Visita del vescovo Andrea all’arcivescovo di Cracovia

    Diocesi di San Marino – Montefeltro
    Ufficio Stampa e Comunicazioni Sociali
    Via Seminario, 5
    47864 Pennabilli (RN)

     

    Sua Eccellenza Mons. Andrea Turazzi, Vescovo di San Marino-Montefeltro, insieme ad una delegazione diocesana accompagnata da don Cristoforo Bialowas, postulatore romano, ha incontrato mercoledì 29 ottobre l’arcivescovo di Cracovia Card. Dziwisz per accogliere il dono di una reliquia insigne del Papa San Giovanni Paolo II:

    una piccola ampolla contenente il suo sangue. Il dono della reliquia sigilla il profondo legame spirituale che la Diocesi ha con Giovanni Paolo II. La reliquia verrà solennemente

    consegnata ai giovani della Diocesi nella Giornata a loro dedicata nella prossima primavera. Tra i giovani e Giovanni Paolo II si è stabilita una incredibile sintonia che ha trovato

    un’espressione particolare nelle Giornate mondiali. A questo proposito, in vista della prossima Giornata Mondiale della Gioventù che si terrà a Cracovia nel 2016 il Vescovo

    ha avuto un primo contatto con alcune personalità della Chiesa di Cracovia per l’ospitalità dei partecipanti.

    La delegazione diocesana ha avuto la sorpresa e la gioia di vedere, tra le slide che documentano i viaggi internazionali del Santo pontefice nel Museo a lui dedicato, una serie di immagini raffiguranti il suo viaggio a San Marino (29 agosto 1982).

    Pennabilli, 30 Ottobre 2014

    Omelia Esequie di suor Maria Caterina

    Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

    Sant’Agata Feltria, 28 ottobre 2014

    Ap 21, 1-7
    Mt 11, 25-30

    Cara Suor Caterina, ecco, ora: “una nuova terra e un nuovo cielo… Il mare non c’è più…”! (cfr. Ap 21, 1). È finito il viaggio fra i pericoli, le burrasche, i travagli… Sei arrivata in porto. Il mare, nelle Scritture, è l’elemento oscuro, inquietante; luogo di pericolose tempeste scatenate da forze brutali e implacabili; racchiude abissi abitati da mostri. Ma ora sono annientati. È il momento della nuova creazione. Siamo rapiti nella meraviglia della visione profetica, nel punto culminante dell’Apocalisse. Ecco incedere una sposa adorna per il suo sposo. Se ci sono lacrime, sono di gioia e di commozione, perché le cose di prima, come la morte, il lutto, l’affanno, il lamento, non ci sono più. «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»: dice colui che siede sul trono. Sono le prime note della sinfonia del nuovo mondo. Una sposa assetata – con una sete durata per più di 85 anni – finalmente, come la cerva cantata dal Salmo, può saziarsi alla fonte: «A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita» (Ap 21, 6). Il Signore giura che sarà lui in persona a colmare pienamente ogni suo desiderio fino a darsi come suo tutto (“sarò il tuo Dio”) e lei sarà figlia, il tutto per il Padre!
    Che cosa può ottenere di più una creatura?
    Vedrà cieli nuovi e terra nuova. Vedrà dischiudersi ciò che da sempre è avvolto nel mistero. Vedrà quel volto da tanto cercato e implorato.
    Amerà senza alcun imbarazzo o inibizione e in totale libertà; amerà a tal punto che il suo amante potrà finalmente donarsi a lei con la totalità del suo essere; e amerà senza fine, perché è proprio dell’amore non essere mai sazio.
    Canterà per la pienezza della gioia; canterà perché è proprio di chi ama oltrepassare la strettoia delle parole e lasciarsi andare alla melodia del cuore.
    Sì, carissime sorelle, carissimi amici, vedremo, ameremo, canteremo. È il nostro destino. Dovremmo aiutarci di più a fissare lo sguardo verso la meta, a “cercare le cose di lassù” (cfr. Col 3,1).
    Voi, care sorelle, ci aiutate, ci indicate – con la vostra vita – la consistenza del Regno di Dio. Con la scelta audace di una vita povera, casta, obbediente, ci dite che il Signore è il tesoro, la pienezza del cuore, la totale libertà. Danza!
    Il giorno della vostra professione religiosa avete indossato il velo, segno di consacrazione e della vostra esclusiva appartenenza al Signore. “Posuisti Domine signum in faciem meam…”, perché il Signore non ammette altro sposo fuorché lui.
    Qualche tempo fa sono stato accompagnato per una visita a suor Caterina. Si era aggravata. Distesa sul suo lettino non indossava il velo per ovvi motivi. Ma questa circostanza mi ha indotto a riflettere sul significato della “velatio virginis”. Lasciate che dedichi qualche parola a questo simbolo, il velo.
    Il significato del velo è evidente. S. Gertrude si preparava a ricevere il velo con queste parole: “O mio diletto, fammi riposare all’ombra della tua carità… Lì riceverò dalle tue mani il velo della purezza che, grazie alla tua guida, porterò senza ombra di macchia davanti al tribunale della tua gloria…” (Esercizi spirituali, III). Sublime vocazione. La consacrata nella verginità, per essere esclusivamente sposa di Cristo, si sottrae allo sguardo di altri possibili pretendenti e amanti. Vive ritirata dal mondo, nel chiostro per essere sempre sotto lo sguardo di Dio e a lui solo piacere per l’intensità dell’amore. Il velo è, quindi, una specie di clausura nella clausura. Il velo non ha nulla di opprimente, anzi è molto amato dalla monaca e da lei devotamente portato; lo bacia ogni volta che lo mette e lo toglie. Il velo, distogliendola dal divagare con gli occhi, l’aiuta a tenere lo sguardo del cuore più direttamente rivolto a Dio, nella contemplazione del suo volto sempre desiderato e cercato.
    Il velo è anche il segno del pudore che la nasconde, in un certo senso, al suo stesso sposo. In questa luce i Padri hanno letto il Cantico dei Cantici: «Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella! Gli occhi tuoi sono colombe, dietro il tuo velo… Giardino chiuso tu sei, sorella mia, mia sposa, sorgente chiusa, fontana sigillata» (Cant 4, 1.12). Versetti splendidi! Esprimono ammirazione e commosso stupore dello sposo divino davanti alla promessa sposa tutta raccolta e rivestita di un umile e delicato riserbo. Alla mentalità e alla sensibilità del nostro tempo riesce difficile comprendere questa consuetudine monastica. Appare subito come segno di sottomissione, troppo frainteso nel suo significato originario o troppo strumentalizzato. La monaca vive in modo sublime il mistero nuziale e materno sul piano soprannaturale. Il forte simbolismo del velo indica proprio la generosità e l’intensità con cui la claustrale fa dono di sé a Dio per tutti, rimanendo nascosta per essere di tutti. È come se il Cielo si curvasse su di lei per avvolgerla nell’intimità del cuore di Cristo, a somiglianza della Vergine Maria: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra» (Lc 1,35).
    Nella Chiesa antica nel momento in cui il vescovo imponeva alla consacrata il velo sulla testa tutto il popolo che gremiva la chiesa gridava: Amen, amen! Vedeva la propria destinazione nella vocazione della vergine. Il velo può essere visto anche come segno di martirio, perché segno di una vita interamente donata ma, nel contempo, come segno regale perché la vergine è sposa del Re e da lui è coronata, avvolta nel suo manto. Nella tradizione la vergine madre, Maria, è sempre raffigurata col velo, spesso è un velo che scende lungo la sua persona e avvolge il Figlio Gesù e tutti noi suoi figli.
    Cara suor Caterina, sei vissuta sulla terra nascosta al mondo ma per essere nel cuore del mondo e portare tutti gli uomini nel cuore di Cristo, unico sposo della Chiesa, dell’umanità redenta a prezzo del suo sangue. Entra nella gioia del tuo Signore. Sarai il motivo del suo incanto e del suo canto: «Ti lodo Padre, signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25).
     
     

    Omelia del funerale di suor Michelina Calisti

    Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

    Monastero di Pennabilli, 24 ottobre 2014

    Comunichiamo che la nostra amata Suor Michela Calisti, al secolo Angela, è spirata questa mattina alle 10.00 all’età di 100 anni e sei mesi di cui 77 di vita religiosa. Michela, originaria di Maciano (frazione di Pennabilli) è stata un vero dono per tutte noi. La sua presenza, che negli ultimi due anni è stata silenziosa e sorridente, ci ha fatto sperimentare da vicino il senso e la preziosità dell’affidamento, della docilità, dell’amore grato che sorride ad ogni gesto di affetto e di cura. È stata per ciascuna uno spazio di accoglienza mai ritirato, nemmeno in quest’ultimo tratto di strada ove, negli istanti di coscienza, non ha cessato di sorridere, accarezzare, baciare ognuna. È spirata serena, naturalmente, come una lampada che ha dato tutto, fino all’ultima goccia di olio. Eravamo tutte con lei.
    La Comunità delle Monache Agostiniane di Pennabilli

    Mt 11, 25-30

    Cent’anni e sei mesi di vita: quanta sete! Ora ha trovato il suo ristoro.
    Stiamo vivendo e partecipando ad un momento di incanto di Gesù; il suo incanto davanti ai piccoli, davanti a suor Michelina: «Ti rendo lode, Padre, perché hai svelato queste cose ai piccoli». Sono i piccoli di cui è pieno il vangelo: gli anawìm, cioè coloro che hanno posto nel Signore ogni loro fiducia, coloro che si aspettano tutto dal Signore. Hanno detto il loro “sì” al Regno di Dio con semplicità. Sconosciuti al mondo, eppure così amati dal Padre e posti ad essere radici nella pianta della Chiesa. A loro è dato di conoscere i misteri del Regno. Il Padre rivela loro cose belle, segrete e inaudite. Dischiude per loro un “sapere” precluso alla superba presunzione di chi si crede sapiente, un sapere di cui sono assetati i saggi di tutti i tempi, “cose nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo” (cfr. 1Pt 1,12). La scienza del Padre non è frutto di una ricerca intellettualistica. Sboccia dentro la relazione stessa che Gesù ha con il Padre ed alla quale questi piccoli partecipano. Chi accetta di diventare bambino, cioè figlio, troverà e gusterà il sapore di quel sapere.
    Dona, Signore, il tuo riposo. Quando l’amore di Dio può manifestarsi a qualcuno, questi cambia e trasforma la sua vita. Chi si lascia amare da Gesù non è dispensato dal vivere la condizione umana con tutto ciò che essa comporta: pesi, difficoltà, interrogativi, e perfino dispiacere per le imperfezioni nell’amore… Ma quell’anima viene ingaggiata da Cristo per migliorare il mondo. Chi getta in lui la sua àncora scopre che il Signore l’aiuta nella fatica di esistere. Per settantasette anni suor Michelina ha vissuto tra le mura sante del monastero su questa rupe. Ora sente la voce dello Sposo che la chiama alla vita, alla pace, al riposo. Cristo, il buon Pastore, la conduce a verdi pascoli e la fa riposare (cfr. Sal 22), la introduce nel grande Sabato, al compimento della speranza che ha reso bella la sua vita quotidiana. Non è questo uno degli aspetti più stupefacenti della rivelazione? Non è un buon motivo di lode? Ti lodo Signore perché sei mio riposo.

    “I fatti e i giorni” dal 19 al 25 ottobre 2014

    Settimana dal 19 al 25 ottobre 2014

    La parola chiave della lettera aperta del Vescovo ai sammarinesi è “rigenerazione”. Il momento che la Repubblica sta attraversando ha bisogno di un clima di chiarezza, ma anche di fiducia. Non mancano ideali e risorse, ci sono in tutte le formazioni persone di valore e rette. Il messaggio del Vescovo è stato accolto positivamente; se ne è accennato anche in Consiglio Grande e Generale. La questione morale è da affrontare in modo costruttivo, qualcuno sussurra: “rigenerazione e restituzione”. Può essere una chance ulteriore per favorire l’interesse e aggregare giovani per il bene comune.

    L’evento della settimana è stato senza dubbio la visita della Romagna a papa Francesco: oltre 2500 i pellegrini saliti a San Pietro in Roma mercoledì 22 ottobre (oltre 300 della nostra diocesi). Le “sette sorelle” insieme in questa occasione come in tante altre: Ravenna-Cervia, Imola, Faenza-Modigliana, Cesena-Sarsina, Forlì-Bertinoro, Rimini, San Marino-Montefeltro. Il Papa sviluppa il tema della Chiesa come “corpo di Cristo”: un prodigio di unità che si compie per opera dello Spirito Santo. Come le ossa aride si ricompongono nella visione del profeta Ezechiele (cfr. Ez 37), così lo Spirito tiene unite le membra della Chiesa al loro capo che è Cristo. Guai “smembrare” il corpo. Fuori di metafora sono le invidie, le gelosie, le maldicenze che creano disunità e conflitti. Un cuore geloso – ha ammonito papa Francesco – è un cuore acido, un cuore che invece del sangue sembra avere l’aceto; è un cuore che non è mai felice, è un cuore che smembra la comunità”. Ma il Papa ha una parola “personale” per le diocesi della Romagna: “Saluto i fedeli delle diocesi della Romagna, con i loro vescovi, e li esorto a saper ricavare dal Vangelo i criteri ispiratori per la vita personale e comunitaria”. Emozione, gratitudine, gioia e voglia di attuare subito questo programma altissimo e semplice… Si è cominciato, già sui pullman che riportavano i pellegrini alle loro case: condivisione, fraternità e… pazienza.

    Un altro fatto caratterizza la settimana: straordinario anche se non “buca” la grande cronaca. A Pennabilli, nel monastero agostiniano sulla rupe, si spegne suor Michelina Calisti a cento anni e sei mesi di cui 77 di vita religiosa. Così la ricordano le sue Sorelle: “Michela, originaria di Maciano (frazione di Pennabilli) è stata un vero dono per tutte noi. La sua presenza, che negli ultimi due anni è stata silenziosa e sorridente, ci ha fatto sperimentare da vicino il senso e la preziosità dell’affidamento, della docilità, dell’amore grato che sorride ad ogni gesto di affetto e di cura. È stata per ciascuna uno spazio di accoglienza mai ritirato, nemmeno in quest’ultimo tratto di strada ove, negli istanti di coscienza, non ha cessato di sorridere, accarezzare, baciare ognuna. È spirata serena, naturalmente, come una lampada che ha dato tutto, fino all’ultima goccia di olio. Eravamo tutte con lei”.

     

     

     

    “I fatti e i giorni” dal 12 al 18 ottobre 2014

    Rigenerazione

    Un pensiero mi ha attraversato la mente. É stato come un lampo, ma l’ho subito scacciato. Questo il dubbio: ce la farà la piccola e nobile Repubblica di San Marino a superare questa crisi, la crisi morale di cui tutti sussurrano, di cui ci informa la stampa?
    Una parola ha preso il posto di quel pensiero importuno, la parola rigenerazione.
    Talvolta, in passato, s’è tenuto nascosto il male, oggi viene messo in luce. E questo non è, di per sé, un segno positivo? Non dall’esterno, ma dall’interno può avvenire il cambiamento.

    E chi ha sbagliato? Ammettiamolo, non sono pochi quelli che ne hanno goduto vantaggi. C’è invece chi si è sentito tradito nella fiducia accordata ad un sistema di cui era all’oscuro. Un’altra cosa è incontrovertibile: in tanti ci siamo disinteressati. “Chi crede di stare in piedi – direi con San Paolo – badi di non cadere”.
     
    Rigenerazione vuol dire anzitutto saper trarre profitto dai propri sbagli e ripartire.
    È giusto che chi ha sbagliato finalmente si riscatti, riconoscendo l’errore, e dando prova della nobiltà dell’animo che probabilmente non è venuta meno e restituisca.
     
    Rigenerazione è mostrare ai giovani la politica come servizio al bene comune, far ritrovare la fiducia nella gente che teme per il futuro ed educare a nuovi stili di vita necessariamente più sobri, ma forse più felici.
     
    Rigenerazione significa anche disponibilità al perdono; e perdono non è far finta di niente, al contrario! Comporta da una parte umiltà e dall’altra premura per la verità. Detto meglio: “caritas in veritate”.
    In una grande scuola media della nostra Repubblica è stato messo un cartello con una scritta a grossi caratteri: “Meglio una sconfitta pulita, che una vittoria sporca”.
     
    Rigenerazione è un appello alla responsabilità per tutti e a ciascuno per la sua parte. Insieme per il bene comune, diversi per le convinzioni, collaborativi nella convivenza delle ragioni. In tutti gli schieramenti ci sono tante persone che vogliono il bene della comunità.
    Non dimentichiamo i padri storici della Repubblica, gli ideali comuni, i germi di vita nuova che sono stati messi dentro di noi e le prospettive aperteci dai due grandi papi che ci hanno fatto visita. I cattolici ci stanno, mentre ribadiscono i valori a cui non sono disposti a rinunciare. Non vale dire: viveteli liberamente, ma teneteli per voi! I cattolici amano troppo la loro città per rinchiudersi nelle sagrestie: desiderano, senza arroganza, proporre ciò che, secondo ragione, ritengono il meglio per la società. È un atto di amicizia!
    Si può ripartire: non è troppo tardi per restituire alla comunità quanto è stato tolto, per restituire la speranza.

    + Andrea Turazzi, vescovo

    “I fatti e i giorni” dal 5 all’11 ottobre 2014

     

    Appena qualche riga, per favorire la comunione, per aprire piste di riflessione sul vissuto, per alimentare la preghiera…

    È iniziato a Roma il Sinodo straordinario dedicato alla famiglia; non c’è dubbio si tratti di un evento di grande interesse per tutti. Ci sono anche preoccupazioni su come potrà evolversi il dibattito. Papa Francesco, aprendo l’Assemblea straordinaria, ricorda ai Padri come si esercita la sinodalità: “Con chiarezza e umiltà”. È un invito ad un sereno e schietto confronto. La stampa – secondo un copione prevedibile – insinua ed esaspera antagonismi e persino duelli. Niente di tutto questo. Tutti hanno chiara la dottrina e la piena consapevolezza dei principi fondamentali riguardanti il matrimonio, ma insieme, si cercano linguaggi, forme, espressioni, comportamenti che siano il più possibile segno di vicinanza della Chiesa a chi è in difficoltà e non di esclusione da essa. E intanto la nostra comunità cristiana che fa? Segue, per quanto possibile, i lavori del Sinodo, ma soprattutto prega.

    Sabato scorso, 4 ottobre, sulle finestre dell’episcopio, del seminario e di qualche casa attorno brillavano delle luci: lumini accesi nella notte a significare la nostra partecipazione e il nostro accompagnamento orante a quanto sta accadendo a Roma. “Veni Creator Spiritus”. Lo scenario nazionale e internazionale continua ad essere inquietante. Si dirà: come sempre!

    Eppure è impossibile farci l’abitudine: l’efferatezza dell’Isis, l’avanzata preoccupante dell’epidemia di Ebola e, in casa nostra, il dibattito violento sul Jobs Act e la questione morale con nuovi arresti eccellenti a San Marino. Su questo sfondo già oltre modo pesante irrompe l’alluvione in Liguria. Può accadere che nell’anima scenda un velo di rassegnato scetticismo: che cosa ci possiamo fare? Si reagisce solo facendo la propria parte. Come il maestro indiano e la ragazzina diciassettenne pachistana che vincono il premio Nobel per la pace!

    Intanto ci si prova tessendo contatti e praticando la “comunione vissuta”; due importanti appuntamenti hanno caratterizzato la settimana: la riunione degli Uffici pastorali diocesani, esecutivo del Vescovo, che ha segnato il via al nuovo anno e l’incontro dei sacerdoti di recente ordinazione (dal 2004): una risorsa straordinaria per la nostra Chiesa.

     

     

    Omelia XXIX Domenica del Tempo ordinario Sante Cresime

    Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

    Monteboaggine, 12 ottobre 2014
    Sante Cresime

    (da registrazione)

    Cari ragazzi,
    tra poco, con l’imposizione delle mani da parte del vescovo – successore degli apostoli, anello di una catena che arriva fino a Gesù – mediante l’unzione del capo con l’olio profumato e con il sostegno di questa bella assemblea che prega con voi e su di voi, lo Spirito Santo scenderà in un modo speciale su di voi che oggi celebrate la Cresima.
    Ma chi è lo Spirito Santo?
    Avrete studiato che è la terza divina Persona della Trinità. Noi crediamo in unico Dio unità d’amore di tre persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: un grande mistero! Lo Spirito di Dio scende su di voi e la sua presenza è così discreta che quasi non lo percepirete – non “sentirete” niente quando vi ungerò la fronte – la sua voce è così delicata che occorre un profondo silenzio per capire il suo sussurro d’amore.
    Qualche volta mi è capitato di paragonare lo Spirito Santo ad un bacio. Che cosa c’è di più eloquente di un bacio? Cento milioni di parole non dicono quello che esprime questo gesto quando è autentico. Eppure il bacio è la cosa più silenziosa che c’è, perché non puoi parlare quando baci. Ebbene, il bacio del Signore scende su di voi. Quando tornerete a casa e sentirete ancora il profumo del crisma sulla fronte ricordatevi, siete stati baciati da Dio.
    Ritorna la domanda: Che cosa fa lo Spirito Santo in noi? Dio Padre lo pensiamo come creatore dell’universo; quando pensiamo alla seconda divina Persona, il Figlio, pensiamo a colui che si è incarnato: Gesù di Nazaret. E lo Spirito Santo? Propongo di percorrere almeno un tratto della vita di Gesù per vedere che cosa lo Spirito Santo faceva su di lui, sulla sua e nella sua umanità.
    Metto a fuoco alcuni passaggi:
    Primo episodio: Gesù va al fiume Giordano.
    Al fiume Giovanni battezzava. Non si trattava ancora di un sacramento, ma di un gesto penitenziale. La gente scendeva nelle acque del fiume; lui versava l’acqua sul capo dei penitenti mentre si immergevano per la purificazione. Quando arriva Gesù e sta per scendere nel fiume, Giovanni lo ferma: Gesù non ha bisogno di essere purificato (lo riconosce subito come Figlio di Dio). Giovanni si sente indegno di battezzarlo. Gesù con molta severità gli chiede di continuare. Si immerge nelle acque del fiume e si lascia battezzare da Giovanni, ma, in quel momento, accade un fatto straordinario, il più raccontato nel Nuovo Testamento, tanto doveva aver colpito i presenti. Fu come se il cielo si aprisse. L’espressione, che non ha niente a che fare con l’astronomia, è l’esperienza spirituale di una particolare presenza dello Spirito di Dio – come sarà tra poco qui in mezzo a noi -. Mentre il cielo si aprì furono udite queste parole: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Lc 3, 22). L’aggettivo “amato” nel testo sacro fu riferito soltanto ad Isacco, il figlio di Abramo. Ebbene, questa parola viene pronunciata misteriosamente su Gesù che sale dalle acque del suo battesimo. E ancora più stupefacente la terza parola udita in quel momento: “in te ho posto il mio compiacimento”, cioè “tu sei la mia gioia”.
    Mentre venivano dette queste parole fu visto lo Spirito Santo sotto forma di colomba; la colomba era una metafora eloquente per gli uomini del tempo che conoscevano bene le Sacre Scritture. Infatti, nel primo versetto della Bibbia è scritto che «lo spirito di Dio aleggiava sulle acque» (Gen 1, 1). Lo spirito di Dio “covava” il mondo nascente prima dell’esplosione della vita.
    Quello che è capitato a Gesù capiterà anche a voi che state per ricevere la Cresima. Lo Spirito di Dio scenderà su di voi come una colata di cielo. Ogni cristiano dovrebbe pensare di essere abitato dallo Spirito di Dio … pensate che dignità! Ecco perché ci battiamo per il rispetto di ogni persona. Lo Spirito di Dio in noi ci fa essere tesoro di Dio. Gesù preciserà: «Date a Cesare quel che è di Cesare…» (cfr. Mt 22, 21); “Dio vuole voi perché voi siete il suo tesoro”.
    Secondo episodio: Gesù è spinto nel deserto per essere tentato dal diavolo. Lo Spirito Santo fa con Gesù il gesto dell’allenatore con il suo atleta; gli dice: “Adesso tocca a te!”, lo spinge al combattimento. La vita è anche un combattimento. Lo Spirito Santo mise Gesù nella battaglia… per vincere! Lo Spirito Santo è il divino allenatore che non solo ci spinge nella battaglia, ma ci dà la forza e il coraggio necessari per vincere.
    Terzo episodio: lo Spirito Santo conduce Gesù in sinagoga, a Nazaret, il suo villaggio. Viene il momento della lettura. Il rabbi, tirato fuori il rotolo con le Scritture, lo diede a Gesù per leggere. Gli capitò questo versetto di Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me e mi ha mandato ad annunciare ai poveri il lieto messaggio, a dare la libertà ai carcerati, a sanare i lebbrosi, a far udire i sordi, a far vedere i ciechi e a proclamare a tutti il grande tempo della misericordia» (cfr. Is 61, 1). Gesù, deposto il rotolo, disse: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4, 21). Gesù aveva capito la sua vocazione, era il Messia. Lo Spirito Santo era l’origine della comprensione della sua vocazione e ne era la forza, ne era il programma, ne era lo slancio. Altrettanto fa lo Spirito Santo in noi. Ci sono persone che hanno intrapreso la vita del matrimonio; insieme all’umana attrattiva, all’amore, la presenza dello Spirito gli ha messo davanti un progetto stupendo: formare una famiglia, costruire una casa, avere un futuro. Ieri ho ascoltato la testimonianza di una suora missionaria che da 28 anni fa servizio nel Malawi, un paese poverissimo dell’Africa, decisa a diventare mamma di chi non ha mamma.
    Dunque lo Spirito Santo è la garanzia incancellabile della nostra grande dignità: siamo figli, siamo amati, siamo la gioia di Dio, il suo tesoro. Poi, lo Spirito Santo è forza che ci incita e ci sostiene nel combattimento della vita. Infine, lo Spirito Santo è l’origine di ogni progetto d’amore.

    Omelia XXIX Domenica del Tempo ordinario

    Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

    Novafeltria, 12 ottobre 2014

    Convegno Giovanissimi e Giovani AC

    (da registrazione)

     

    Cari ragazzi, cari giovani,
    da vari mesi sono con voi. Scatto una fotografia della nostra diocesi; considerato che vengo da fuori, può essere sfuocata o non del tutto chiara perché presa da un angolatura non ancora perfetta. Quello che vedo è questo: “La Chiesa Sanmarinese-feretrana ha una lunga e venerabile tradizione: è terra prediletta, abitata da una popolazione tenace, schietta, aperta ai valori spirituali e umani. Fondata da due missionari – Marino e Leone – ha espresso lungo i secoli una geniale inculturazione della fede cristiana. Ne fanno testimonianza la memoria di santi e beati, le comunità monastiche e religiose che l’hanno scelta come ambiente ideale, le pievi che trapuntano il suo territorio, l’ininterrotta trasmissione dei contenuti del Cristianesimo attraverso la famiglia. Sul monte Titano è sorta un’esperienza sorprendente di socialità e di libertà civile, guardata con ammirazione dal consesso delle nazioni: la Repubblica di San Marino, fedele alle sue radici da oltre 1700 anni! Sul monte Feretrum – che dà il nome al territorio adiacente – hanno trovato unità, sotto la guida del vescovo, le popolazioni delle valli attorno divenute talvolta oggetto di contesa dei potenti di turno. Restano testimonianze di pietra (pietre “che pregano”), di preziosi documenti e di arte. Anche il più piccolo borgo, come uno scrigno, custodisce gioielli. Il vescovo Antonio Bergamaschi, mio predecessore, ha iniziato la raccolta e la custodia di alcune di queste testimonianze per preservarle dalla dispersione e valorizzarle maggiormente. Ma la testimonianza più forte è la vitalità di questa diocesi, piccola come entità geografica, ma completa: un corpo con la vivacità delle sue articolazioni. L’ininterrotta catena episcopale (per alcuni anni quella dei vescovi della vicina Rimini), la tiene saldamente ancorata alla Chiesa di Roma, mentre la partenza di tanti missionari per terre lontane l’ha aperta e la apre sul mondo intero (i missionari ad gentes). Attualmente, dopo la nuova configurazione (1977) e la ripresa dei vescovi residenti, ha avuto nuovo slancio, ha riqualificato l’impianto pastorale e rinforzato la formazione di clero e laici: una preziosa eredità lasciata dagli arcivescovi Paolo e Luigi. E’ desiderio di tutti che nulla vada perduto, neppure i frammenti (cfr Gv 6,12): i segni della fede, le tradizioni, le piccole parrocchie, le devozioni… e soprattutto i frutti di santità (oltre ai due santi fondatori, la nostra Chiesa celebra 15 beati). In diocesi operano 53 sacerdoti, 8 diaconi e 22 religiosi. Dal primo incontro ho constatato una curia ben organizzata: cancelleria, vicariato, economato, segreteria; avvalentesi dell’impegno di sacerdoti e di laici. Accanto alla curia è attivo l’Istituto di Sostentamento del Clero e l’Ufficio Comunicazioni sociali. Fanno parte dell’esecutivo del Vescovo gli Uffici pastorali, in servizio per tutta la diocesi. La nostra diocesi è ricca di movimenti, gruppi, associazioni, impegnati per la formazione dei laici, il servizio della carità e l’animazione culturale. Un ruolo particolare riveste, per la sua natura, l’Azione Cattolica. Una delle caratteristiche della nostra diocesi è la presenza della vita consacrata: mani alzate verso il cielo e mani che soccorrono e lavorano (20 le religiose di vita attiva e 49 le Sorelle claustrali). Una radice nascosta vivifica mirabilmente la nostra Chiesa: è l’offerta quotidiana della sofferenza degli ammalati e degli anziani e l’innocenza dei piccoli”.

    Questa la fotografia della nostra Chiesa locale di San Marino-Montefeltro. Mi chiedo spesso: “Signore, tu che cosa vuoi da noi? Noi siamo tuoi, abbiamo messo a tua disposizione il nostro cuore, la nostra intelligenza, i nostri piedi, le nostre mani… che cosa ci chiedi?”. Viene fuori l’esigenza di un progetto. Voi siete la parte più giovane della comunità, è giusto che sappiate verso quale direzione vogliamo andare. Quando ero bambino ricordo come papà faceva progetti sulla casa, sul lavoro, sulla famiglia; gli sono grato perché anch’io venivo messo a parte dei progetti e responsabilizzato.
    Nella nostra diocesi, avete un posto importantissimo. Per questo vi vogliamo mettere a parte del programma pastorale. L’aggettivo “pastorale” deriva dalla prerogativa di Gesù “buon Pastore”; è lui che ci guida, mentre noi ci proponiamo di essere al suo servizio. Vogliamo costruire insieme il programma pastorale; ci vorrà tempo, ma è la cosa più necessaria, più utile e anche la più bella: è il tentativo di tradurre il battito del cuore di Gesù. Permettete una confidenza: uno dei film che da bambino mi ha fatto pensare alla vocazione era “Marcellino, pane e vino”. Marcellino mette la guancia sulla guancia del crocifisso, il suo cuore sul cuore di Gesù… come se volesse sentire i suoi battiti,

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    e sente l’amore che Gesù ha per tutte le persone. In attesa di capire chiaramente che cosa dobbiamo fare, ci prefiggiamo due obiettivi da seguire. Il primo è conoscere, seguire e valorizzare il calendario liturgico; nell’anno liturgico abbracciamo il mistero del Signore nella sua interezza e nel suo rudimento; cerchiamo di viverlo bene e di farlo vivere sempre più in profondità. Il secondo grande obiettivo, un’invenzione pastorale, ma molto utile e azzeccato, è riscoprire la parrocchia, anche se piccola. Ogni parrocchia è una famiglia di cristiani che si riunisce, una famiglia di famiglie che prende il vangelo sul serio e che ha la fortuna di avere l’Eucaristia (alcune parrocchie questa fortuna non l’hanno, perché molto piccole, però possono andare nella parrocchia vicina o custodirla nella propria chiesa). La vita della parrocchia è cara a tutti: in parrocchia si nasce e si viene battezzati, si cresce e si comincia l’iniziazione cristiana, si fa gruppo, si progetta il matrimonio, si accompagnano i figli e si è accompagnati nell’ultimo tratto dell’esistenza…

    Abbiamo davanti a noi due emergenze.
    Se chiudete gli occhi e pensate alla parrocchia che cosa vi viene in mente? Un campanile, la chiesa, il prete, le case d’intorno… sembra impossibile possa esistere una parrocchia senza il campanile, la chiesa e il prete, però i preti diventano sempre meno. Questa circostanza, unita ad altre, ci provoca a cercare un “nuovo assetto” della diocesi.
    Pensiamo ai primi cristiani; leggiamo il capitolo 16 della Lettera di San Paolo ai Romani. «Vi raccomando Febe, nostra sorella, diaconessa della Chiesa di Cencre: ricevetela nel Signore, come si conviene ai credenti, e assistetela in qualunque cosa abbia bisogno; anch’essa infatti ha protetto molti, e anche me stesso. Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù…». E seguono poi i nomi di una infinità di fratelli e sorelle che “lavorano molto” per il Signore e per la comunità. Potremo dire che è una fotografia ante litteram dell’Azione Cattolica. Vengono nominate le persone nella cui casa si radunavano dei cristiani: molte erano coppie di sposi (e questo è molto significativo e bello!). Viene in rilievo la vocazione stupenda dei laici. Avete ricevuto sacramenti che vi fanno “altri Gesù”, allora in questo “nuovo assetto” voi siete i responsabili. Il sacerdote è indispensabile per l’Eucaristia, per la celebrazione del perdono dei peccati, ma le nostre comunità diventano sempre più vive e attive, come vuole il Signore, se spuntano in mezzo a noi carismi, doni e disponibilità al servizio.
    L’altra sfida è la grande apostasia che stiamo vivendo, un popolo intero che abbandona la fede.
    E noi che cosa possiamo fare? Possiamo far conoscere Gesù, il suo Regno e la sua giustizia. Più che portare Gesù, il nostro primo obiettivo è quello di essere Gesù. Là dove è chiamato a vivere, ognuno di noi è la Chiesa. Pensate alla sfera; tutti i punti della sua superficie, indifferentemente, possono reggerla interamente. Ognuno di voi, cari ragazzi, è la Chiesa. Mi complimento con voi, non mi affanno, perché il Signore conta su di voi ed io so che, all’università, in discoteca, in palestra, ci siete voi. E voi, con me, portate la gioia del Vangelo! Grazie

    Lettera aperta…

    Rigenerazione
    Un pensiero mi ha attraversato la mente. É stato come un lampo, ma l’ho subito scacciato. Questo il dubbio: ce la farà la piccola e nobile Repubblica di San Marino a superare questa crisi, la crisi morale di cui tutti sussurrano, di cui ci informa la stampa?
    Una parola ha preso il posto di quel pensiero importuno, la parola rigenerazione.
    Talvolta, in passato, s’è tenuto nascosto il male, oggi viene messo in luce. E questo non è, di per sé, un segno positivo? Non dall’esterno, ma dall’interno può avvenire il cambiamento.

    E chi ha sbagliato? Ammettiamolo, non sono pochi quelli che ne hanno goduto vantaggi. C’è invece chi si è sentito tradito nella fiducia accordata ad un sistema di cui era all’oscuro. Un’altra cosa è incontrovertibile: in tanti ci siamo disinteressati. “Chi crede di stare in piedi – direi con San Paolo – badi di non cadere”.
     
    Rigenerazione vuol dire anzitutto saper trarre profitto dai propri sbagli e ripartire.
    È giusto che chi ha sbagliato finalmente si riscatti, riconoscendo l’errore, e dando prova della nobiltà dell’animo che probabilmente non è venuta meno e restituisca.
     
    Rigenerazione è mostrare ai giovani la politica come servizio al bene comune, far ritrovare la fiducia nella gente che teme per il futuro ed educare a nuovi stili di vita necessariamente più sobri, ma forse più felici.
     
    Rigenerazione significa anche disponibilità al perdono; e perdono non è far finta di niente, al contrario! Comporta da una parte umiltà e dall’altra premura per la verità. Detto meglio: “caritas in veritate”.
    In una grande scuola media della nostra Repubblica è stato messo un cartello con una scritta a grossi caratteri: “Meglio una sconfitta pulita, che una vittoria sporca”.
     
    Rigenerazione è un appello alla responsabilità per tutti e a ciascuno per la sua parte. Insieme per il bene comune, diversi per le convinzioni, collaborativi nella convivenza delle ragioni. In tutti gli schieramenti ci sono tante persone che vogliono il bene della comunità.
    Non dimentichiamo i padri storici della Repubblica, gli ideali comuni, i germi di vita nuova che sono stati messi dentro di noi e le prospettive aperteci dai due grandi papi che ci hanno fatto visita. I cattolici ci stanno, mentre ribadiscono i valori a cui non sono disposti a rinunciare. Non vale dire: viveteli liberamente, ma teneteli per voi! I cattolici amano troppo la loro città per rinchiudersi nelle sagrestie: desiderano, senza arroganza, proporre ciò che, secondo ragione, ritengono il meglio per la società. È un atto di amicizia!
    Si può ripartire: non è troppo tardi per restituire alla comunità quanto è stato tolto, per restituire la speranza.

    + Andrea Turazzi, vescovo

    Omelia XXVIII Domenica del Tempo ordinario

    Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

    Convegno delle famiglie a Novafeltria, 12 ottobre 2014
     
     
    Is 25, 6-10
    Sal 22
    Fil 4, 12-14.19-20
    Mt 22, 1-14
     
     

    È la terza parabola del giudizio (dopo quella dei due figli e quella dei vignaioli omicidi).
    Il tragico rifiuto di Gesù da parte dei capi della nazione giudaica apre la strada al nuovo popolo di Dio, a motivo dell’adesione di fede in Gesù.
    Il nuovo popolo di Dio, la Chiesa, è tale non più in forza di una determinata appartenenza etnica e politica (cf. Israele storico), ma unicamente per la fede in Gesù e per la “nuova giustizia” che lo manifesta. È perciò un popolo variopinto: giudei e pagani, capi del popolo ed umili artigiani, uomini di prestigio e poveri, aristocrati della virtù e peccatori… piccoli e anziani.
    Nella parabola Dio è paragonato ad un re; il tempo messianico ad una festa di nozze per l’erede al trono (i primi cristiani lo identificano con Gesù); la nazione giudaica agli “invitati” per eccellenza.
    Ma ecco il dramma: Israele rimane sordo alla chiamata ed oppone un secco rifiuto a Gesù, un rifiuto talmente ruvido che il Padre, sdegnato, punisce severamente la grettezza degli invitati. I pagani e i peccatori diventano, nella nuova economia di salvezza, gli invitati di diritto.
    Originariamente la parabola si concludeva qui.
    Matteo invece, sollecitato probabilmente da una interpretazione troppo larga e quietista della parabola, serpeggiante fra alcuni cristiani dei primi tempi, ribadisce che non è sufficiente appartenere alla comunità della Chiesa e poi dispensarsi dalle esigenze della “vita nuova” evangelica! Dunque Matteo rielabora la parabola con il particolare della veste nuziale che tutti indossano entrando al banchetto, eccetto uno degli invitati. È vero che la chiamata al banchetto del Regno è gratuita, ma non si pensi che non abbia delle esigenze. Anzi, anche i chiamati devono vivere gioiosamente la “nuova giustizia”. La fede in Gesù è inseparabile dalla nuova esistenza morale che essa comporta. Credere a lui è seguirlo sulla via della croce, è impegno fattivo di testimonianza, è imitazione del maestro che dà la lezione del servo. Questo è l’insegnamento centrale della parabola e della sua appendice.
    Dopo aver accolto tale insegnamento suggerisco due esercizi pratici per la settimana che ci aspetta. Il primo esercizio consiste nel porci idealmente ad un incrocio di strada, o in una piazza, o in qualsiasi luogo dove c’è via vai di gente e considerare come ognuna di quelle persone sia personalmente amata dal Signore, candidata alla sua amicizia e affidata alla mia responsabilità.
    Il secondo esercizio è simile al primo: considerare come il Signore – il Signore che sente perfino il pianto di un bambino nel deserto – mi ha visto, mi ha amato con amore di predilezione, mi ha fatto suo e mi invia ai miei fratelli («Va’ dai miei fratelli» cf. Gv 20,17).
    Questo è l’invito che rivolge a ciascuno. Questo è l’invito che il Signore rivolge ad ogni famiglia, ad ogni famiglia che vuole essere veramente aperta!