Intervento al Collegio plenario dei Docenti dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose interdiocesano “A. Marvelli”

Rimini (RN), 14 settembre 2020

Cari Docenti,
sono contento di essere qui con voi per dirvi la mia gratitudine per quello che state facendo per la Chiesa e in particolare per le nostre Diocesi di Rimini e San Marino-Montefeltro.
Un saluto affettuoso a mons. Francesco Lambiasi e al direttore dell’Istituto, prof. Natalino Valentini, col quale sono spesso in contatto, facendomi partecipe della vita dell’Istituto. Ritengo che la fatica che facciamo per sostenere e incrementare la riflessione sulla fede e il servizio formativo alle nostre comunità sia di fondamentale importanza. A volte siamo tanto presi dal fare, dal rincorrere scadenze che rischiano di rubarci l’essenziale. Mi rendo conto, sempre più, come sia importante e decisivo privilegiare questa apertura e intelligenza davanti al mistero del Signore.
Mi presento: sono originario di Ferrara; ho lavorato molto nella pastorale dei ragazzi; per vent’anni sono stato direttore spirituale nel Seminario diocesano e, infine, parroco alla periferia della città. Mi sento un po’ vostro collega perché ho fatto per alcuni anni lezione all’Istituto di Scienze Religiose di Ferrara (insegnavo Catechetica e Teologia spirituale).

Attraverso quattro immagini vorrei dirvi quello che sto vivendo come vescovo di San Marino-Montefeltro. Parto dal positivo: mi trovo in una Chiesa raggiante, anche se ha sofferenze, dubbi e tensioni. È raggiante perché gode della presenza di Gesù Risorto. È una Chiesa grembo perché molto impegnata nell’iniziazione cristiana e nell’aggancio a quel vasto popolo che accompagna i bambini e i ragazzi ai sacramenti (a volte, purtroppo, poco apprezzato). È una Chiesa che va riscoprendo sempre di più i laici (nonostante qualche resistenza o ritardo). Ciò a causa del venir meno di tante forze “clericali”, ma soprattutto per convincimento, sulla base del Battesimo e dell’universale chiamata alla santità e all’apostolato.
L’ultimo fotogramma col quale descrivo la Chiesa di San Marino-Montefeltro, è quello di una Chiesa inquieta. Ho partecipato all’applauso fragoroso quando, a Firenze, in Santa Croce, Papa Francesco ha detto: «Mi piace una Chiesa Italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza» (Papa Francesco, Discorso al Convegno ecclesiale della Chiesa Italiana, Firenze, 10 novembre 2015). Dunque, una Chiesa inquieta perché vive le tensioni di oggi: incertezze, ansie, cedimenti alla mentalità secolarizzata, calo di presenze, scandali… Ma c’è anche un’accezione positiva nell’aggettivo “inquieto” applicato alla Chiesa: una Chiesa protesa a tutti, nella costante ricerca del dialogo; una Chiesa che è come una madre che non si dà pace per i suoi figli; una Chiesa che cerca senza sosta, si libera da schemi e sa mettersi in questione. Certo, l’equilibrio non è semplice. Si può trovare l’equilibrio camminando piano sul filo, ma c’è anche chi lo trova girando più forte come il giroscopio.
Sento la responsabilità di vescovo afferente a questo Istituto Superiore di Scienze Religiose. Dico grazie a voi professori e a tutto il personale per il servizio che svolgete e di cui gode la mia Diocesi. Penso ai 35 docenti di Religione Cattolica che si sono formati qui ed hanno un rapporto costante con voi; ai diaconi (9 già ordinati) e ai candidati diaconi che si preparano al ministero in questo Istituto. Voi garantite un appoggio competente a diversi Uffici Pastorali e siete disponibili a sostenere corsi di Sacra Scrittura nelle zone periferiche della Diocesi. Penso ai seminari nei quali ci aiutate ad affrontare problematiche e temi di attualità. Vi penso come una comunità “laboratorio”: offrite il sapere della teologia, della patristica, della storia, ma fate anche ricerca. Non posso non esprimere il mio compiacimento per la rivista scientifica che l’Istituto pubblica.

«Dio ha posto alcuni come maestri…» (1Cor 12,28): quando avete detto “sì”, avete accolto un vero e proprio ministero. Il ministero del teologo e il Magistero della Chiesa sono realtà che si armonizzano. L’insegnante dell’Istituto è uomo di Chiesa, uomo nella Chiesa, uomo della Chiesa e uomo a servizio della comunità. Egli ama la bellezza della Chiesa.
Cari amici, la Chiesa ha rapito il vostro cuore: è la vostra patria spirituale. Per dirla con l’evangelista Giovanni, la Chiesa è «vostra madre». Dice, infatti, Gesù ai discepoli, a voi teologi: «Ecco mia madre, ecco i miei fratelli» (cfr. Gv 19,27). Nulla di ciò che tocca la Chiesa vi lascia indifferenti o insensibili. Proprio perché uomini della Chiesa siete coinvolti nel suo oggi. Ma ne amate anche il passato, ne meditate la storia, ne venerate e ne esplorate la Tradizione e questo non per un vezzo, e neppure perché disprezzate o sottovalutate la Chiesa nel nostro tempo, al contrario. E se il teologo ama ricordare col pensiero i tempi della Chiesa nascente, lo fa perché – come dice sant’Ireneo – in essa riecheggiano ancora le parole di Gesù, il suo sangue scorre ancora caldo. Senza cadere nel mito dell’Età dell’oro… Il teologo, uomo della Chiesa, sa che Cristo è sempre presente, oggi come ieri, per continuare la sua vita, non per ricominciare ad ogni epoca o ad ogni anno pastorale. Non fossilizza la Tradizione, non gli verrebbe mai in mente di richiamarsi, contro l’insegnamento attuale del Magistero, a qualche antico stadio della dottrina o della sua istituzione. Crede che Dio abbia rivelato tutto una volta per sempre, per mezzo del Figlio suo. San Giovanni della Croce, rivolgendosi a Dio dice: «Perché una volta ti manifestavi con segni e sogni, mentre adesso…». Gli viene risposto: «Ma io ho già detto tutto in Gesù Crocifisso (cfr. Giovanni della Croce, Salita al monte Carmelo, libro 2, c. 22)». Bisogna che il teologo sappia concepire e vedere insieme Sacra Scrittura, Tradizione e Magistero.
Sacra Scrittura, Tradizione e Magistero sono quel funiculus triplex che “tiene” perché intreccio di queste tre realtà («…una corda a tre capi non si rompe tanto presto» Eccl. 4,12). La fedeltà del teologo al Magistero non lo dispensa dal dovere di nutrirsi delle Sacre Scritture, della Parola di Dio, il cui studio resterà sempre l’anima della teologia. Non ci si forma alla teologia per un godimento intellettuale o a titolo di curiosità, la stessa con cui si visitano i monumenti. Il teologo è a totale servizio della comunità. Non esita ad impegnarsi per la difesa e per l’onore della sua fede, ma non è estremista, diffida degli eccessi, ci tiene a pensare non solamente con la Chiesa, ma nella Chiesa e questo implica una fedeltà profonda, una partecipazione intima. Si sente figlio, figlio di famiglia nella Chiesa. La fedeltà non si tradurrà mai in durezza, in disprezzo degli altri, in aridità di cuore. L’attaccamento alle verità della fede non sopprime in lui il dono dell’accoglienza. Sa che la Chiesa deve essere un “sì”: chi l’avvicina o la sfiora deve percepirla così.
Voi insegnanti, e tutti i pastori, devono avere una grande cura affinché non ci sia mai un’idea che a poco a poco prenda il posto di Gesù Cristo.
Questo il mio augurio per voi, con tutto il cuore e con immensa gratitudine per quello che fate.