico nel rapporto della nostra comunità, e di ciascuno di noi, con la proposta cristiana? Il nodo centrale è la fede: incontro, adesione, consegna di sé alla persona di Gesù Cristo; conoscenza del suo mistero e slancio nella sequela: da chi andremo Signore, tu solo hai parole di vita eterna. Facciamo abbastanza per conoscerlo e farlo conoscere?
Una comunità di cuori credenti ha grande considerazione per le cose di Dio, anzi per l’unica cosa necessaria (ricordate Gesù a Marta…). Un gregge così tiene in grande stima il prete, l’uomo che si mette a servizio del Vangelo, gioca la sua vita per essere strumento della grazia e si mette a disposizione come animatore e guida dei suoi fratelli. E noi, coltiviamo il germe della fede? Ragioniamo col pensiero di Cristo? Cerchiamo le cose di lassù? Da un gregge che si dà questi criteri di vita vengono buoni pastori. La messe è grande, ormai biondeggia. Il Signore chiama operai. Preghiamo perché vi siano risposte generose: per la nostra Chiesa e per il mondo. Si lavora per la pace ed è necessario, ci si impegna nel volontariato ed è bello, ci si interessa di cittadinanza ed è doveroso, ma chi pensa alla salvezza delle anime?

2. «Ma tutti i buoni pastori – continua Sant’Agostino – si identificano con la persona di uno solo, sono una sola cosa. In essi che pascolano è Cristo che pascola». Tra poco don Pier Luigi sarà pastore, ma alla maniera di Cristo.
Permettete una breve meditazione sul sacerdozio di Cristo, sacerdote nuovo. Nell’Antico Testamento c’è un popolo scelto fra tutti i popoli, particolare proprietà del Signore, separato per una destinazione sacerdotale. Dalle dodici tribù di Israele viene separata la tribù di Levi, incaricata del culto del Signore. Dalla tribù di Levi viene presa una famiglia per il Santuario: una volta all’anno il sommo sacerdote vi immola l’agnello (non può il sommo sacerdote candidare se stesso per l’offerta), e l’agnello, mediante la consumazione col fuoco, viene sacrificato. Dall’altare sale una tenue nube tra i profumi dell’incenso. Notate questo procedere per successive separazioni e distacchi; una struttura liturgica piramidale che si slancia verso l’alto arrivando ad offrire nient’altro che la propria inadeguatezza. Dio rimane oltre, al di là nella sua trascendenza: la liturgia dell’Antico Testamento celebra questo. Il sacerdozio antico rimane rituale, formale, esteriore. Confrontiamolo col sacerdozio di Gesù. È su una linea opposta, discendente, inclusiva; procede dall’alto verso il basso per successivi abbracci verso una unità sempre più forte. Il Verbo si incarna: nell’unica persona di Gesù Cristo, natura divina e natura umana sono inseparabilmente unite. Gesù, Verbo incarnato, vive la vicenda umana fino in fondo nella quotidianità di Nazaret condividendo con noi lavoro, fatiche, incontri, amicizie… Poi viene il tempo del suo cammino verso Gerusalemme fino a fare suo il dolore innocente, assumendo la sofferenza e ciò che c’è di più umano, il peccato. Sulla croce sembra toccare il vertice del suo sacerdozio; nel totale svuotamento di sé e nella radicale obbedienza al disegno del Padre si fa dono per l’umanità. «Tutto è compiuto»: sacerdote, altare e vittima; una liturgia in spirito e verità, esistenziale, personale.
3. La risurrezione stessa è un abbraccio. Un abbraccio totale. Nell’Uomo Gesù è iniziata la divinizzazione di tutta la realtà mediante l’effusione dello Spirito. Cose da capogiro, eppure così vicine, cose grandi, ma fatte proprio per noi. Nell’Eucaristia egli continua a donarsi e farsi uno con noi: un pugno di farina impastata nell’acqua, una coppa di vino, diventano sua presenza: «Prendimi, mangiami, bevimi».
C’è dichiarazione d’amore che può spingersi oltre?
Ma non siamo ancora al capolinea. Al fondo di questo abbassamento del Figlio di Dio per unire a sé il mondo ed offrirlo al Padre c’è un ultimo passo: il Signore Gesù dona il suo stesso donarsi.
Caro don Pier Luigi, si colloca qui il tuo sacerdozio, il Signore ti prende perché tu sii una sua presenza, ti cede la sua volontà di donarsi, consegna il suo “io” alle tue labbra. Potrai dire “io ti assolvo…”, “questo è il mio corpo”… Credilo ogni volta che sali sull’altare, vivilo nel quotidiano dono di te. Vita che si fa liturgia. Prestagli le tue mani, i tuoi piedi, il tuo cuore, la tua intelligenza, la tua umanità.
Altissima dignità, ma il prete è sempre un uomo. Un angelo non può essere sacerdote. Azzardo: è stato forse limitato il ministero di Gesù per il fatto che era uomo? Il prete è della stessa creta di cui è fatta l’umanità. Anche dopo la sacra ordinazione continuerai, come tutti, a sentirti fragile, inadeguato, peccatore. Dio non ha orrore degli uomini, al contrario, fa passare la sua grazia attraverso loro. Il prete balbetta appena; eppure Dio gli ordina di parlare. Rimane sempre un apprendista. Il prete è la persona più potente sulla terra perché pronuncia parole creatrici: “Io ti battezzo”; “Io ti assolvo”; “Questo è il mio corpo”… Eppure è l’uomo più povero perché queste non sono parole sue. È Gesù il buon pastore: guardalo don Pier Luigi. Considera lo Spirito Santo che effonde su di te consacrandoti con l’unzione e abilitandoti a compiere le opere del Messia e a proclamare l’anno di misericordia.

“I fatti e i giorni” dall’1 al 7 marzo 2015

Carità senza confini!
Non è solo il nome di una associazione apprezzatissima, ma uno straordinario progetto di vita. Allora dobbiamo uscire da questa sala un po’ diversi da come siamo entrati. Abbiamo tutto il pomeriggio e la serata per fare tanti atti d’amore concreti. Cominciamo subito. Siamo tutti protagonisti. Tutti responsabili. Tornando a casa dovremmo chiederci: “Ho amato senza confini? Ho accolto l’altro senza confini? Ho goduto dell’accoglienza altrui?”. Se rispondiamo “sì”, ecco un bozzetto di nuova umanità. Lancio uno slogan. Vi sembrerà quello dell’impiegato ad un ufficio pubblico, ma noi lo prendiamo per il verso giusto. “Avanti il prossimo”. Cioè, avanti tu che sei accanto, che sei mio fratello, che sei il mio prossimo.
 

Amore, ma anche giudizio sui fatti di società.
“Questa economia uccide”. Sono colpito dalle parole di Papa Francesco. Parole forti, accompagnate da segni chiari di scelte e di legami con i più poveri e i più bisognosi, che coinvolgono le Istituzioni della Chiesa, i singoli e le varie comunità ecclesiali. Sono segni che interpellano tutti. Più volte papa Francesco ci ha chiamati a non voltare lo sguardo davanti alle sofferenze dei nostri fratelli e delle nostre sorelle in umanità, e di avere il coraggio di toccare la carne sofferente di Cristo che si rende visibile attraverso i volti innumerevoli di coloro che Egli stesso chiama “questi miei fratelli più piccoli” (Mt 25,40). Così il Signore in un altro passo: «Che nessuno di questi piccoli vada perduto» (cfr. Mt 18,14). E il libro delle Lamentazioni così riporta: «I bambini chiedevano pane e non c’era chi lo spezzasse loro» (Lam 4,4).
Sono vescovo della Chiesa “cattolica”, cioè universale. Condivido, nel rispetto di ciascuno, quanto è motivo di gioia: il Vangelo di Gesù. È uno degli obiettivi del nostro essere legati: “Perché tutti gli uomini siano una sola famiglia”, uniti dal rispetto e dall’amore reciproco. La fraternità che sperimentiamo nella fratellanza – e questa è una esperienza che qui in San Marino viviamo concretamente nell’incontro con gli ambasciatori accreditati presso la nostra Repubblica – ci porta a conoscere le piaghe e i doni della nostra umanità. Forse per questo, le parole del Papa e l’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa sono come un pane che non può mancare sul nostro tavolo. Così mi scriveva mio fratello missionario in Congo, padre Silvio: “Abbiamo visto lo sfruttamento delle terre e delle ricchezze minerarie, ma soprattutto la sofferenza di intere popolazioni, legate alle guerre per il controllo e spesso al saccheggio delle ricchezze, con la complicità di capi locali. Abbiamo sentito la vergogna per la conduzione del commercio internazionale dove vige la legge del più forte, del traffico – sempre in aumento – delle armi, la chiusura di mercati locali per l’arrivo delle «eccedenze»  alimentari occidentali”. Il discorso sulla situazione alimentare nel pianeta ci riporta all’evento a cui ci stiamo preparando: “ Expo 2015”. Per questo Expo 2015 può essere un momento di confronto globale e non deve essere una vetrina gastronomica o un grandioso luna park! Dovrebbe darci l’opportunità di riflettere sulla situazione della nostra comune umanità, di rivedere con coraggio i nostri stili di vita, di eliminare lo spreco, del cibo in particolare.
La campagna promossa dalla Caritas Internationalis ci propone: “Una sola famiglia, cibo per tutti”. Il diritto al cibo, lo speriamo entri nella nostra Costituzione. E non solo. Ricordo il martellare di Giovanni Paolo II: “Tutti responsabili di tutti”. I principi sono chiari ma dobbiamo ammettere una certa insignificanza davanti alle scelte di tanti governanti e delle Istituzioni internazionali.
Siamo sollecitati a chiederci: che cosa fare? Nel messaggio della Giornata mondiale della pace 2015, papa Francesco ha invitato a camminare verso la “globalizzazione della fraternità”. Così scriveva alludendo alle varie schiavitù di oggi, compresa quella della mancanza di cibo per tanta gente. Dobbiamo riconoscere che siamo di fronte ad un fenomeno mondiale che supera la competenza di una sola comunità o nazione. Per sconfiggerlo occorre una mobilitazione di dimensioni comparabili a quelle del fenomeno stesso. Per questo motivo lancio un pressante appello a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, di non rendersi complici, di non voltare lo sguardo davanti alle sofferenze dei loro fratelli e sorelle in umanità.
San Marino non comincia da zero. Accanto a Carità senza confini ci sono altre realtà, realtà popolari e comunitarie che indicano percorsi di maturazione di coscienza, esperienze, proposte che vanno oltre la nostra Repubblica. Penso in particolare a: “Noi per..”, gli Amici di padre Marcellino, l’associazione Papa Giovanni xxiii, la Caritas  diocesana, la rete per la Colletta alimentare e farmaceutica, la presenza coordinatrice del nostro Centro Missionario. Oggi, non solo la crisi dell’economia, ma fatti angosciosi di guerra, crollo di ideologie e di antiche tradizioni  ci spingono a ricercare valori comuni per affrontare il futuro dell’umanità nelle varie dimensioni. La chiusura è morte.
Bello, anche se poco conosciuto è il documento del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace (2011) per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale. La realizzazione è compito delle generazioni presenti, cioè di tutti noi.
Sono necessarie e urgenti politiche vincolanti alla realizzazione del bene comune a livello locale e mondiale. È questa un’indicazione forte che stimola la maturazione delle coscienze e aiuta la consapevolezza delle crescenti responsabilità. Le nuove tecnologie di comunicazione, nella misura in cui sono ricche di umanità, rappresentano un’occasione unica per abbattere distanze e creare aggregazioni.
Per chi ha avuto la gioia dell’incontro con Gesù, fratello, crocifisso e risorto, lo Spirito di Pentecoste è un lancio verso tutta l’umanità. Nutrito dal Suo pane, egli è chiamato ad uscire da un mondo chiuso e ad accogliere la compagnia di coloro che condividono il pane con lui, ad essere “inzuppato” di Cristo e a diventare insieme pane spezzato per tutti. È questo il motivo più forte della nostra speranza. L’onda di grazia che scaturisce dal Pane spezzato e dal Sangue versato continua ad inondare tutta l’umanità. Dio è signore della vita e della storia. Allora: “Avanti… il prossimo”!

Omelia Seconda Domenica di Quaresima

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Cattedrale di Pennabilli, 1 marzo 2015
Succede in montagna quando sali il pendio, fai fatica, stringi i denti e sei tutto sudato… vorresti fermare la marcia e, magari, rinviare la conquista ad altra occasione. Poi d’improvviso si apre davanti ai tuoi occhi uno squarcio: le nubi aprono una finestra e ti lasciano intravvedere la cima tanto desiderata e illuminata dal sole.
Allora confortato da quella visione prendi fiato e, soprattutto, il cammino.
Non è un po’ così anche la nostra esperienza? Il cammino della settimana a volte si fa pesante. Ci sono fatiche, dispiaceri, contraddizioni, responsabilità impegnative… per fortuna la domenica c’è la Messa: è uno squarcio attraverso il quale ci appare Gesù “in vesti candide”, nel candore del pane consacrato sull’altare. Noi alziamo gli occhi. Fissiamo l’ostia bianca e la fede ci assicura che siamo di fronte al Risorto e come Pietro diciamo: “É bello per noi stare qui!”. Grazie a questa “visione” prendiamo forza e coraggio per il cammino che ci resta da fare.
Quando avvenne la Trasfigurazione – così chiamiamo quell’esperienza di luce e di bellezza che avvolse Gesù – gli apostoli stavano salendo a Gerusalemme. Il cuore palpitava per quello che Gesù aveva detto loro anticipando la grande prova. Fu proprio in quel viaggio, che preludeva al sacrificio, che accadde questa esperienza di bellezza.
È nella salita che c’è splendore, e non solo nel raggiungimento della meta. C’è una bellezza che illumina anche il momento del sacrificio, che rende soave quello che è aspro, che rende gustoso anche quello che è amaro. È una bellezza che viene da dentro. “Voi siete luce” dirà un giorno Gesù ai suoi discepoli (Non dice: sforzatevi di esserlo). Questa bellezza è l’amore che trasfigura tutto quello che fai, tutte le circostanze importanti e semplici, che dà senso e gusto alle tue giornate. Ogni momento, ogni aspetto della vita prende luce e sacralità. La fede, infatti, vede Dio all’opera nella propria vita.
Capisco la bellezza della mia mamma, pur con le rughe che incorniciavano il suo volto, pur coi suoi capelli bianchi… capisco la bellezza di quel sorriso che mi perdona e che poi mi incoraggia. Capisco la bellezza di madre Teresa di Calcutta, ormai ricurva e piena di rughe, quella volta che l’ho incontrata ed ho potuto vedere da vicino i suoi occhi.
Così è il volto di ogni uomo come l’ha pensato e lo vede Dio. Vede nel nostro volto niente meno che il volto di Gesù.
Suggerisco una cura di bellezza per questa seconda settimana di Quaresima (rubo lo spunto da un vecchio libro di M. Quoist): stare qualche minuto allo specchio, 5 minuti davanti alla propria coscienza, 10 minuti davanti al Signore in compagnia della sua Parola.
Dio Padre, che ha parlato nel momento della Trasfigurazione, tace e scompare dietro le parole di Gesù. Dice: “Ascoltate lui”! Ascoltando e vivendo il Vangelo, liberiamo tutta la bellezza di Dio sepolta in noi (E. Ronchi).

Omelia Prima Domenica di Quaresima

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

San Leo, 22 febbraio 2015

10° anniversario della morte di don Giussani

 

Gen 9,8-15
Sal 24
1Pt 3,18-22
Mc 1,12-15

1.
Cari amici,
don Giussani vi appartiene e non vi appartiene esclusivamente.
Vi appartiene perché siete frutto della sua adesione al disegno di Dio, nati dal suo “sì”, suoi eredi e portatori del suo carisma nella Chiesa.
Non vi appartiene esclusivamente, perché don Giussani è della Chiesa; è un dono che Dio ha fatto a tutti e tutti ne godiamo. Anche chi non l’ha conosciuto, e forse non si accorge di come il suo carisma sia penetrato, lo saluta e lo festeggia come servo di Dio.

2.
Grazie per il cortese invito rivoltomi a vivere con voi questo momento – il decimo anniversario della sua nascita al Cielo – e, in vostra compagnia, entrare nel grazie che Gesù Cristo dice al Padre con l’offerta della sua vita. Eucaristia: parola piena di luce!
Attratti da Cristo, fatti una cosa sola con lui, ritroviamo il nostro destino e la nostra destinazione ad entrare nel seno del Padre.
È il nostro essere “movimento” nel senso più vero.
E non potremmo farlo, e neppure immaginarlo, se non fossimo presi dallo Spirito Santo, come Elia sul carro di fuoco. Audacia inaudita la nostra: cose grandi, eppure a noi destinate.
Il senso ultimo della nostra esistenza è la dossologia. «Ci ha fatti per te, Signore». E l’inquietudine che sperimentiamo è sintomo dell’infinito a cui siamo chiamati.
Ognuno di noi, creato in Cristo, cammina su un raggio e in questo camminare incontra altri e insieme – ciò che sale converge – diventiamo popolo di Dio, partecipi e appartenenti al mistero che è la Chiesa.

3.
A noi che vorremmo abbracciare tutto e tutto in una volta e tutti insieme, il mistero di Cristo ci è dato di viverlo distribuito nel tempo, precisamente nell’anno liturgico che è come un sacramento dell’incontro con Dio e non un semplice calendario, unità di misura, convenzione per scandire stagioni e giorni. Per questo ci mettiamo alla scuola della liturgia della Chiesa, austera e scintillante ad un tempo, in Quaresima come non mai. Nel cuore della liturgia non c’è un “tema”, ma il Cristo Risorto. Non abbiamo nulla da creare, ma tutto da ricevere. In questo senso la liturgia non ci appartiene, semplicemente vi entriamo con tutta la nostra verità di peccatori, ma figli; con la nostra realtà: corpo, anima, cuore, pensieri, gesti, baci, silenzi e canti, ecc.
Siamo entrati in Quaresima: 40 giorni che poco a poco sono andati caratterizzandosi prima come tempo catecumenale (preparazione al Battesimo), poi come “ordo poentientium” (riammissione alla piena comunione con la Chiesa) e infine, tempo di rinnovamento per tutti. Tempo orientato alla Pasqua, perché la Pasqua di Gesù ci pervada interamente e ci renda “nuovi”. Abbiamo pregato così: “Concedi a noi tuoi fedeli di crescere nella conoscenza del mistero di Cristo”. È l’augurio che Paolo rivolgeva ai Filippesi: «Conoscere Lui e la potenza della sua risurrezione» (Fil 3,10).

4.
Prendo da don Giussani alcuni suggerimenti a questo proposito: “La meditazione sulla liturgia è meditazione su un discorso educativo. Quindi è tanto più valida quanto più coglie la parola che la Chiesa ci vuole dire in quel particolare momento dell’anno. Perciò, se è vero che si può restare colpiti di fronte ad una frase o ad un’altra del testo liturgico, dobbiamo essere attenti a non ridurre la ricchezza di questa meditazione ad una cernita di frasi (…). Spesso – continua don Giussani – è stata operata tale riduzione: si è cioè trattata la Bibbia che è la storia di Dio nel mondo, come fonte di belle frasi – giuste e profonde – ma si è lasciato da parte il contesto, cioè il vero discorso di Dio. Così abbiamo ridotto la Bibbia a sostegno dei nostri ideali morali” (L.Giussani, La liturgia vissuta. Una testimonianza, JacaBook).
Al capitolo 2° della mia lettera pastorale alla diocesi indico una modalità semplice, ma sperimentata, di lettura popolare del Vangelo. Scrivo delle “3 effe”: effe come f-rase, effe come f-rutti; effe come f-atti. L’intenzione non è quella di collezionare belle massime – come si fa coi francobolli di San Marino – per accarezzare nostri estetismi spirituali o selezionare frasi in modo accomodatizio ai nostri gusti, alla nostra sapienza. Faccio tesoro dell’osservazione di don Giussani e rilancio questa modalità di lettura del testo sacro per condurre il lettore-discepolo a cogliere la potenza creatrice racchiusa nella Parola. Come la presenza di Cristo è nel Pane consacrato ed in ciascun frammento, così Cristo è presente in ogni sua Parola, con la forza germinativa e il fascino del suo amore. Davanti ad ogni frase siamo provocati ad una sfida, a scommettere sulla sua verità e a condividerne i frutti. Come la Parola pronunciata sul Pane lo trasforma in Eucaristia, così la Parola pronunciata e accolta su di noi ci fa suo corpo mistico, Chiesa. E la comunicazione – testimonianza delle esperienze, poco a poco, crea il presupposto per un sociale cristiano. Vivere la Parola, coglierne i frutti, narrare le esperienze, è da vivere come la via che il Signore percorre verso di noi e con noi e non tanto la nostra verso di Lui! “La sua storia con noi”. “Tutti i sentieri del Signore – abbiamo cantato – sono amore e fedeltà”.

5.
Questo non accade magicamente. È chiesta vigilanza: cogliere il tempo favorevole, questo!
Don Giussani chiama tutto questo “occasione”. “E l’occasione è la parola che ci viene rivolta e che l’ora dopo potrebbe non esserci riofferta” (op. cit.).
La Parola oggi ci dice che Gesù viene sospinto (cacciato) nel deserto, come se dovesse vincere una resistenza. E in effetti il deserto è un luogo aspro e inospitale, che disorienta e mette paura; esposto alle imboscate delle fiere e dei predoni.
Gesù ci andò e vi rimase 40 giorni; non scappò!
Lasciamoci sospingere dallo Spirito nella Quaresima, anche se sarà tempo di lotta. La menzione delle fiere, propria del Vangelo di Marco, viene da alcuni esegeti interpretata come descrizione di Gesù nuovo Adamo. Il nuovo Adamo, a differenza del primo, è obbediente. Ma le fiere possono essere interpretate anche come il segno di una realtà avversa.
“Gesù stava con le fiere”, ha imparato a viverci insieme. “Aiutaci, Signore, ad imparare a stare come te con gli animali feroci, ad abitare cioè la realtà, bella o brutta che sia, senza scorciatoie e senza evasioni, con coraggio e fiducia, servito dagli angeli, cioè illuminato e sostenuto dalla tua Parola”.
«Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo». Prima parola – secondo Marco – uscita dalle labbra di Gesù, un invito non tanto a raddrizzare la condotta morale – pur necessario e utile – ma a convertirsi verso di Lui. La parola “conversione” qui appartiene più all’escatologia che all’etica. Il tempo è compiuto. La bella notizia: Cristo! “Salvezza avvenuta”. Una misura nuova è entrata nel mondo, una proposta nuova nella vita.

“I fatti e i giorni” dal 15 al 21 febbraio 2015

È un’esigenza avvertita da tanti: approfondire le ragioni della fede.
Ci si sente interpellati dalle sfide della modernità e dai nuovi orizzonti del sapere.
In diocesi ci sono istituzioni, luoghi ed iniziative che possono soddisfare questa esigenza, ma hanno, per lo più, un carattere di occasionalità. Si richiede che i percorsi biblici e teologici siano sistematici e completi. L’esigenza è segnalata soprattutto dai laici in ragione del loro quotidiano misurarsi col mondo e per il loro impegno nell’evangelizzazione e nel servizio all’interno della comunità cristiana.
Per il “nuovo assetto” ecclesiale è indispensabile un laicato responsabile e preparato.
A Rimini, Pesaro e Arezzo – le città a noi più vicine – esiste l’Istituto Superiore di Scienze Religiose. È bene prendere in considerazione l’eventuale decisione di iscriversi ai corsi ai quali è annesso il riconoscimento accademico di Laurea in Scienze Religiose. Tuttavia, a motivo dell’oggettiva difficoltà della frequenza per molti, si è vista l’opportunità di aprire in centro diocesi – a Pennabilli – corsi di Teologia. Il primo passo è stato fatto dalle monache agostiniane che hanno ottenuto dall’ISSR di Rimini e di Arezzo l’aiuto necessario e poi si sono rese disponibili ad allargare l’offerta formativa.
Ho colto subito, con entusiasmo, questa opportunità ed estendo l’invito a tutti.
 
+ Andrea Turazzi
 

Comunicato stampa per l’uccisione dei cristiani in Libia

Abbiamo appreso con dolore la notizia dei cristiani copti uccisi in Libia dai fanatici islamici dell’ISIS. Sono stati uccisi proprio perché cristiani, non possiamo restare in silenzio. Facciamo nostre le parole di Papa Francesco che così li ha ricordati: «Oggi ho potuto leggere dell’esecuzione di quei ventuno cristiani copti. Dicevano solamente: “Gesù aiutami!”. Sono stati assassinati per il solo fatto di essere cristiani. … Il sangue dei nostri fratelli cristiani è una testimonianza che grida. Siano cattolici, ortodossi, copti, luterani non importa: sono cristiani! E il sangue è lo stesso. Il sangue confessa Cristo. Ricordando questi fratelli che sono morti per il solo fatto di confessare Cristo, chiedo di incoraggiarci l’un l’altro ad andare avanti con questo ecumenismo, che ci sta dando forza, l’ecumenismo del sangue. I martiri sono di tutti i cristiani».
Nella preghiera di tutti noi chiediamo al Signore di accogliere questi nostri fratelli nel Suo Regno, di aiutare le loro famiglie, di dare a noi la forza di testimoniare senza paura la nostra fede, certi che il loro sacrificio consapevole e la loro morte, invocando il nome del Signore Gesù, portino frutti di pace e di amore in quelle terre bagnate dall’odio, nei vari luoghi ove la guerra sembra essere l’unica via per risolvere i conflitti, in tutti i posti dove la fede cristiana vissuta è causa di discriminazione e persecuzione. Semen est sanguis Christianorum.
L’amore, più forte dell’odio, sia il sostegno e la testimonianza per tutti noi.
Con l’unanime protesta chiedo si innalzino preghiere. Inoltre, dispongo che domenica prossima, Prima Domenica di Quaresima, in una chiesa per ogni vicariato si organizzi una veglia: a Talamello (vicariato della Val Marecchia), nella chiesa di Murata (vicariato di San Marino), a Ponte Cappuccini (vicariato della Val Foglia-Val Conca).
Con la mia benedizione

 + Andrea Turazzi