Omelia in occasione della Festa del perdono con i giovani
Borgo Maggiore (RSM), 29 marzo 2019
Gn 50,15-21
Vi consegno questo pensiero che ricavo dalla lettura dell’ultima parte del libro della Genesi (cfr. Gn 42-50). Mi sono imbattuto in un personaggio che, fra tutti, è quello che piange di più. Molte delle sue lacrime sono lacrime di gioia, di commozione, di riconoscenza, di stupore. Ma il settimo pianto è un pianto di dolore, un dolore del cuore.
Il personaggio a cui accenno è Giuseppe, figlio di Giacobbe, quello che i fratelli per gelosia e per invidia hanno spogliato di tutto e venduto a mercanti che scendevano in Egitto, finito poi nelle carceri egiziane. Aveva dei sogni nei quali era prefigurato che un giorno sarebbe stato il salvatore della famiglia, del padre, dei fratelli e di tutte le persone della tribù. Così accadde. Venne accolto alla corte del Faraone e, prevedendo la carestia che sarebbe sopraggiunta, aveva accumulato il grano in grandi riserve. Anche da Israele scesero per comprare grano. Un giorno vi si recano anche i suoi fratelli, senza sapere che era lui il grande amministratore di questa operazione. La prima volta che Giuseppe piange è quando riconosce i suoi fratelli. Si ritira in una stanza per piangere. Non vuole farsi vedere. Successivamente propone ai fratelli di portare con loro il fratello più piccolo, Beniamino, ma non vorrebbero perché sarebbe uno strazio per il padre. Sono costretti a farlo. Quando Giuseppe riconosce Beniamino si commuove e piange. In successivi momenti è lui che si fa riconoscere e abbraccia i suoi fratelli. Piange di gioia. Vuole che Giacobbe, suo padre, scenda anche lui in Egitto. Verrà, lo riabbraccerà e saranno altre lacrime di gioia. L’ultimo pianto, stavolta di dolore, avviene quando, morto Giacobbe, i fratelli si presentano a Giuseppe e gli dicono: «È morto il nostro padre. Adesso siamo come nudi davanti a te, non abbiamo più nessuno che ci protegga e ci difenda. Tu ti vendicherai, ora che non c’è più lui». In verità pensano che ora verrà fuori da Giuseppe tutto l’astio che ha verso di loro. Invece non è così. Giuseppe piange per la delusione, perché i suoi fratelli non riescono a credere nel suo amore fraterno, né a persuadersi che li abbia effettivamente perdonati.
Non so se il Signore piange. Ma vedo nelle lacrime di Giuseppe quelle del Signore quando ci sottraiamo alla sua misericordia. San Paolo scrive: «Vi supplichiamo, lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,18-20). Dunque è lui che fa il primo passo verso noi. Davvero il suo cuore è riconciliato e ci precede. Vorrei che tornassimo a casa, stasera, con questa certezza dentro di noi: se, entrando in noi stessi, vediamo i nostri peccati e i nostri limiti, non disperiamo. Ci sovvenga un’altra parola della Scrittura: «Il cuore di Dio è molto più grande del nostro» (cfr. 1Gv 3,20). Viviamo così la Pasqua di quest’anno: credere all’amore di Dio, credere che Dio ci ama immensamente.