Discorso nel conferimento della cura pastorale della parrocchia di Acquaviva a padre Costantino Tamagnini

Gualdicciolo (RSM), 30 agosto 2020

Accompagno don Costantino nella vostra e nella sua parrocchia di Acquaviva con trepidazione – perché ogni inizio comporta qualche timore – ma anche con tanta fiducia. Noi pastori cambiamo, ma il Pastore, Gesù Risorto e vivo, resta sempre in mezzo a noi (Mt 18,20). Noi pastori siamo chiamati al vostro servizio con lo spirito del “Buon Pastore”. Chiedo al Signore che non manchino nelle nostre comunità pastori secondo il suo cuore.

È una confidenza, noi vescovi della Romagna abbiamo una preoccupazione comune che ci fa soffrire: la mancanza di vocazioni. Il Signore chiama sicuramente! Preghiamo perché i giovani rispondano “sì” all’invito del Signore. È una vita bellissima quella del pastore. So che in questi ultimi anni, per svariati motivi, la figura del prete ha finito per apparire triste, fragile. Un amico sacerdote mi ha scritto che si sente un “vu’ cumprà” perché nessuno gli dà attenzione, gli pare di portare una mercanzia che non interessa. E invece il sacerdote porta la cosa più bella che ci sia, fa quello che ha fatto la Madonna: genera Gesù sull’altare. A volte anche noi vescovi parliamo delle problematicità della vita sacerdotale, ma dovremmo parlare più spesso della sua bellezza, cominciando dal raccontare la nostra esperienza, di come ci siamo innamorati di Gesù.

Restiamo tutti – noi pastori e voi fedeli – in una dimensione di fede: «Pensare secondo Dio e non secondo gli uomini» (cfr. Mt 16,23). Lo dobbiamo ammettere: spesso prevalgono valutazioni superficiali, esteriori, troppo umane. Il sacerdote è chiamato con una speciale grazia a svolgere il ministero. Lo fa, però, con la sua umanità.

Per l’imposizione delle mani (il sacramento del Sacro Ordine) il prete consacra l’Eucaristia e assolve dai peccati.

Per mandato del Vescovo (il prete non è un battitore libero) guida la comunità, educa alla fede, è vicino soprattutto ai poveri e agli ammalati.

Per la sua unione con il Signore vi porta nel cuore (siete l’oggetto delle sue preghiere!), vi ascolta e si sforza di migliorare ogni giorno; attraverso il ministero si fa santo: per noi sacerdoti il ministero è la via in cui ci facciamo santi.

Forse voi vi chiedete: «Qual è il volto della Chiesa che vuole il Signore? In particolare, quale volto deve avere la nostra parrocchia?». Il Pietro di oggi, papa Francesco, ci dà alcune indicazioni: seguiamole. Il volto della Chiesa è fatto dai nostri volti.

Faccio cinque scatti fotografici di come deve essere la Chiesa oggi.

1. Una Chiesa raggiante. Non dobbiamo indulgere ingenuamente a fantasie o a facili fervori, ma è molto bello pensare ad una parrocchia viva, dove i rapporti sono reali e famigliari, ad una parrocchia che parla una sola lingua, che ha entusiasmo; una parrocchia che non cerca privilegi e non considera nessuno nemico, che cerca di essere testimone di Gesù con le sue scelte e con i fatti concreti. La parrocchia lo sarà se ciascuno di noi mette Gesù al centro della sua vita, se lo incontra nell’Eucaristia, se si preoccupa di ricevere il perdono col Sacramento della Riconciliazione, ogni volta che è necessario. La nostra parrocchia deve “dire Gesù” senza annacquare il suo messaggio. Gesù è attrattivo!

 2. Una Chiesa grembo. Vorremmo che la parrocchia potesse essere effettivamente “grembo”, cioè generativa, con queste caratteristiche: accoglienza (nello stile e nella pratica), impegno educativo (prendersi cura dei piccoli), linguaggio rigoroso ma comprensibile, liturgie che danno il senso del mistero (è la liturgia che ci guida, non viceversa), ma capaci di celebrare il Signore nella vita.

 3. Una Chiesa povera. Il vostro parroco proviene dall’esperienza francescana e vi aiuterà a guardare la Chiesa che fa opzione preferenziale per i poveri, per gli ultimi, per i piccoli (cfr. EG 205). Una parrocchia povera sceglie il bagaglio con dentro l’essenziale, invita le persone “a casa sua”, come i servi della parabola evangelica che escono per sollecitare ad andare al banchetto, ma sa anche farsi invitare, come fa Gesù con Zaccheo. Una Chiesa povera è una Chiesa del quotidiano, che mediante gesti concreti sa accorciare le distanze. Penso alle tante iniziative di Castello, dove si può portare la propria collaborazione ed amicizia. Penso al dovere della partecipazione. Sarete sempre più la Chiesa di Gesù quando asciugherete lacrime, quando terrete compagnia, quando scommetterete sulla educazione senza pretesa di avere risultati subito. Chiesa povera, ma con le porte aperte.

 4. Una Chiesa inquieta. Oggi ci appare spesso così! È un volto che, per un verso, dice problematicità. “Inquietudine” fa pensare ad instabilità, ansia: parole che hanno una connotazione di sofferenza e di ricerca. Qualcuno denuncia i cedimenti alla mentalità secolarizzata, altri praticano il “fai da te” in campo disciplinare e pastorale. Stiamo uniti al vescovo, alle direttive della Diocesi, al grande progetto che papa Francesco va tracciando, che ci ha donato lo Spirito Santo.

“Inquietudine” indica anche la situazione, che si protrae da tempo, del passaggio da un cristianesimo sociologico, che coincide con il tessuto sociale, ad un cristianesimo della grazia, perché si decide di rispondere personalmente “sì” al Signore. Ma c’è anche un’accezione positiva nell’aggettivo “inquieto” applicato alla Chiesa: è inquieta una Chiesa protesa verso tutti, nella costante ricerca del dialogo; una Chiesa che è come una madre che non si dà pace per i suoi figli, che cerca senza sosta, si libera da schemi; una Chiesa – come dice papa Francesco – come un “ospedale da campo”, perché è vicina a chi fa fatica, a chi resta indietro, che ricomincia ogni anno, ogni giorno…

 5. Una Chiesa che riscopre i laici alla luce del Battesimo. Un tempo i laici erano passivi nella Chiesa. Oggi si è capito che i laici, in forza del Battesimo, sono consacrati, sono membri del popolo di Dio e in prima linea nel portare Cristo al mondo. Questa nuova visione comporta una grande svolta sul ruolo dei laici anche all’interno della comunità: non solo collaboratori, ma corresponsabili, nei Consigli parrocchiali, nei vari ministeri, nell’Azione Cattolica, nei Movimenti, nella decisione di essere accanto ai pastori.

Questi scatti, se lo vorrete e se il parroco lo vorrà, potrebbero diventare occasione di catechesi, di incontro e di verifica.

Ora mi colloco in un punto strategico del Vangelo: Gesù è sulla croce, ha dato tutto. Gli è rimasta sua madre. Dalla croce Gesù dice a Giovanni: «Ecco tua madre». «E Giovanni la prese nella sua casa» (Gv 19,27). Poi, rivolto a sua mamma, Gesù dice: «Ecco tuo figlio». In Giovanni c’eravamo tutti. A lei siamo stati affidati, siamo stati consacrati a lei da Gesù sulla croce. Questo non è un pensiero devoto… Chiedo alla Madonna, spiritualmente presente fra noi, di avvolgerci con il suo amore materno e in particolare di avvolgere con il suo amore don Costantino. Sia lodato Gesù Cristo.