Omelia della XVII domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Colonia sammarinese a Chiusi della Verna, 30 luglio 2017

Mt 13,44-52

(da registrazione)

Oggi siamo immersi nella più bella basilica esistente: il grande tempio della natura. Osserviamo le diverse gradazioni di verde, il blu del cielo, gli alberi che si ergono come colonne… E tutti noi uniti insieme: bambini e ragazzi di tutte le età, giovani educatori ed animatori, adulti. Gli adulti che son venuti a La Verna da ragazzi – cinquant’anni fa insieme a don Peppino – sono stati i pionieri che hanno reso bello questo luogo, con molti sacrifici nei primi tempi. Per tutto questo lodiamo il Signore.

Che cosa raccomanda oggi Gesù a noi che siamo riuniti in questo grande tempio della natura? Che cosa ci invita a fare non solo questa settimana, ma per tutta la vita?
Gesù vorrebbe persuaderci – anche se in molti non si lasciano persuadere – che il Regno di Dio (modo di dire che indica il suo cuore, la sua persona) è la cosa più bella, più ricca, più utile, più necessaria che ci sia. Il Regno di Dio si può paragonare ad un tesoro, ad una perla preziosa, ad una rete piena di pesci. Tre immagini per indicare qualcosa di molto prezioso. Paragoni significativi per la gente del suo tempo. Oggi avrebbe trovato probabilmente altre similitudini. Ma anche per noi tali immagini sono stupefacenti.
Gesù vuol dirci: «Persuaditi, la mia amicizia verso di te è la cosa più preziosa che ci sia, fidati».
Gesù ci invita ad essere scaltri come colui che ha scoperto il tesoro in una terra brulla, apparentemente inospitale, una terra che nessuno si sarebbe mai sognato di comprare. Egli ha dovuto affrontare sicuramente il sarcasmo dei concittadini e le critiche dei familiari, ma, incurante di loro, ha speso tutto ciò che aveva per acquistare quel campo.
Poi, Gesù loda chi cerca la perla, la cerca dappertutto: nel suo paese, nella sua regione, nella sua nazione… Non smette mai di cercare. È un collezionista.

Qual è il fazzoletto di terra in cui trovare il tesoro? In quale posto si trova la perla preziosa?
Il tesoro è dentro di noi, nel nostro cuore, nell’amicizia appena sbocciata con il Signore Gesù. Il suo Regno è dentro di noi. Per questo dobbiamo essere astuti come colui che ha trovato il tesoro, come San Francesco d’Assisi che ha abitato questi monti. Qualcuno l’ha sgridato: suo padre, la gente del suo tempo. Gli hanno dato del pazzo, ma lui era più furbo di tutti. Continuiamo a cercare!
La mia famiglia, il mio campo a Chiusi della Verna, Colonia San Marino, sono il luogo del tesoro, il luogo in cui trovare la perla preziosa. Non dobbiamo dire: «Ah, se fossi in un altro posto, se fossi in un’altra famiglia!». No, il tesoro è proprio qui.  Dobbiamo accettare che nel nostro pezzo di terra, oltre al tesoro che sta sotto, ci siano anche le erbacce, le ortiche, i sassi, gli insetti… Dobbiamo abbracciare il “pezzo di terra” che il Signore ci ha dato con tutto quello che contiene, ma cercando ogni giorno il tesoro che vi sta nascosto.

Concludo con una parabola moderna inventata da me. Nella mia città di origine, Ferrara, c’è un bellissimo palazzo costruito nel 1400. Si chiama Palazzo dei Diamanti. Esso è completamente rivestito di pietre appuntite a forma di diamante. Sono tantissime, saranno almeno diecimila. Una leggenda dice che in una di quelle pietre è nascosto un diamante. Quando mi capita di passare per la strada dove si trova il palazzo mi sembra tutto mi sembra fatato, semplicemente perché so che in una punta c’è un diamante. Il fatto di sapere che in una delle punte si trova un diamante rende il palazzo più bello, fatato, affascinante. È quello che capita nella nostra vita quotidiana. Abbiamo davanti a noi una nuova settimana. Sarà bellissima, perché ci sarà un momento in cui tra noi e Gesù avverrà un “ciak” che renderà tutto più bello, trasfigurato.

Periodico Montefeltro luglio-agosto 2017

Scuola estiva

Sorpresi! No. Le Agostiniane di Pennabilli ci stanno coinvolgendo sempre più con le loro proposte di incontro e di studio.
Sappiamo bene che sulla rupe sono tutt’altro che estranee a quanto accade nel mondo. Vedono, patiscono e pregano per chi soffre a causa della violenza. La loro postura è ben altra rispetto a quella dell’antico filosofo che dall’alto della
scogliera guarda distaccato l’incresparsi minaccioso del mare. Si fa ogni giorno più necessario il cammino educativo che porti a smascherare la violenza che è in noi e a liberarcene: sostituisci il cuore di pietra,
o Signore, con il cuore di carne(cfr. Ez 36,26).
Facciamo nostre le parole di papa Francesco ispiratrici di questo percorso.

+ Andrea Turazzi

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Camminata del risveglio

Lettera del Vescovo ai fedeli della diocesi di San Marino-Montefeltro

Carissimi fratelli e sorelle,
risuona ogni anno l’invito alla “Camminata del risveglio” al Santuario Madonna del Faggio (Eremo di Carpegna, comune di Montecopiolo PU). Siamo attesi e desiderati dalla Madonna domenica 20 agosto. Le partenze seguiranno il programma che i referenti delle comunità hanno stabilito. L’arrivo presso la croce sui prati del Santuario è alle ore 9.

È una tradizione bella: risveglia in tanti la gioia, rinnova lo slancio della fede, affratella le genti del Montefeltro e oltre il Montefeltro.

È una chiamata che deve raggiungere tutti: “I mille dell’anno scorso e ‘gli altri mille’ che sapremo coinvolgere”. Per la prima volta abbiamo osato invitare i catechisti con i loro ragazzi.

È un appuntamento centrale nella vita della diocesi di San Marino-Montefeltro: chiedo ai parroci di favorirlo e ai gruppi di unirsi a questa salita che ricomporrà, ai piedi della Madonna del Faggio, la nostra famiglia, il fiore da lei prediletto.

Le nostre suore ci accompagneranno con la preghiera, altrettanto faranno i malati che avremo visitato nei giorni precedenti. Le monache offriranno un tempo e un luogo di raccoglimento per prepararci al pellegrinaggio anche col sacramento della Riconciliazione (i dettagli verranno precisati dai referenti).

Ognuno può domandare alla Madonna ciò di cui ha bisogno. Ma c’è una preghiera che innalzeremo coralmente, tutti e tutti insieme: chiederemo una speciale benedizione per i nostri giovani. Faccio mio e rilancio l’oracolo del profeta Zaccaria: «In quei giorni ogni abitante di Giuda sarà preso per il lembo del mantello da dieci stranieri, di lingue diverse, che gli diranno: vogliamo venire insieme a voi, perché abbiamo compreso che Dio è con voi» (Zac 8,23). La “Camminata del risveglio” è un gesto missionario ed immagine di una Chiesa in uscita.

Vi aspetto, mentre invoco su ciascuno la benedizione del Signore

+ Andrea Turazzi

Omelia XIV domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

La Verna, 9 luglio 2017

Campo adulti Azione Cattolica

Mt 11,25-30

(da registrazione)

Il Vangelo registra un’esplosione di gioia di Gesù. La redazione dell’evangelista Luca è più esplicita, perché dice che Gesù «esultò di gioia nello Spirito Santo ed esclamò: “Ti rendo lode…”» (Lc 10,21).
Gesù ha vissuto altri momenti di gioia; ad esempio alle nozze di Cana a cui partecipa per far festa con gli sposi, e addirittura trasforma l’acqua in un vino migliore del precedente, oppure quando Maria di Magdala rompe davanti a lui il vaso di profumo che si effonde per tutta la casa e ne gioisce, a dispetto del brontolio di Giuda.
Nel brano odierno la gioia di Gesù viene motivata da un fatto che l’ha commosso. Gesù ha appena svelato i segreti del Regno e ha visto che molti che hanno la presunzione di essere dotti nelle Scritture non riescono a capirli, mentre «i piccoli», i semplici, ne colgono il significato. Ritorna alla mente il brano dell’Antico Testamento in cui Nabucodonosor ebbe una visione che nessuno a corte è in grado di interpretare, tranne il piccolo Daniele. La conoscenza del Signore, dunque, non è appannaggio delle persone superdotate intellettualmente, non proviene da raffinati corsi di filosofia, ma è per tutti. Non che Gesù disprezzi la cultura, lo studio, il sapere; anzi, da bambino interrogava e rispondeva ai dottori del tempio di Gerusalemme e tutti erano ammirati dalla sua sapienza. Gesù vuol dirci che c’è una conoscenza che viene dal mettersi, come lui che è figlio – che è, quindi, «un piccolo» –, nella relazione col Padre. Nell’esperienza della relazione col Padre si trova il sapere che dà sapore.
La conclusione è: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi» (Mt 11,28). Noi, di solito, intendiamo «stanchi e oppressi» per i fatti della vita, ma, in questo contesto, gli stanchi e gli oppressi erano quelli che giacevano sotto il peso della legge, di una selva sterminata di prescrizioni che si dovevano osservare; quasi tutte giustissime, ma che non erano capite nella giusta prospettiva. Gesù afferma che tutta la legislazione e tutto il sapere dell’Antico Testamento può essere un gravame.
In realtà, nel testo c’è anche una sottile vena polemica. Infatti, il Vangelo di Matteo è stato scritto pensando soprattutto agli Ebrei, quindi per i cristiani provenienti da un giudaismo da cui devono imparare difendersi.
Le più belle melodie sono leggibili e cantabili soltanto se ci si mette nella prospettiva di Gesù, nell’esperienza di una vita filiale. «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Consideriamo questo Vangelo anche nella prospettiva dell’Inno alla carità (cfr. 1Cor 13) che abbiamo meditato questa mattina. Se possedessimo tutte le scienze e conoscessimo tutte le lingue, ma non avessimo la carità, cioè non avessimo un legame filiale con il Signore, cioè non accogliessimo il suo amore, non saremmo nulla; anche se compissimo opere strepitose, guarigioni, o sapessimo darci alle fiamme del martirio, ma non avessimo in noi l’amore, non saremmo nulla.

Omelia XIII domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Romagnano, 1 luglio 2017

Pellegrinaggio marina dei “primi cinque sabati del mese”

Mt 10,37-42

(da registrazione)

Proseguiamo nella pratica dei “primi cinque sabati del mese”. La Madonna, attraverso questa sequenza di cinque sabati, vuole stringerci sempre più forte a Gesù.
Ringrazio don Ezio Ostolani e i fedeli di Romagnano che ci hanno ospitato. Essere qui stasera è una grazia. Come abbiamo cantato nel Salmo 88, siamo qui per «cantare per sempre l’amore del Signore». La nostra vita ha come scopo la dossologia, cioè la lode e il ringraziamento. Così riportava il Catechismo: «Dio ci ha creati per amarlo, servirlo, lodarlo in questa vita e per goderlo nel Paradiso». Questo è il principio e il fondamento di tutta la vita cristiana: essere per la lode di Dio. Si diventa “voce” di tutte le creature che lodano il Signore.
Apriamo il Vangelo. Questa sera, in realtà, il Vangelo “apre” noi, perché ci inquieta. Quando ci si raduna per la lettura del Vangelo, se si esce un po’ turbati e scossi vuol dire che la Parola di Dio ha raggiunto il bersaglio. Quando invece si esce dalla porta della chiesa senza un interrogativo, senza una perplessità, senza un dubbio, vuol dire che la Parola di Dio è spiovuta su di noi, ma è scivolata via. Abbiamo bisogno che il Vangelo ci scuota con la sua forza dirompente.
Nel Vangelo di questa domenica incontriamo dieci frasi introdotte da un “chi”, pronome relativo. «Chi ama padre o madre, chi ama figlio o figlia…» (Mt 10,37).  Si possono dividere in due gruppi. I primi cinque “chi” riguardano le condizioni richieste a chi è discepolo di Gesù. Vuoi essere discepolo di Gesù? Sappi che è una cosa seria. Anche se si è deciso da tempo di esserlo, nel percorso arriva sempre un momento in cui Gesù ci provoca a fare un passo; qualche volta arriva a chiedere anche l’eroismo.
Personalmente, mi sento di affrontare i cinque “chi” che sono le condizioni per essere veri discepoli di Gesù soltanto nella preghiera. Quello che chiede il Signore è molto impegnativo. Egli non vuole dei discepoli “con riserva”, dei discepoli “part-time”. Egli non vuole molto da me, vuole tutto. Magari ho un cuore piccolo, una mente piccola, non importa; Gesù vuole semplicemente tutto. Almeno come tensione, come desiderio. Si sa che scivoliamo tanto facilmente nelle nostre fragilità.
Passo alla seconda sequenza di “chi”. Siamo alla fine del cap. 10 di Matteo, il capitolo dedicato agli araldi del Vangelo. Gesù dedica le ultime battute a far sì che sappiamo essere accoglienti con chi viene ad annunciarci il Vangelo. Chi è il messaggero del Vangelo? Sicuramente il nostro parroco, quando passa di casa in casa a benedire le famiglie, o quando viene a far visita ad un ammalato, oppure quando viene a portare la Santa Comunione, il primo venerdì del mese… E poi, chi ci annuncia il Vangelo? La persona che mi porta una testimonianza, la persona che, vedendo in me un fratello o una sorella, mi accoglie. Il secondo grappolo di frasi introdotte dal “chi” riguarda questa capacità: la generosità di saper accogliere i messaggeri del Vangelo.
Nell’Antico Testamento abbiamo sentito parlare della donna Sunammita, una donna illustre e facoltosa, che accolse il profeta Eliseo e venne ricompensata. In quel caso la ricompensa fu che ebbe la possibilità di concepire un figlio, ma sono tante altre le ricompense che il Signore può dare, inimmaginabili. Ad un sacerdote il Signore dona una paternità grande, vera, non simbolica, ed anche a chi è vicino ai sacerdoti. Penso alla mia famiglia che inizialmente era molto chiusa e, quando a mio fratello sacerdote è partito missionario, si è allargata e ha adottato persone che mai avremmo potuto immaginare di conoscere.
C’è una frase che appartiene al primo grappolo di “chi” che merita una spiegazione in più.
«Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me» (Mt 10,38). Cosa vuol dire prendere la propria croce? Sono stati spesi fiumi di inchiostro su questa frase originalissima. Nessuno osò parlare di croce prima di Gesù. Erode aveva abolito la crocifissione per l’eccessiva crudeltà; poi suo figlio la reintrodusse e toccò a Gesù.
Quando Gesù parla di «prendere la croce» non intende martirizzare i suoi discepoli, anzi, li vuole felici. Gesù vuol dirci che la croce è un segno di vittoria. «Prendere la croce» significa credere che l’amore vince, che si trova la vita donandola, che quando si spende la vita per gli altri, per la famiglia, per la diocesi, la si salva. Il Signore dice ad ognuno di noi: «Prendi la croce, non aver paura, è un segno di vittoria. Io ne ho portato il peso, a te do il gusto di sapere qual è il suo vero significato». Così sia.