Festa del Baeto Domenico Spadafora

Omelia del Vicario generale   Mons. Elio Ciccioni

Santa Maria in Reclauso, 14 Settembre 2014

 

Oggi, con la Chiesa universale celebriamo la Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, festa che si collega con la dedicazione delle basiliche costantiniane costruite sul Golgota e sul sepolcro di Cristo e al ritrovamento da parte di S. Elena madre di Costantino, della Croce alla quale fu appeso Cristo per la redenzione dell’Umanità.

Inoltre questa Comunità di Montecerignone celebra la festa del Beato Domenico, il Domenicano che nel 1491 si è stabilito in questo nostro Territorio per testimoniare il Vangelo ed essere maestro spirituale delle nostra gente, compito che svolse per 30 anni con la preghiera, la penitenza e l’intensa predicazione.

Per questo, la festa del Beato riveste una importanza rilevante nel contesto della nostra vita religiosa e sociale e il legame delle Comunità cristiane, in particolare di questa zone con il Beato è un legame forte, sentito e testimoniato dalla presenza delle Autorità civili e militari che saluto cordialmente, dalla presenza delle Comunità cristiane vicine, accompagnate dai loro Pastori che con me celebrano questa Eucaristia alle quali va il mio ringraziamento. Dai pellegrini e devoti qui convenuti da varie parti anche lontane c’è addirittura un gruppo di Randazzo in Sicilia, patria del Beato Domenico, per onorarlo e pregarlo e ai quali va il mio Benvenuto.

Oggi pertanto ci ritroviamo riuniti per celebrare non un’idea, non un ideale di vita, non un’iniziativa, e neppure un anniversario, ma una persona, che, grazie alla sua adesione a Cristo, ha maturato un forte senso civico, un’umanità compassionevole, una spiccata sensibilità per la giustizia ed un’attenzione amorosa alle necessità dei fratelli.

Ma quale è stata la caratteristica di questo Beato? L’essere educatore delle nostre popolazioni. Egli si è fermato qui per educare soprattutto i ragazzi e i giovani ai valori del Vangelo.

Dunque egli oggi è doppiamente attuale.

Primo perché i valori del vangelo sono per sempre e per tutti gli uomini, secondo, perché come più volte è stato sottolineato, oggi viviamo in una emergenza educativa dal punto di vista spirituale, morale sociale ed è più che mai necessario che qualcuno torni ad essere educatore non solo con le parole, ma con una testimonianza di vita.

Diceva già Paolo VI che oggi il mondo non ha bisogno di maestri e non li ascolta, ma se li ascolta è perché essi sono testimoni.

Ma Cristianamente non si è maestri e testimoni a prescindere da Gesù Cristo e dal suo Vangelo. Ecco perché la festa della Esaltazione della Croce e quella del Beato Domenico che celebriamo, non sono contraddittorie, ma complementari. Noi capiremo e accoglieremo gli insegnamenti del Beato Domenico soltanto nella misura in cui vedremo la sua vita plasmata dalla Croce. Per noi oggi, giunge l’occasione di una seria riflessione sulla croce.

 

Come si fa ad esaltare la croce? Il dolore non è mai da esaltare, né, è bene ribadirlo, ha in sé una valore positivo.

Davanti al dolore dell’innocente, davanti alla sofferenza inattesa, davanti ai tanti volti di persone che hanno avuto la vita stravolta dalla tragedia di una malattia o di un lutto, le parole diventano fragili e l’annuncio del Vangelo si fa zoppicante.

L’unica vera obiezione all’esistenza di un Dio buono, così come Gesù è venuto a svelare, è il dolore dell’innocente.

Molti dei dolori che viviamo hanno la loro origine nell’uso sbagliato della nostra libertà o nella fragilità della condizione umana. Ma davanti ad un bambino che muore anche il più saldo dei credenti vacilla.

Al discepolo il dolore non è evitato, e non cercate nella Bibbia una risposta chiara al mistero del dolore (Ma davvero cerchiamo una risposta? Noi vogliamo non soffrire, non delle risposte!).

Non troviamo risposte al dolore, troviamo un Dio che prende su di sé il dolore del mondo. E lo redime.

La croce non è da esaltare, dicevamo, la sofferenza non è mai gradita a Dio, Dio non gradisce il sacrificio fine a se stesso. La croce non è il segno della sofferenza di Dio, ma del suo amore.

La croce è epifania della serietà del suo bene per ciascuno di noi.

Fino a questo punto ha voluto amarci, perché altro è usare dolci e consolanti parole, altro appenderle a tre chiodi, sospese fra il cielo e la terra.

Esaltare la croce significa esaltare l’amore, esaltare la croce significa spalancare il cuore all’adorazione e allo stupore.

Innalzato sulla croce (Giovanni non usa mai la parola “crocifisso” ma “osteso” cioè mostrato) Gesù attira tutti a sé. Egli stesso dirà: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”.

E al discepolo è chiesto di essere consapevole di questo amore e di accoglierlo portando con Cristo la propria Croce. (Chi vuole essere mio discepolo rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”.

Portare la propria croce significa portare l’amore nella vita, fino ad esserne crocifissi.

La croce non è sinonimo di dolore ma di dono, dono adulto, virile, non melenso né affettato.

E il Beato Domenico ha portato la Croce, in tanti modi, alcuni conosciuti e che trapelano dalla sua biografia, come quando fu accusato di leggerezza morale, altri rimasti nel segreto della sua anima, ma legati alla vita comune, al rapporto con le persone, alle difficoltà ambientali e chi sa quante altre cose.

La festa del Beato Domenico costituisce, allora, un’occasione propizia per una pausa di riflessione. Diventa un invito ad innalzare lo sguardo verso l’alto per ricordarci che non siamo i padroni e i fautori assoluti della nostra vita e del nostro destino, ma che essi sono illuminati e trovano pieno sviluppo solo nell’incontro con il Signore Gesù, Salvatore dell’uomo.

La solennità del Beato Domenico ci ricorda che la Verità ed il messaggio evangelico non sono estranei all’uomo e alla sua realizzazione, ma, al contrario, sono necessari per arginare il decadimento dell’identità culturale e del quadro valoriale e per superare il forte individualismo che corre il rischio di uccidere e devastare la nostra società. Ed è un invito per noi a prendere sul serio quello che celebriamo. Riconosciamo che la società è corrotta, che i valori del Vangelo sono stravolti, che i nostri bimbi e i nostri giovani non conoscono il più elementare contenuto del cristianesimo, che nelle famiglie non si prega più, che i bimbi iniziano il catechismo senza sapere fare il segno della croce, ma cosa facciamo per arginare questa deriva?

Quale esempio diamo? E’ arrivato il tempo di fare sul serio: nel mondo migliaia e migliaia di nostri fratelli cristiani vengono uccisi perché sono cristiani e non vogliono tradire Gesù Cristo, noi cosa saremmo capaci di fare, in un contesto simile, se non siamo capaci di dire a un figlio che sbaglia ad abbandonare la fede, se non sappiamo insegnare a un nipotino le prime preghiere, se abbiamo paura di dire che certe scelte contro la vita sono peccato, che senza Dio l’uomo costruisce la sua rovina? Cosa faremmo noi davanti alla persecuzione, se chiusi nel nostro egoismo non ci accorgiamo dei poveri che ci vivono accanto, di chi non arriva a fine mese perché hanno perso il lavoro? Se anche noi in nome dei diritti delle persone, della modernità a cui bisogna adeguarsi, chiediamo un cristianesimo sempre più permissivo e accomodante senza preoccuparci della Verità? Il Signore ha posto ai suoi discepoli una domanda che è più che mai attuale. “Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà la fede sulla terra?

Il beato Domenico di cui oggi celebriamo la festa, ci aiuti a perseverare nella Verità che è il Signore Gesù e ci aiuti a rimanere nell’Amore di Cristo come Lui è rimasto nell’amore di Cristo, perché un giorno possiamo raggiungerlo per condividerla stessa beatitudine nella casa del Padre. Così sia.

Omelia di Mons. Elio Ciccioni alla FESTA DEL RINGRAZIAMENTO

Scavolino 17 Novembre 2013

Stiamo vivendo un tempo di crisi e non soltanto economica, ma anche sociale, morale e quindi di valori, ma questo non giustifica le voci di coloro che Papa Giovanni chiamava “profeti di sventura”, e che a partire dalla difficile situazione attuale, predicono la catastrofe, il sovvertimento del cosmo la fine del mondo imminente. Sappiamo che tutto ciò che esiste è stato creato e va verso una fine, una conclusione, ma quanto ai tempi e ai momenti, come ricorda il Vangelo non sta a noi individuarli.
Ci stiamo avvicinando alla fine dell’anno liturgico, durante il quale la Chiesa celebra e medita l’opera della salvezza operata da Cristo e della quale siamo resi partecipi attraverso la liturgia, e anche le letture che abbiamo ascoltato ci orientano alla meditazione non solo della nostra fine, ma soprattutto del fine della nostra vita. Infatti il racconto evangelico non è una cronaca minuziosa di ciò che accadrà alla fine del mondo, ma una lettura storica, con un linguaggio apocalittico del periodo in cui l’evangelista vive, per applicarlo al ritorno del Signore. Infatti la distruzione del tempio di Gerusalemme è del 70 dopo Cristo, ed è anche quello il periodo di grandi calamità quali la guerra dei Germani contro Roma, la distruzione di Ercolano e Pompei ad opera del Vesuvio, la lotta intestina per il potere in Roma. Dalla lettura di questi eventi S. Luca prende spunto per ricordare che certamente il mondo avrà una fine che non va attesa in una paura paralizzante, ma come coscienza della ricapitolazione in Cristo di tutte le cose, della definitiva sconfitta del male, e dell’incontro gioioso con lo sposo.
Il giorno del Signore si manifesta come il momento privilegiato in cui la giustizia trionfa nella storia, e la speranza e la fiducia sono il distintivo del cristiano. Levate il capo, perché arriva la vostra liberazione : il Signore è vicino. E noi abbiamo bisogno di lui.
Senza Dio l’uomo non riesce a creare una società buona e giusta. E senza anelito alla giustizia, nell’umanità non ci può essere autentica adorazione di Dio.
Oggi poi la comunità di Scavolino celebra la festa del ringraziamento, festa che la Chiesa ha celebrato domenica scorsa. Faremo alcune riflessioni alla luce di questa celebrazione.
Una delle principali caratteristiche della vita cristiana è la consapevolezza che a cominciare dalla nostra vita tutto è dono di Dio, e quindi se tutto è dono, dobbiamo sapere ringraziare colui che è la fonte dei Doni. Dio stesso. La Eucaristia che celebriamo e che è costitutiva della vita cristiana, (il Concilio Ecumenico Vat II la definisce “culmenn et fons” della vita cristiana), é ringraziamento. Eucaristia significa rendimento di grazie. E l’apostolo Paolo scriveva Timoteo: “voglio “prima di tutto , che i cristiani facciano preghiere, suppliche, intercessioni e ringraziamenti per tutti gli uomini elevando al cielo mani pure.”
Per la Giornata Nazionale del Ringraziamento la CEI ha inviato un messaggio sul tema : “La terra: un dono per l’intera famiglia umana”.
Qualche breve parola su questa Giornata e su questo messaggio. Prima però, desidero salutare tutti i presenti, e le Autorità Civili e militari di ogni ordine e grado, i Responsabili delle Associazioni di categoria, dei Coltivatori, diretti, degli Agricoltori, nei cui confronti la Chiesa e la stessa Società civile esprimono la loro gratitudine, dopo averla espressa nei confronti di Dio, Creatore e Signore del cielo e della terra, a cui Dio ha affidato il compito di nutrire l’umanità, che a sua volta deve coltivare la terra rispettandone la natura e la destinazione al bene universale di tutte le genti, di tutti i luoghi, di tutti i tempi.
Sul tema è bene non dimenticare quanto disse il Concilio Vaticano II (e poi il Magistero Pontificio): “«Dio ha destinato la terra con tutto quello che in essa è contenuto all’uso di tutti gli uomini e popoli, sicché i beni creati devono pervenire a tutti con equo criterio, avendo per guida la giustizia e per compagna la carità» (Gaudium et spes, n. 69). Tale principio si basa sul fatto che «la prima origine di tutto ciò che è bene è l’atto stesso di Dio che ha creato la terra e l’uomo, ed all’uomo ha dato la terra perché la domini – nel senso di governarla – col suo lavoro e ne goda i frutti (cfr. Gen 1,28-29). Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. È qui la radice dell’universale destinazione dei beni della terra. Questa, in ragione della sua stessa fecondità e capacità di soddisfare i bisogni dell’uomo, è il primo dono di Dio per il sostentamento della vita umana» (Giovanni Paolo II, Enciclica Centesimus annus, n. 31)” (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 171).
Alla luce di questo Magistero vogliamo sostare per un momento di riflessione sulla festa del Ringraziamento, che la Chiesa ha celebrato domenica scorsa e noi celebriamo oggi, lasciandoci illuminare dalla Parola di Dio. Nella sua Parola – e più precisamente nella prima pagina della Genesi -, per mezzo dello scrittore sacro, Dio ci offre una (anche se non l’unica) chiave preziosa per comprendere il valore della terra: “Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che fanno sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la propria specie»”. (Gen 1,11). Con queste brevi parole Dio vuole dirci che la terra e i suoi prodotti sono primariamente una Parola di Dio diventata concretezza, diventata creazione, realtà che le nostre mani possono toccare. La terra e i suoi prodotti, dunque, vanno “ascoltati” perché sono altrettante parole che Dio rivolge a noi.
Spesso però le parole della terra e dei suoi frutti gridano al cospetto di Dio, come il sangue di Abele (Gen 4,10). Molte, infatti, sono le sofferenze che si nascondo dietro ai frutti della terra e il lavoro degli agricoltori, come ci ricorda anche il messaggio della Commissione Episcopale:
– stima inadeguata per chi sceglie di fare l’imprenditore agricolo,
– burocrazia spesso lenta e impacciata nell’attuazione dei miglioramenti fondiari,
– credito non concesso da parte degli Istituti bancari,
– leggi non sempre all’altezza degli scopi che si prefiggono
– ed infine, ma non ultimo, lo sfruttamento che non tiene conto del rispetto e
della dignità delle persone.
Certamente non sono solo i lavoratori della terra a soffrire, ma anche molti altri soffrono per una grave crisi del tessuto produttivo del nostro territorio, quando improvvisamente è venuto a mancare il lavoro anche di quei pochi comparti industriali che ci sono nelle nostre zone.
Le parole della terra, però, dicono anche che ci sono ancora uomini, ormai pochi per la verità, audaci e generosi che hanno scelto di restare nei campi. e meritano di essere accompagnati con grande stima. . Per tutti le zolle della terra sono intrise del sudore e della fatica dell’uomo. Ma questo uomo non è solo. Il salmista, un uomo cha amava la terra come voi la amate, ringrazia Dio perché la potenza dell’Altissimo è passata attraverso le sue mani. Chi lavora la terra non è solo. C’è Dio con lui. Per questo motivo il salmista così prega: Tu Dio “così prepari la terra: ne irrighi i solchi, ne spiani le zolle, la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli (Salmo 65). Da qui il dovere di essere, come ci ha ricordato papa Francesco “custodi della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente” (Omelia di inizio del ministero petrino, 19 marzo 2013).
Il secondo capitolo del messaggio dei Vescovi dal titolo “Responsabilità e solidarietà” dice: “L’attenzione alle necessità alimentari dei popoli parte da un’attenta valorizzazione delle potenzialità della nostra terra. Ci si deve muovere in un contesto di responsabilità sociale dell’impresa e in un ritrovato ruolo di un’agricoltura che può tutelare l’ambiente e puntare alla caratterizzazione di prodotti che sono espressione del territorio; cioè, delle sue peculiarità naturali inserite in una tradizione e in una cultura che ne fanno qualcosa di più di una merce, ovvero, una manifestazione di senso connessa alla cultura della vita”.
A questo canto si uniscono anche le nostre voci di riconoscenza verso Dio. La terra e i suoi frutti, infatti, ci donano il messaggio che Dio non si è stancato di noi. Accanto a questo messaggio ci donano anche altre Parole, ricche di sapienza e di speranza; parole che non possiamo lasciar cadere affinché il nostro grazie a Dio sia pieno. Di fatto la terra e i suoi frutti ci dicono diverse verità che appartengono alla nostra fede e servono per la nostra vita spirituale. Tra queste ne ricordiamo almeno due: – che la pazienza che accondiscende ai tempi della Provvidenza, ripaga sempre; – che l’accoglienza del seme è garanzia di generosità perché la terra accoglie un seme e restituisce una spiga.
Queste Parole che a noi giungono dalla terra e dai suoi frutti sono per noi consenso di quanto la Parola di Dio ci dice per mezzo di Paolo: il nostro corpo mortale, come il seme, verrà accolto nel grembo della terra, paziente e generosa, che nel giorno ultimo restituirà, per volontà e intervento di Dio, una spiga, cioè un corpo risorto, glorioso, incorruttibile e obbediente alle leggi dello Spirito (cfr 1Cor 15,42-44).
Grazie Signore per quella fede che sa accogliere i frutti della terra e sa ascoltarne le parole. Grazie terra, grazie uomini e donne che la custodite e alla quale vi dedicate con passione e sacrificio.

FESTA DELLA B.V. DEL FAGGIO

Eremo di Monte Carpegna, 18 Agosto 2013, ore 10.30

Cari Fratelli,

è motivo di gioia e di speranza, constatare come ogni anno sono sempre più numerosi i fedeli che  riscoprendo la tradizione dei Padri, percorrono a piedi  il cammino per venire a celebrare la festa della B. Vergine del Faggio, qui all’eremo del monte Carpegna, dove nei secoli la Madonna ha esercitato ed esercita tuttora la sua maternità su coloro che ricorrono a Lei.

Io penso che oggi vi abbia fatto venire qui tanto numerosi, a piedi o in macchina, il desiderio di stringervi attorno alla Madre celeste, per presentare la richiesta di tante grazie, di tanti aiuti, per confidarle le pene che ognuno porta nel cuore   ma anche per ascoltare una parola di speranza, di amore, di misericordia, di Verità.

E a chi ricorrere per questo se non alla Madre, a colei che ci è accanto con affetto tenerissimo e fedele, dolce e forte allo stesso tempo? Certamente però inganneremmo noi stessi se ci aspettassimo dalla Madonna, solo parole che solleticano il nostro sentimento, la nostra sensibilità, la nostra emotività. Ella ci ricorda che le Parole di verità sono quelle del Cristo e la nostra realizzazione consiste nella sua sequela.

Ecco perché, mentre ci accoglie e ci indica la strada  ci ripete come ai servi di Cana, “fate quello che il mio Figlio vi dirà, ascoltate la sua Parola di salvezza”.

E allora abbiamo ascoltato le letture di questa XX domenica che sono state appena proclamate, e che  ci hanno detto che la fedeltà alla Parola di Dio, il mettersi al suo servizio non assicurano una vita comoda, espongono invece all’incomprensione, all’ostilità, al rischio, alla lotta. E’ necessario allora sentire che, appartenendo a Cristo, siamo nel prolungamento della sua sorte. (“Chi vuole essere mio discepolo prenda la sua Croce ogni giorno e mi segua”). Quindi, quella che abbiamo ascoltato è una parola esigente, ma che ci costruisce e ci aiuta ad essere in sintonia con Lui.

In questo cammino non siamo soli. Abbiamo visto nella prima lettura uno di questi uomini da cui prendere esempio.

Il profeta Geremia paga di persona l’annuncio della parola di Dio e della verità perché quanto annuncia  non corrisponde però alle aspettative del popolo e per questo  viene accusato di essere contro il bene della nazione (preannuncia infatti la distruzione del tempio e la deportazione del popolo; dai capi dell’esercito viene gettato in una cisterna, dove alla fine sarà salvato per ordine del re). Geremia poi è figura di quello che sarà Gesù.

Nel Vangelo Gesù ci dice di essere venuto a portare la guerra, il fuoco, la separazione. Certamente la guerra di cui parla Gesù, non è contro le persone, ma

guerra alle nostre passioni, contro l’egoismo mascherato in tutti i modi.

Fuoco che brucia le nostre  impurità, le falsità, vanità ed ambizioni. Cari fratelli, vi confesso francamente che non riesco a capire come ad esempio sia possibile dirsi cristiani e portare nel cuore il risentimento, il rancore quando non l’odio per il prossimo.

Separazione   dai beni terreni che ci rubano a Dio e al cielo, dagli affetti familiari che possono renderci infedeli all’amore (Chi ama il padre, la madre più di me non è degno di me).

Dall’uomo, da se stesso: se il tuo occhio ti scandalizza … cavalo.

Ecco perché la festa della Madonna che celebriamo è un momento molto bello, ma anche molto profondo, serio, impegnativo.

Se fosse solo una celebrazione devozionale, per quanto bella e partecipata, rischierebbe di lasciare il tempo che trova, se fosse una manifestazione folcloristica, c’è chi ne organizza di migliori.

Se invece noi riconosciamo l’ora di Dio, il tempo della Visita del Cristo tramite la Sua Santissima Madre, se noi sappiamo cogliere la dimensione della fede, allora questo incontro è tempo di gioia, di speranza, di rinnovamento della nostra vita.

Ci sono due dimensioni che verificano la verità di questo nostra celebrazione:

  1. Il rinvigorimento della nostra Fede
  2. L’impegno della Missione cioè dell’annuncio cristiano, della testimonianza.

Il rinvigorimento della Fede

Oggi, meno che mai possiamo dare per scontata la Fede, anche per i così detti credenti, anche per noi. Non a caso negli anni 2000 si è parlato di nuova evangelizzazione e il S. Padre Benedetto XVI ha indetto questo anno come anno della fede, perché fossero i cristiani per primi a riscoprirla, valorizzarla, viverla.  Quando ancora c’è un barlume di quella che abbiamo imparato da bambini, in genere, non è fede che imposta la vita e anche in noi prevalgono:

  • La spinta al compromesso , anche sulle scelte fondamentali che facciamo, magari diciamo, per amore di pace, per non scontrarci con gli altri;
  • La tentazione di rincorrere la cosi detta modernità che tutto cancella, svuota, annulla , dove i principi fondamentali non sono più quelli del Vangelo, ma come più volte in questi anni ha richiamato il Papa Benedetto, quelli del soggettivismo (faccio quello che mi piace, mi interessa);
  • dell’edonismo (la ricerca del piacere a qualunque prezzo e a qualunque condizione);
  • del relativismo, (sono io il criterio di tutte le cose, la misura del bene e del male);
  • Il rifiuto dell’insegnamento della Chiesa con la motivazione che è una istituzione antiquata che deve aggiornarsi per essere al passo con i tempi;
  • Il rischio di svendere il Vangelo: si difendono con calore i diritti delle altre religioni, si predica il rispetto delle minoranze religiose e la nostra fede si sbeffeggia, si calpesta, si bestemmia; qualunque  oscenità si può dire di Cristo e della Chiesa.
  • Si irridono i principi fondamentali del cristianesimo, rifiutando il Mistero dell’Incarnazione di Cristo, la mediazione della Chiesa, la realtà storica della risurrezione di Cristo, della risurrezione finale dei nostri corpi, rendendo così vana la nostra fede, secondo l’insegnamento dell’Apostolo Paolo. Se Cristo non è risorto da morte, voi avete creduto invano.
  • La vita cristiana è sempre più caratterizzata da una ignoranza abissale sulle principali verità della fede: il Paradiso, il Purgatorio, l’inferno, la vita eterna , il Giudizio finale , la dannazione eterna. Ma  forse la carenza più grande è  quella di sentirci  adulti nella fede, autonomi nel credere. Pensiamo di sapere come dobbiamo viverla, non siamo disposti ad ascoltare istruzioni da nessuno, mentre  in realtà la nostra ignoranza in merito è abissale e soprattutto dimentichiamo che la fede cristiana è rivelata e quindi non può essere vissuta secondo i nostri punti di vista, ma solo in un continuo confronto con quello che il Signore ci dice: attraverso la sua Parola, il Magistero della Chiesa, è possibile vivere rettamente la fede.
  • Vi è sempre più una omissione colpevole della preghiera, della penitenza e delle opere cristiane di carità, come espiazione del peccato, del suffragio per i defunti.

Perché dico queste cose che certamente alle nostre orecchie non più abituate a sentirle potrebbero dare un certo fastidio? Per fare del terrorismo religioso?, per rattristare  la nostra festa? Certamente no, ma perché questi comportamenti sono sempre più presenti nella chiesa: è un dato di fatto del quale  gli stessi profeti del laicismo, oggi, si rallegrano perché molti cristiani  sono credenti, ma non ascoltano quello che dicono i Pastori. Cari fratelli, vi confesso francamente che non riesco a capire come ad esempio sia possibile dirsi cristiani e portare nel cuore il risentimento, il rancore quando non l’odio per il prossimo.

  • Dico queste cose perché sono contenute nei messaggi che la Madonna ha dato in ogni apparizione ed è in definitiva il messaggio del Vangelo.
  • Dico queste cose, perché abbandoniamo una certa ingenuità che ci fa vedere tutto bello, tutto positivo, tutti buoni, tutti credenti. Quante volte davanti a comportamenti sbagliati ci troviamo rassegnati, (ormai fanno tutti così, come se questa fosse una giustificazione e il male diventasse bene perché lo fa la maggioranza), oppure anche noi a volte siamo insipidi nella nostra vita. Ognuno pensi a certe confessioni che può aver fatto. Non sappiamo cosa dire. Banalizziamo la realtà.  Non abbiamo ucciso, diciamo, non abbiamo rubato… e allora siamo a posto. E la testimonianza di vita?, e il perdono?, e l’educazione cristiana dei figli, dei ragazzi e dei giovani, e la vita familiare? e la trasmissione della fede? E i cristiani perseguitati e uccisi in tante parti del mondo? Non abbiamo nulla da dire? A volte credo sia vera l’affermazione di quello scrittore che diceva: ”Più che il chiasso dei malvagi, temo il silenzio dei buoni”. Buoni ma insignificanti.

La seconda verifica di come ascoltiamo la Madonna è l’impegno alla Missione e alla testimonianza di fede.

Gesù ci manda nel mondo perché annunciamo che Egli è il Salvatore: il Figlio di Dio venuto in mezzo a noi, che per noi ha affrontato la Passione, la Croce, la Morte, (voi l’avete crocifisso appendendolo alla Croce, dice Pietro parlando il giorno di Pentecoste), ma per noi è risorto da morte, perché nel suo nome fossero annunciati a tutti gli uomini la salvezza e il perdono dei peccati.

Ogni uomo in Cristo può, dunque, trovare la libertà e la dignità dei figli di Dio

Questa è la consapevolezza che dobbiamo vivere ad ogni costo, non solo annunciandola con le Parole, ma testimoniandola con la vita.

Celebrare  la festa della Madonna vuol dire guardare a Lei, alle sue virtù, avere fiducia in Lei. Lei ci accoglie e ci conforta Non ha importanza la nostra povertà morale, i nostri limiti, le nostre miserie, il nostro peccato. A una condizione: che prendiamo sul serio il suo insegnamento, che non lo banalizziamo riducendo il Vangelo a nostra misura. Se sapremo riconoscere seriamente la nostra fragilità e cercheremo sul serio di porvi rimedio, allora la Madonna sarà accanto a noi e ci amerà di più come ogni madre ama maggiormente i figli più deboli e ammalati. Così avremo vissuto autenticamente questa  festa e vivremo autenticamente la nostra vita e la Madonna ci sarà accanto nel nostro pellegrinaggio terreno e nell’ora suprema dell’incontro con  Cristo per accoglierci con Lui nel suo Regno.

Così sia.

 

Mons. Elio Ciccioni

Amministratore Diocesano

Omelia dell’Amministratore diocesano alla GIORNATA DIOCESANA GIOVANI

MERCATINO CONCA 16 GIUGNO 2013

Andate e fate mie discepole tutte le Genti. (Mt. 28,19). Cosi il Vangelo di S.Matteo, ma l’evangelista Marco al cap. 16,15-17 aggiunge che chi crederà sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato.

Da queste parole di Gesù, comprendiamo come per i suoi discepoli, annunciare il Vangelo non sia un optional o una scelta indifferente, ma sia una urgenza primaria, da cui dipende la salvezza degli uomini: e non solo la salvezza eterna, (Non è dato all’uomo, altro nome nel quale è possibile salvarsi), ma anche quella che riguarda la nostra vita quotidiana, cioè soltanto conoscendo Cristo, è possibile una piena realizzazione delle persone e della loro vita, perché è Cristo che rivela all’uomo il suo vero volto.
Dunque, compito primario della Chiesa è annunciare il Vangelo, perché è dall’ascolto della predicazione che nasce la fede (Rom 10,17) e la conoscenza di Gesù Cristo. Al punto tale che San Girolamo esclamava che l’ignoranza delle Scritture, è ignoranza di Cristo. Senza annunciare il Vangelo essa non adempie la sua missione per la quale il Signore Gesù l’ha voluta e l’ha inviata nel mondo. Una Chiesa chiusa in se stessa, autoreferenziale si ammala, come ci ha ricordato più volte il santo Padre in questi mesi. Solo una Chiesa che sappia raggiungere le periferie non solo fisiche, ma esistenziali dell’uomo d’oggi, come ci ha detto ancora il Papa, per portarvi la Parola che salva, rende la Chiesa fedele alla volontà del Suo Signore.

SENTIRE LA BELLEZZA E LA RESPONSABILITÀ DELL’ANNUNCIO.

L’Apostolo Paolo dice nella prima lettera ai Corinzi (9,16) “Annunciare il Vangelo, non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone; guai a me se non annuncio il Vangelo”. Occorrono dunque annunciatori e testimoni appassionati di Gesù Cristo. Già Paolo VI diceva che il mondo di oggi non ascolta più i maestri; se li ascolta è perché sono testimoni. Viviamo in un mondo in cui l’uomo è autoreferenziale e le sue scelte sono dettate dal relativismo in tutti i campi: scelgo ciò che mi piace, ciò che mi torna conto, ciò che mi interessa e quindi sono esclusi dall’orizzonte del mondo d’oggi, dei giovani in particolare parole come definitività, sacrificio, coerenza, dono di sé, senza le quali non è possibile essere discepoli di Gesù Cristo che di queste scelte ne ha fatto lo scopo della sua vita. Non solo, ma oggi si tenta di eliminare altre parole quali famiglia, matrimonio, figli, fedeltà coniugale maschile e femminile, con i contenuti che stanno dietro a queste parole, per cui oggi più che mai occorre fare conoscere Cristo, perché l’uomo ritrovi se stesso.
E quindi oggi come sempre perché il Vangelo sia annunciato, occorre che vi siano persone generose che ascoltano la sua chiamata, occorrono giovani che siano consapevoli che l’annuncio del Vangelo non è solo gesto di buona volontà, ma è elemento costitutivo del proprio Battesimo e quindi del proprio essere Cristiani. Solo da Dio, viene la salvezza.
L’apostolo Paolo afferma: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato.
Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? Come sta scritto: Quanto son belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene!

CHE COSA OCCORRE PER ANNUNCIARE IL VANGELO?
• Occorre innanzitutto conoscere Gesù, averlo incontrato, essere rimasti in intimità con Lui. Egli è il Figlio di Dio che è venuto ad annunciarci l’amore del Padre, che per realizzare il progetto di salvezza di Dio non ha esitato a dare la sua vita sulla Croce. Riconoscere in Gesù il Figlio di Dio però, non è frutto della nostra intelligenza o delle nostre speculazioni, ma é suo dono. Per questo Gesù ha promesso e mandato lo Spirito Santo: quando lo Spirito di verità sarà disceso su di voi, vi ricorderà tutto quello che io vi ho insegnato e voi mi sarete testimoni fino agli estremi confini della terra.
E quando gli Apostoli dovranno scegliere un sostituto di Giuda per ricomporre il Collegio Apostolico, il criterio sarà: ”Uno che abbia conosciuto Gesù, da quando ha iniziato il suo ministero, fino alla sua resurrezione dai morti.

• Occorre quella libertà e quella semplicità di cui i giovani in particolare sentono tutto il fascino.
Gesù inviando i suoi discepoli per annunciare il Vangelo li invita, dà loro delle indicazioni: strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i dèmoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento. A significare che il discepolo che annuncia il Vangelo non deve riporre la sua fiducia in nient’altro, se non nell’efficacia della Parola che annuncia.

• Occorre portare la propria Croce con Gesù e amare e servire come ha fatto Lui.
Dice il Santo Padre nel messaggio ai giovani della Domenica delle Palme: “Voi non avete vergogna della sua Croce! Anzi, la abbracciate, perché avete capito che è nel dono di sé, nell’uscire da se stessi, che si ha la vera gioia e che con l’amore di Dio Lui ha vinto il male. Voi portate la Croce pellegrina attraverso tutti i continenti, per le strade del mondo! La portate rispondendo all’invito di Gesù «Andate e fate discepoli tutti i popoli. (cfr Mt 28,19), che è il tema della Giornata della Gioventù di quest’anno. La portate per dire a tutti che sulla croce Gesù ha abbattuto il muro dell’inimicizia, che separa gli uomini e i popoli, e ha portato la riconciliazione e la pace”.

Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?

Non possiamo non farci anche noi questa domanda che Gesù pone ai suoi discepoli e che mette in gioco la nostra responsabilità.
Dio ha avuto fiducia in noi, ci ha affidato l’annuncio e la costruzione del suo Regno; ora non è scontato che esso vada avanti automaticamente. Esso crescerà solo nella misura in cui troverà dei collaboratori. Fra questi ci siamo anche noi. Se sapremo trasmettere il testimone della fede, se ameremo il Signore Gesù e rimarremo nel suo amore, se non avremo altri interessi materiali da anteporre al Vangelo, allora Gesù tornando troverà ancora la fede. Per questo occorre la nostra disponibilità. In questa giornata, durante questa Eucaristia preghiamo perché secondo le sue parole Gesù mandi operai alla sua messa e noi ripetiamo con le parole del canto: “Ho udito il Signor che diceva chi manderò? Ho detto al Signore con gioia, se vuoi manda me”.

Mons. Elio Ciccioni

Festa del Corpus Domini, San Marino, 30 Maggio 2013

 Omelia pronunciata dall’Amministratore diocesano Mons. Elio Ciccioni

Cari Fratelli e sorelle,
Questa solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, che oggi celebriamo in San Marino, conclude le principali feste dell’anno Liturgico e ci porta a vivere il cuore del mistero cristiano. L’Eucaristia infatti non è un rito, una figura, o una immagine, ma una presenza: quella di Cristo viva e operante in mezzo a noi. In essa, il Signore Gesù, durante l’Ultima Cena, ha anticipato misticamente quello che avrebbe vissuto nei giorni successivi e cioè la sua passione, morte e risurrezione. Nel momento del dolore, dell’ora suprema, e nell’avvicinarsi della morte, egli ha ancora il tempo e il cuore per pensare a quei discepoli, che poco dopo lo avrebbero tradito ed abbandonato, lasciando loro il Suo Corpo e il Suo Sangue, come pegno di Amore e di definitiva Alleanza, di fedeltà e di presenza perpetua. (Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo).
Il Concilio Ecumenico Vaticano II definisce l’Eucaristia Culmen et fons, (culmine e sorgente di tutta la vita cristiana, ad essa tutto tende e da essa tutto promana.
L’Eucaristia, corpo e sangue di Cristo, ci comunica tutta la vita e tutta la vitalità di Cristo. La chiesa dunque celebra concretamente l’Eucaristia, ma mentre la celebra comprende che in realtà è l’Eucaristia stessa che edifica e fa vivere la chiesa: nel cuore della vita della chiesa c’è dunque l’Eucaristia che la rende viva, perché la rende di Cristo e attraverso lui della Trinità.
Egli è venuto a darci un pane di vita eterna, che non perisce, che nutre la nostra fame di amore, che cambia un mondo di gente che cerca affannosamente un cibo solo per sé e non è mai sazia. Questo è uno dei grandi problemi del mondo, che la crisi sta evidenziando: abbiamo costruito una società fatta di cose e di beni, ma non siamo mai sazi. Quanta insoddisfazione fa nascere questo modello di società. E non vi sono isole felici, ma è così dovunque si è perso il senso di Dio per idolatrare il denaro, il successo, il piacere, il potere. Tutti idoli che promettono all’uomo la felicità, ma che in realtà gli richiedono il sacrificio della sua libertà e della sua vita.
Dio continua a venire in mezzo a noi per restare con noi. Ce lo ricorda lo stesso Gesù quando, prendendo il pane e il vino, disse: “Questo è il mio corpo… Questo è il mio sangue”. Cioè “questo pane e questo vino sono io stesso”. Davvero è un “mistero della fede”, come diciamo nella Santa Messa; ed assieme un “mistero di amore”. E’ il mistero di una presenza “reale” in un mondo in cui tutto sembra essere “virtuale” e dove è difficile che gli uomini si sentano “realmente” gli uni vicini agli altri. Spesso ci capita di sentirci soli e viviamo in una società fatta di donne e di uomini soli, che spesso esalta la solitudine come segno di libertà ed autosufficienza, Per non parlare di chi viene lasciato solo, come tanti anziani. Ma la festa di oggi ci ricorda che Gesù non ci ha lasciati soli; è il mistero di una presenza “reale”, cioè vera, concreta, presenza che crea unità e comunione.
Nella festa del “Corpus Domini” Dio si rivela non come un’ideale astratto, qualcosa di lontano e ineffabile, ma con un corpo, per parlare, sentire, vedere, toccare la nostra vita. “Il Verbo si è fatto carne…ed è venuto ad abitare in mezzo a noi” per concludere con noi un’alleanza nuova, come dice la lettera agli Ebrei. Oggi non c’è più tanta voglia di stringere alleanze, o patti, si preferisce andare ciascuno per proprio conto e

per la propria strada; al massimo si fanno alleanze per essere contro qualcuno, per difendere i propri interessi o quelli del proprio gruppo. Quante “alleanze contro” nella vita di ogni giorno, politica, economica, sociale, familiare, anche ecclesiale. Ma l’alleanza che Dio stringe con gli uomini è un’alleanza gratuita, dalla quale Dio non può ottenere altro che la nostra fedeltà, mentre noi possiamo avere la salvezza.
E’ un’alleanza antica, perché fin dalle origini Dio non ha voluto che l’uomo fosse solo, e nonostante il suo peccato e il rifiuto dei suoi vincoli di amore, egli non si è mai stancato di cercarci. Il libro dell’Esodo, ci descrive la prima alleanza di Dio con il suo popolo, e poi confermata, rinnovata da Gesù stesso, che “entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna.” Nella Messa ripetiamo le Parole di Gesù:”Questo è il Sangue della nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati”.
La festa di oggi è la festa della nuova alleanza che Dio stipula anche con noi. E’ un’alleanza di amore. Gesù infatti si rende presente nel pane spezzato e nel vino versato, cioè come offerta di vita piena. Potremmo dire che Dio manda il suo Figlio per amarci e per farsi amare. E non si può amare Dio senza amare il suo corpo, la sua concretezza, senza ascoltare la sua parola, voce di quel corpo. Amarlo fino al punto di essere anche noi parte di quel corpo, che è la Chiesa di Cristo. S. Paolo avverte che chi i mangia e beve indegnamente il Corpo del Signore mangia e beve la propria condanna: L’indegnità consiste prima di tutto nel non riconoscere in quel Pane la presenza della Chiesa
Scrive l’apostolo Paolo: “Voi siete corpo di Cristo!” e quando ci accostiamo all’Eucaristia dovremmo sempre meditare su questa realtà: sappiamo di essere anche noi membra del corpo di Cristo? E nella vita ci comportiamo come membra di Cristo? Siamo cioè le sue mani che curano e sollevano, siamo la sua voce che consola e incoraggia, siamo i suoi piedi che camminano con gli altri e la sua bocca per portare a tutti il suo Vangelo? Siamo quell’unità di cui Paolo parla nella prima lettera ai Corinzi, dove ciascuno vive come parte di un corpo contrastando tante piccole e tristi divisioni e inimicizie? Il pane e il vino dell’Eucaristia, il corpo e il sangue di Cristo, fanno di noi un solo corpo e un solo spirito, ci rendono un “noi” e non individui separati. Partecipare almeno ogni domenica al memoriale della morte e resurrezione del Signore, la Pasqua di Gesù, ci aiuta a vivere ogni giorno come membra di quel corpo che si dona per la salvezza di tutti, si prende cura di tutti, in particolare dei più deboli e dei più poveri.
Non si può amare l’Eucaristia all’altare e poi disprezzare i poveri e i fratelli. Per questo Gesù dice: “Se tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te lascia lì il tuo dono davanti all’altare, và prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.” Non amiamo un’idea! Il Vangelo ci aiuta ad amare in modo vero e concreto. Per questo oggi facciamo festa, perché il Signore non si è dimenticato di noi, e ci ha cercato prima di offrire se stesso sull’altare, perché possiamo vivere riconciliati con lui e con il prossimo.
Signore Gesù, aumenta la nostra fede nella Santissima Eucaristia! Facci prendere coscienza della nostra povertà e apri i nostri occhi davanti al mistero del tuo dono, che è l’unica terapia della nostra inquietudine e della nostra infelicità.
Amen!

Festa del Corpus Domini, San Marino, 30 Maggio 2013

Omelia pronunciata dall’Amministratore diocesano Mons. Elio Ciccioni

Cari Fratelli e sorelle,
Questa solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, che oggi celebriamo in San Marino, conclude le principali feste dell’anno Liturgico e ci porta a vivere il cuore del mistero cristiano. L’Eucaristia infatti non è un rito, una figura, o una immagine, ma una presenza: quella di Cristo viva e operante in mezzo a noi. In essa, il Signore Gesù, durante l’Ultima Cena, ha anticipato misticamente quello che avrebbe vissuto nei giorni successivi e cioè la sua passione, morte e risurrezione. Nel momento del dolore, dell’ora suprema, e nell’avvicinarsi della morte, egli ha ancora il tempo e il cuore per pensare a quei discepoli, che poco dopo lo avrebbero tradito ed abbandonato, lasciando loro il Suo Corpo e il Suo Sangue, come pegno di Amore e di definitiva Alleanza, di fedeltà e di presenza perpetua. (Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo).
Il Concilio Ecumenico Vaticano II definisce l’Eucaristia Culmen et fons, (culmine e sorgente di tutta la vita cristiana, ad essa tutto tende e da essa tutto promana.
L’Eucaristia, corpo e sangue di Cristo, ci comunica tutta la vita e tutta la vitalità di Cristo. La chiesa dunque celebra concretamente l’Eucaristia, ma mentre la celebra comprende che in realtà è l’Eucaristia stessa che edifica e fa vivere la chiesa: nel cuore della vita della chiesa c’è dunque l’Eucaristia che la rende viva, perché la rende di Cristo e attraverso lui della Trinità.
Egli è venuto a darci un pane di vita eterna, che non perisce, che nutre la nostra fame di amore, che cambia un mondo di gente che cerca affannosamente un cibo solo per sé e non è mai sazia. Questo è uno dei grandi problemi del mondo, che la crisi sta evidenziando: abbiamo costruito una società fatta di cose e di beni, ma non siamo mai sazi. Quanta insoddisfazione fa nascere questo modello di società. E non vi sono isole felici, ma è così dovunque si è perso il senso di Dio per idolatrare il denaro, il successo, il piacere, il potere. Tutti idoli che promettono all’uomo la felicità, ma che in realtà gli richiedono il sacrificio della sua libertà e della sua vita.
Dio continua a venire in mezzo a noi per restare con noi. Ce lo ricorda lo stesso Gesù quando, prendendo il pane e il vino, disse: “Questo è il mio corpo… Questo è il mio sangue”. Cioè “questo pane e questo vino sono io stesso”. Davvero è un “mistero della fede”, come diciamo nella Santa Messa; ed assieme un “mistero di amore”. E’ il mistero di una presenza “reale” in un mondo in cui tutto sembra essere “virtuale” e dove è difficile che gli uomini si sentano “realmente” gli uni vicini agli altri. Spesso ci capita di sentirci soli e viviamo in una società fatta di donne e di uomini soli, che spesso esalta la solitudine come segno di libertà ed autosufficienza, Per non parlare di chi viene lasciato solo, come tanti anziani. Ma la festa di oggi ci ricorda che Gesù non ci ha lasciati soli; è il mistero di una presenza “reale”, cioè vera, concreta, presenza che crea unità e comunione.
Nella festa del “Corpus Domini” Dio si rivela non come un’ideale astratto, qualcosa di lontano e ineffabile, ma con un corpo, per parlare, sentire, vedere, toccare la nostra vita. “Il Verbo si è fatto carne…ed è venuto ad abitare in mezzo a noi” per concludere con noi un’alleanza nuova, come dice la lettera agli Ebrei. Oggi non c’è più tanta voglia di stringere alleanze, o patti, si preferisce andare ciascuno per proprio conto e

per la propria strada; al massimo si fanno alleanze per essere contro qualcuno, per difendere i propri interessi o quelli del proprio gruppo. Quante “alleanze contro” nella vita di ogni giorno, politica, economica, sociale, familiare, anche ecclesiale. Ma l’alleanza che Dio stringe con gli uomini è un’alleanza gratuita, dalla quale Dio non può ottenere altro che la nostra fedeltà, mentre noi possiamo avere la salvezza.
E’ un’alleanza antica, perché fin dalle origini Dio non ha voluto che l’uomo fosse solo, e nonostante il suo peccato e il rifiuto dei suoi vincoli di amore, egli non si è mai stancato di cercarci. Il libro dell’Esodo, ci descrive la prima alleanza di Dio con il suo popolo, e poi confermata, rinnovata da Gesù stesso, che “entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna.” Nella Messa ripetiamo le Parole di Gesù:”Questo è il Sangue della nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati”.
La festa di oggi è la festa della nuova alleanza che Dio stipula anche con noi. E’ un’alleanza di amore. Gesù infatti si rende presente nel pane spezzato e nel vino versato, cioè come offerta di vita piena. Potremmo dire che Dio manda il suo Figlio per amarci e per farsi amare. E non si può amare Dio senza amare il suo corpo, la sua concretezza, senza ascoltare la sua parola, voce di quel corpo. Amarlo fino al punto di essere anche noi parte di quel corpo, che è la Chiesa di Cristo. S. Paolo avverte che chi i mangia e beve indegnamente il Corpo del Signore mangia e beve la propria condanna: L’indegnità consiste prima di tutto nel non riconoscere in quel Pane la presenza della Chiesa
Scrive l’apostolo Paolo: “Voi siete corpo di Cristo!” e quando ci accostiamo all’Eucaristia dovremmo sempre meditare su questa realtà: sappiamo di essere anche noi membra del corpo di Cristo? E nella vita ci comportiamo come membra di Cristo? Siamo cioè le sue mani che curano e sollevano, siamo la sua voce che consola e incoraggia, siamo i suoi piedi che camminano con gli altri e la sua bocca per portare a tutti il suo Vangelo? Siamo quell’unità di cui Paolo parla nella prima lettera ai Corinzi, dove ciascuno vive come parte di un corpo contrastando tante piccole e tristi divisioni e inimicizie? Il pane e il vino dell’Eucaristia, il corpo e il sangue di Cristo, fanno di noi un solo corpo e un solo spirito, ci rendono un “noi” e non individui separati. Partecipare almeno ogni domenica al memoriale della morte e resurrezione del Signore, la Pasqua di Gesù, ci aiuta a vivere ogni giorno come membra di quel corpo che si dona per la salvezza di tutti, si prende cura di tutti, in particolare dei più deboli e dei più poveri.
Non si può amare l’Eucaristia all’altare e poi disprezzare i poveri e i fratelli. Per questo Gesù dice: “Se tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te lascia lì il tuo dono davanti all’altare, và prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.” Non amiamo un’idea! Il Vangelo ci aiuta ad amare in modo vero e concreto. Per questo oggi facciamo festa, perché il Signore non si è dimenticato di noi, e ci ha cercato prima di offrire se stesso sull’altare, perché possiamo vivere riconciliati con lui e con il prossimo.
Signore Gesù, aumenta la nostra fede nella Santissima Eucaristia! Facci prendere coscienza della nostra povertà e apri i nostri occhi davanti al mistero del tuo dono, che è l’unica terapia della nostra inquietudine e della nostra infelicità.
Amen!

Celebrazione eucaristica “Nella Cena del Signore”

Lavanda dei piedi-Solenne Reposizione dell’Eucaristia
Cattedrale di Pennabilli, Giovedì 28 Marzo 2013, ore 21,00

“Ho ardentemente desiderato di mangiare questa Pasqua con voi”
Omelia di Mons. Elio Ciccioni

Sono le Parole che Gesù disse prima dell’ultima Cena, proprio nel Giovedì Santo mentre si apprestava al passaggio da questo mondo al Padre. Queste Parole esprimono il desiderio e la necessità che Gesù, sperimenta, di trascorrere nell’ intimità e nell’amicizia con i suoi discepoli; le Sue ultime ore di vita terrena, ma che esprimono anche il rammarico e forse l’angoscia della morte che fra poco dovrà affrontare. Infatti anche questo clima di familiarità sarà sconvolto da un gesto tremendo, quello di Giuda che per trenta monete tradirà il suo Maestro e amico. E tuttavia, proprio in questo contesto, Gesù esprime il suo amore, “avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine”. Infatti, nei gesti che farà in quella sera, lavare i piedi ai discepoli e istituire l’Eucaristia, si manifesta ancora una volta il progetto di amore del Padre che Gesù accetta liberamente e spontaneamente. Poi, sarà in balia dei suoi avversari, gli eventi che seguiranno lo travolgeranno, ma nella cena Gesù compie questo gesto con estrema libertà.
E il gesto lo abbiamo ascoltato dal racconto del Vangelo: prende un asciugamano, se lo cinge alla vita, prende una brocca d’acqua e si mette a lavare i piedi dei discepoli. Poi dà loro una esortazione, che nella prassi cristiana diventerà il comandamento nuovo, il comandamento dell’amore: “Capite quello che ho fatto per voi?. Voi mi chiamate il Maestro e il Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavarveli gli uni gli altri. Vi ho dato, infatti, un esempio, perché anche voi facciate come ho fatto a voi”.
Così pure, come, riportano gli altri evangelisti durante la cena, Gesù pronuncia la benedizione sul pane e sul vino e istituisce l’Eucaristia, con il comando di ripetere quel gesto in sua memoria fino al suo ritorno.
Nel rito della cena, Gesù anticipa misticamente quello che avrebbe fatto il giorno dopo, catturato, processato, condannato a morte e crocifisso realizzando la salvezza degli uomini, ma il dono della sua vita anticipato nella Eucaristia, dovrà essere continuato fino alla consumazione dei secoli. Per questo Gesù istituisce il Sacerdozio ministeriale. Ognuno di noi in forza del proprio battesimo è sacerdote, perché è chiamato con Cristo a offrire se stesso al Padre e farsi voce di ogni creatura nella lode a Lui: il sacerdozio ministeriale è istituito a servizio di quello comune, perché ogni fedele possa realizzare le propria vocazione e giungere alla salvezza.
Mentre per Gesù si avvicina l’ora della sua morte, Egli non si preoccupa per se, ma di non abbandonare i suoi discepoli, e rimanere con loro per sempre. E lo f a, attraverso l’incommensurabile dono del suo Corpo e del suo sangue, anticipato e perpetuato nel mirabile sacramento dell’Eucaristia.
Ma perché i suoi discepoli possano capire quello che sta facendo, perché non si limitino a considerarlo un puro gesto rituale, Gesù pone un segno: consegna il dono di sé ad un gesto, che è quello del servizio. I discepoli devono comprendere che il sacrificio di Gesù è un evento inaudito che non può rimanere circoscritto a un rito, ma che deve diventare stile di vita. Ed ecco il segno: la lavanda dei piedi, come espressione che connota colui che vuole essere discepolo del maestro, perché in quel gesto ci sta la scelta di come vivere la vita: vita a servizio, vita data, vita spesa. E come per il Signore il lavare i piedi si è identificato con la sua morte sulla Croce per amore nostro, così è per noi, possiamo essere veri discepoli del Signore e suoi testimoni credibili, solo quando accettiamo di lavare i piedi, cioè di amare e servire i fratelli, facendo per loro dono della nostra vita. Cristo è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per tutti. E continua a lettera ai Filippesi. “Cristo Gesù, pur essendo di natura divina non ha considerato un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma ha spogliato se stesso assumendo la condizione di servo. Apparso in forma umana umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di Croce. Per questo Dio l’ha esaltato….
Ecco allora per noi cosa significa il fare Pasqua, di cui il triduo pasquale che questa sera abbiamo iniziato è parte integrante.
Ecco il cammino della quaresima, come cammino di vera conversione, nel nostro modo di pensare, ancor prima che di agire. Ecco il senso del nostro battesimo, di cui celebreremo il pieno significato nella veglia Pasquale. L’apostolo Paolo dice che tutti coloro che sono stati battezzati in Cristo Gesù sono stati sepolti in una morte simile alla sua per partecipare alla sua risurrezione. Con Lui siamo morti, con lui siamo risorti, con lui siamo consedenti nel cielo alla destra del Padre.
Diremo ancora il giorno di Pasqua” Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dov’ è Cristo, assiso alla destra di Dio ”.
Tutto questo non è opera nostra, ma è frutto della libera iniziativa si Dio che ci ha scelti e amati per primo, è il cammino che da per un verso ha il suo compimento e dall’altro inizia questa sera, con il dono dell’Eucaristia, quale cibo del cammino, quale presenza gioiosa e consolante di Cristo con noi, come fonte e culmine di tutta la nostra vita di Cristiani. E ha inizio da questa sera se accetteremo di vivere il comandamento dell’amore come testimonianza suprema della nostra appartenenza a un Dio che non ha disdegnato di assumere la condizione di servo e morire sulla Croce, perché noi avessi la vita in pienezza. “Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici e io per voi ho dato la vita”.
• Noi faremo pasqua
• se nonostante i problemi, le difficoltà, le sofferenze, a volte la malattia e la stessa morte,
• se pur avendo fatto ogni sforzo per fare crescere bene i figli, questi si comportano tutt’altro che bene,
• se vediamo uomini e donne di Chiesa comportarsi da malvagi ,
• se nonostante il bene che abbiamo fatto riceviamo solo ingratitudini,
• se nonostante le notizie catastrofiche e gli sconvolgimenti, cui assistiamo ogni giorno nella nostra società,
• se nonostante la crisi economica che attanaglia le famiglie,

noi non perderemo la fiducia e la speranza che il bene vincerà sul male, la risurrezione sulla morte , e vivremo nella consapevolezza che Dio non abbandona la nostra vita e che avendoci donato Suo Figlio, ci darà ogni cosa con lui.
Buona Pasqua.

(Il testo è una libera trascrizione dell’Omelia pronunciata e non rivista da Mons. Elio Ciccioni)