Festa dei Santi Pietro e Paolo

Domenica 29.6.2014
Omelia di S. E. Mons. Andrea Turazzi
Chiesa parrocchiale di Pietracuta,

E’ festa grande per la vostra comunità. Auguri! Nel giorno dei santi apostoli Pietro e Paolo do’ l’annuncio ufficiale del pellegrinaggio che faremo a Roma, “ad Petri sedem” insieme a tutte le diocesi della Romagna. Sarà nel prossimo ottobre. Andremo insieme per dire a papa Francesco il nostro grazie; per consegnarli la nostra “confessio fidei”; per assicurargli la nostra adesione al grande progetto di “una Chiesa in uscita”.
Pietro e Paolo costituiscono le colonne visibili della Chiesa! Festeggiarli (sono molto contento che quest’anno la loro memoria cada di domenica) ci permette di prendere sempre più coscienza delle radici della fede della Chiesa. Dalla giorno della confessione messianica Simone – il “pescatore di Galilea” – fu chiamato da Gesù: “Pietro”. Rinnegherà il Maestro nel momento cruciale, ma sarà il primo nel pentimento fino alle lacrime e sarà intrepido nella triplice dichiarazione d’amore. Gesù lo confermerà nella sua missione: “pasci le mie pecore”.
San Paolo ha aperto le frontiere della Chiesa ed è andato verso i lontani, verso le periferie di allora, attualizzando il progetto di Gesù che voleva fare dei giudei e dei pagani un solo popolo “abbattendo il muro di separazione” (Ef 2,14).
In che modo sono diventati apostoli? Né l’uno, né l’altro per propria iniziativa. Paolo, sulla via di Damasco, ha ricevuto una rivelazione che gli fa dire: Il Vangelo che io proclamo non è invenzione umana. Da persecutore dei cristiani diviene apostolo!
Pietro, senza l’azione dello Spirito Santo, non avrebbe mai potuto pronunciare una così bella professione di fede: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.

La Chiesa è sacramento di salvezza, ma il Regno di Dio è infinitamente più grande di lei; e il potere di legare e di sciogliere, che Gesù ha dato agli apostoli, oltrepassa la loro stessa persona: portano un tesoro in vasi di creta. Con questa debolezza la Chiesa e gli apostoli annunciano il Cristo vincitore del peccato e della morte. Essi portano un messaggio che li supera. Il Signore non ha affidato ad una comunità di “puri” il compito di portare al mondo il suo Vangelo, ma a fragili strumenti, quali siamo anche noi, peccatori riconciliati.

Il Vangelo appena letto ci interpella: “E voi chi dite che io sia?”
Le risposte per sentito dire non valgono. Quelle frutto di una sommaria istruzione dottrinale lasciano il tempo che trovano. Gesù vuole la risposta del cuore: Chi sono io per te? Pietro un giorno – stava camminando sulle acque del lago – aveva già dato una sua risposta, gridando sotto la spinta della paura e della fiducia: Signore salvami!(cfr Mt 14,30). Un giorno dirà a nome di tutti: Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna (cfr Gv 6,68). A Cesarea di Filippo, tappa centrale nel Vangelo di Matteo, risponde: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. E Gesù, di rincalzo: Non la carne, né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio… come a dire: non ci sei arrivato da solo! E tuttavia a Pietro che riconosce in Gesù il Messia viene conferita la dignità di suo rappresentante e cambiato il nome: da Simone a Pietro. La tradizione biblica collega sempre il cambio del nome ad una missione speciale (così è accaduto ad Abramo, Sara, Giacobbe, Paolo…). Pietro vuol dire Roccia: la stabilità e la compattezza della futura comunità messianica poggerà su Cristo e visibilmente su Pietro. La Chiesa appartiene a Cristo (la mia Chiesa); Pietro non l’ha fondata, non è a disposizione del suo arbitrio e non ne è il capo per doti particolari. Tuttavia, dopo la risurrezione, Gesù associa Pietro a sé come garante della unità e stabilità della Chiesa. Questa investitura vale anche per chi succede a Pietro. Come potrebbe la comunità messianica godere di un servizio di unità se la roccia non sarebbe tale per tutto il tempo? La dimensione petrina è esercitata in modo proprio dal vescovo di Roma, il papa, successore di Pietro. Ma ogni cristiano che risponde a Gesù: Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente, è, in qualche modo, roccia viva, e pietra dell’edificio santo.
Durante un’udienza pubblica Giovanni Paolo II, con grande stupore del seguito e con l’imbarazzo della sicurezza, oltrepassò le transenne e, raggiungendo un ragazzo invalido seduto in carrozzina, mise le sue mani grandi e vigorose sulla sua testa e stringendola forte ripeté: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. Il ragazzo stupefatto per quelle parole, pianse di commozione.
E noi siamo pronti, in forza del nostro battesimo, ad essere pietre vive per edificare la Chiesa? Concretamente che cosa possiamo “fare” per “essere”?