Festa del Baeto Domenico Spadafora

Omelia del Vicario generale   Mons. Elio Ciccioni

Santa Maria in Reclauso, 14 Settembre 2014

 

Oggi, con la Chiesa universale celebriamo la Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, festa che si collega con la dedicazione delle basiliche costantiniane costruite sul Golgota e sul sepolcro di Cristo e al ritrovamento da parte di S. Elena madre di Costantino, della Croce alla quale fu appeso Cristo per la redenzione dell’Umanità.

Inoltre questa Comunità di Montecerignone celebra la festa del Beato Domenico, il Domenicano che nel 1491 si è stabilito in questo nostro Territorio per testimoniare il Vangelo ed essere maestro spirituale delle nostra gente, compito che svolse per 30 anni con la preghiera, la penitenza e l’intensa predicazione.

Per questo, la festa del Beato riveste una importanza rilevante nel contesto della nostra vita religiosa e sociale e il legame delle Comunità cristiane, in particolare di questa zone con il Beato è un legame forte, sentito e testimoniato dalla presenza delle Autorità civili e militari che saluto cordialmente, dalla presenza delle Comunità cristiane vicine, accompagnate dai loro Pastori che con me celebrano questa Eucaristia alle quali va il mio ringraziamento. Dai pellegrini e devoti qui convenuti da varie parti anche lontane c’è addirittura un gruppo di Randazzo in Sicilia, patria del Beato Domenico, per onorarlo e pregarlo e ai quali va il mio Benvenuto.

Oggi pertanto ci ritroviamo riuniti per celebrare non un’idea, non un ideale di vita, non un’iniziativa, e neppure un anniversario, ma una persona, che, grazie alla sua adesione a Cristo, ha maturato un forte senso civico, un’umanità compassionevole, una spiccata sensibilità per la giustizia ed un’attenzione amorosa alle necessità dei fratelli.

Ma quale è stata la caratteristica di questo Beato? L’essere educatore delle nostre popolazioni. Egli si è fermato qui per educare soprattutto i ragazzi e i giovani ai valori del Vangelo.

Dunque egli oggi è doppiamente attuale.

Primo perché i valori del vangelo sono per sempre e per tutti gli uomini, secondo, perché come più volte è stato sottolineato, oggi viviamo in una emergenza educativa dal punto di vista spirituale, morale sociale ed è più che mai necessario che qualcuno torni ad essere educatore non solo con le parole, ma con una testimonianza di vita.

Diceva già Paolo VI che oggi il mondo non ha bisogno di maestri e non li ascolta, ma se li ascolta è perché essi sono testimoni.

Ma Cristianamente non si è maestri e testimoni a prescindere da Gesù Cristo e dal suo Vangelo. Ecco perché la festa della Esaltazione della Croce e quella del Beato Domenico che celebriamo, non sono contraddittorie, ma complementari. Noi capiremo e accoglieremo gli insegnamenti del Beato Domenico soltanto nella misura in cui vedremo la sua vita plasmata dalla Croce. Per noi oggi, giunge l’occasione di una seria riflessione sulla croce.

 

Come si fa ad esaltare la croce? Il dolore non è mai da esaltare, né, è bene ribadirlo, ha in sé una valore positivo.

Davanti al dolore dell’innocente, davanti alla sofferenza inattesa, davanti ai tanti volti di persone che hanno avuto la vita stravolta dalla tragedia di una malattia o di un lutto, le parole diventano fragili e l’annuncio del Vangelo si fa zoppicante.

L’unica vera obiezione all’esistenza di un Dio buono, così come Gesù è venuto a svelare, è il dolore dell’innocente.

Molti dei dolori che viviamo hanno la loro origine nell’uso sbagliato della nostra libertà o nella fragilità della condizione umana. Ma davanti ad un bambino che muore anche il più saldo dei credenti vacilla.

Al discepolo il dolore non è evitato, e non cercate nella Bibbia una risposta chiara al mistero del dolore (Ma davvero cerchiamo una risposta? Noi vogliamo non soffrire, non delle risposte!).

Non troviamo risposte al dolore, troviamo un Dio che prende su di sé il dolore del mondo. E lo redime.

La croce non è da esaltare, dicevamo, la sofferenza non è mai gradita a Dio, Dio non gradisce il sacrificio fine a se stesso. La croce non è il segno della sofferenza di Dio, ma del suo amore.

La croce è epifania della serietà del suo bene per ciascuno di noi.

Fino a questo punto ha voluto amarci, perché altro è usare dolci e consolanti parole, altro appenderle a tre chiodi, sospese fra il cielo e la terra.

Esaltare la croce significa esaltare l’amore, esaltare la croce significa spalancare il cuore all’adorazione e allo stupore.

Innalzato sulla croce (Giovanni non usa mai la parola “crocifisso” ma “osteso” cioè mostrato) Gesù attira tutti a sé. Egli stesso dirà: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”.

E al discepolo è chiesto di essere consapevole di questo amore e di accoglierlo portando con Cristo la propria Croce. (Chi vuole essere mio discepolo rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”.

Portare la propria croce significa portare l’amore nella vita, fino ad esserne crocifissi.

La croce non è sinonimo di dolore ma di dono, dono adulto, virile, non melenso né affettato.

E il Beato Domenico ha portato la Croce, in tanti modi, alcuni conosciuti e che trapelano dalla sua biografia, come quando fu accusato di leggerezza morale, altri rimasti nel segreto della sua anima, ma legati alla vita comune, al rapporto con le persone, alle difficoltà ambientali e chi sa quante altre cose.

La festa del Beato Domenico costituisce, allora, un’occasione propizia per una pausa di riflessione. Diventa un invito ad innalzare lo sguardo verso l’alto per ricordarci che non siamo i padroni e i fautori assoluti della nostra vita e del nostro destino, ma che essi sono illuminati e trovano pieno sviluppo solo nell’incontro con il Signore Gesù, Salvatore dell’uomo.

La solennità del Beato Domenico ci ricorda che la Verità ed il messaggio evangelico non sono estranei all’uomo e alla sua realizzazione, ma, al contrario, sono necessari per arginare il decadimento dell’identità culturale e del quadro valoriale e per superare il forte individualismo che corre il rischio di uccidere e devastare la nostra società. Ed è un invito per noi a prendere sul serio quello che celebriamo. Riconosciamo che la società è corrotta, che i valori del Vangelo sono stravolti, che i nostri bimbi e i nostri giovani non conoscono il più elementare contenuto del cristianesimo, che nelle famiglie non si prega più, che i bimbi iniziano il catechismo senza sapere fare il segno della croce, ma cosa facciamo per arginare questa deriva?

Quale esempio diamo? E’ arrivato il tempo di fare sul serio: nel mondo migliaia e migliaia di nostri fratelli cristiani vengono uccisi perché sono cristiani e non vogliono tradire Gesù Cristo, noi cosa saremmo capaci di fare, in un contesto simile, se non siamo capaci di dire a un figlio che sbaglia ad abbandonare la fede, se non sappiamo insegnare a un nipotino le prime preghiere, se abbiamo paura di dire che certe scelte contro la vita sono peccato, che senza Dio l’uomo costruisce la sua rovina? Cosa faremmo noi davanti alla persecuzione, se chiusi nel nostro egoismo non ci accorgiamo dei poveri che ci vivono accanto, di chi non arriva a fine mese perché hanno perso il lavoro? Se anche noi in nome dei diritti delle persone, della modernità a cui bisogna adeguarsi, chiediamo un cristianesimo sempre più permissivo e accomodante senza preoccuparci della Verità? Il Signore ha posto ai suoi discepoli una domanda che è più che mai attuale. “Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà la fede sulla terra?

Il beato Domenico di cui oggi celebriamo la festa, ci aiuti a perseverare nella Verità che è il Signore Gesù e ci aiuti a rimanere nell’Amore di Cristo come Lui è rimasto nell’amore di Cristo, perché un giorno possiamo raggiungerlo per condividerla stessa beatitudine nella casa del Padre. Così sia.