28 maggio – La piaga da cui è scaturito lo Spirito

Giovanni è l’apostolo che ha dato la più alta definizione di Dio: Dio è amore. Fu amato da Gesù con particolare predilezione (è detto cinque volte nei Vangeli: «Il discepolo che Gesù amava»): a lui svelò segreti che non disse a nessun altro. Lo ha chiamato dall’azienda ittica di Zebedeo insieme al fratello Giacomo e all’altra coppia di fratelli, Simone e Andrea, facendone un «pescatore di uomini». Anche Giovanni amava Gesù e lo ha seguito fin sotto la croce, accanto a Maria. Giovanni – lo dice la tradizione – non fu sposato, vivendo in quella condizione che, quando viene scelta per amore, anticipa quella futura della risurrezione, la verginità. Forse per questo Gesù l’ha voluto sempre accanto a sé nei momenti salienti e, nell’Ultima Cena, ha lasciato che posasse dolcemente il capo sul suo petto.
«Sono nel cenacolo – dice Giovanni –, insieme alla madre di Gesù ed agli altri apostoli, pieno di gioia per la discesa dello Spirito Santo. Tutti abbiamo riconosciuto che lo Spirito Santo è quello Spirito di cui parlano le Scritture dall’inizio alla fine: lo Spirito che aleggiò sulle acque primordiali e trasse dal nulla l’universo; lo Spirito donato all’uomo, che l’ha reso un essere vivente; lo Spirito che ha fatto rivivere le ossa aride, nella profezia di Ezechiele; che, nella colomba di ritorno nell’arca, proclama la vittoria della vita sulla morte. Realtà stupende!
C’è un’altra esperienza che ho compreso pienamente soltanto nel momento della Pentecoste. Mi sono rivisto ai piedi della croce insieme a Maria. Su quell’orribile supplizio Gesù era inchiodato da più ore. Conoscevo bene l’amore di Gesù, la sua dedizione senza calcoli, la sua tenerezza soprattutto verso i piccoli e verso i peccatori. Sapevo che il segreto di tutto era lo Spirito a cui era unito. Lo disse apertamente nell’ultimo giorno della grande festa dei Tabernacoli, quando gridò: “Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me. Come dice la Scrittura, “fiumi di acqua viva scaturiranno dal suo seno”. E fu proprio così, ho visto sangue e acqua uscire dal suo costato trafitto. Ne sono testimone, ero presente. Fu l’adempimento di una promessa ripetuta tante volte: “Non vi lascerò orfani, manderò a voi il Consolatore, il Paraclito”. Ma perché fosse elargito lo Spirito bisognava che lui se ne andasse, separandosi da noi. Francamente, a noi questo apparve incomprensibile». «Me ne rendo conto ora – continua Giovanni –, Gesù ci consegnò lo Spirito Santo versando il suo sangue. Per noi ebrei – si sa – il sangue è la linfa vitale, la realtà che voi occidentali chiamate anima. Lo consegnò insieme al suo ultimo respiro, assicurandoci che “tutto era compiuto”. Non c’è amore più grande che dare la propria vita».
Dice Giovanni: «Vi ho condotti sull’orlo di un mistero profondo: il dono dell’Amore divino che passa attraverso la voragine di un dolore infinito, l’abbandono sperimentato da Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Su quella voragine è venuto lo Spirito, l’Amore che procede dal Padre e dal Figlio. Gesù ha vissuto un vuoto infinito per colmarci di una pienezza infinita. Ricordo che un giorno Gesù disse questa frase: “La donna, quando partorisce è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo”». Aggiunge Giovanni: «Anche a noi è concesso di liberare la forza dello Spirito, che portiamo dentro di noi dal giorno del nostro Battesimo e della nostra Confermazione, ogni volta che sappiamo soffrire per amore o che amiamo fino a soffrire. È la divina alchimia dello Spirito Santo, capace di trasformare il dolore in amore. È la nostra Pentecoste nella Pentecoste di Gesù.

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Domani ci ripromettiamo di mettere con maggiore consapevolezza amore nelle azioni che compiamo, soprattutto in quelle che ci costano di più. Continuiamo il gioco del “prediletto” della Madonna nella nostra famiglia.