Omelia Domenica in Albis – Ordinazione diaconale di Pier Luigi Bondioni

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Cattedrale di Pennabilli, 12 aprile 2015
 

At 4,32-35
Sal 117
1Gv 5,1-6
Gv 20,19-31

Abbiamo iniziato con una preghiera sublime che interpreta una molteplicità di sentimenti. Una preghiera che abbiamo innalzata “al Dio di eterna misericordia” accompagnata dai nostri canti (oggi è la Domenica della Divina Misericordia).
“Signore, ravviva la fede”, perché diventiamo consapevoli di come tu sei all’opera nella nostra vita.
“Accresci la grazia”, cioè l’esperienza della tua prossimità in ogni circostanza della nostra esistenza, avvolgendola di sacralità.
“Donaci di comprendere”:
l’inestimabile ricchezza del Battesimo, perché non resti confinato nel ricordo dell’infanzia e le sue acque gorgoglino costantemente le Parole che il Padre ha pronunciato su di noi: “Tu sei mio figlio, l’amato, sorgente della mia gioia (oggi è la Domenica in Albis);
lo Spirito che ci rigenera, effuso nei nostri cuori dal Signore Risorto, lo stesso Spirito che aleggiava sulle acque primordiali, che ha reso divino l’uomo fatto di creta.
il Signore che ci ha redenti con un atto d’amore costato il suo sangue, sangue che ci fa popolo regale, profetico e sacerdotale, assemblea santa!
Ma questa sera non possiamo non cantare anche la grazia e la gioia dell’ordinazione diaconale di un fratello: Pier Luigi.
Ma chi è il diacono? Propriamente uno al quale il Signore fa il dono di diventare come lui, servo. È una grazia essere servo? Preciso. Non un servo stipendiato; non un servo a ore o a cottimo. Il ministero non viene conferito in vista di una carriera (qui non è ammessa altra carriera che la scalata alla santità!), né in vista di vantaggi particolari e – fuori di metafora – non per autorealizzazione (anche se il diacono sperimenta quanto è bello servire il Signore e come allarghi il cuore dedicarsi agli altri più che a sé). Il diaconato non è un contratto a tempo: “Prima mi sbrigo e prima sono libero; poi mi dedico a me stesso e ai miei hobby”. Non è una professione da svolgere, magari nel migliore dei modi, nel posto che mi piace di più (Caro Pier Luigi ricorda il testo della Imitazione di Cristo, oggetto delle nostre meditazioni: “Immaginatio locorum, multos fefellit”!). Ma allora, che cosa è il diaconato? Perché è una fortuna?
Il diaconato è una dimensione nuova che configura il candidato a Gesù Cristo servo mediante il sacramento dell’Ordine, con tutte le grazie proprie, e che rimane come segno indelebile in chi lo riceve con l’imposizione delle mani del Vescovo.
“Tutto ciò che fu visibile del nostro Redentore è passato nei segni sacramentali”. Il nostro Redentore fu essenzialmente servo, servo della nostra Redenzione. E tu, Pier Luigi, diventi a tua volta servo della Redenzione, metti a disposizione le tue membra perché siano a servizio della Redenzione.
Il Signore viene in mezzo a noi. È qui! Dice nuovamente “Shalom”. Alita su questa assemblea e su di te. Dice: «Come il Padre ha mandato me, io mando voi». Caro Pier Luigi, il Signore manda te! Come il Padre ha mandato lui! L’ha mandato umano, piccolo, inerme, servo. Quante volte Gesù ci ha lasciato intravvedere la sua coscienza di essere servo, citando i Carmi di Isaia che tratteggiano l’identikit del servo di Jahvè, servo sofferente. Parola chiave dei Carmi è la preposizione “per”: “per voi” e “per tutti”.
L’esistenza del diacono è una pro-esistenza.

Indicazioni precise per il tuo diaconato vengono dalle letture di oggi.
La prima lettura (il celebre “quadretto” degli Atti degli Apostoli) ti ricorda che esprimerai il tuo servizio in una logica di comunione, dentro una comunità precisa (incardinazione), con le sue ricchezze e le sue povertà. Questo testo ti aiuterà nell’approfondire ancora di più la spiritualità di comunione. Troverai in questa Chiesa di San Marino-Montefeltro fraternità, amicizia e aiuto spirituale, culturale ed economico.
La seconda lettura ti infonde coraggio, ti immette nel servizio con una mentalità vincente: “La nostra fede vince il mondo”.
Sostiamo un attimo nella meditazione del testo evangelico.
Gesù appare ai discepoli barricati nel Cenacolo per la paura dei Giudei e, ancor più, prigionieri della loro viltà e dei rimorsi per la notte del tradimento.
Gesù viene delicatamente, a porte chiuse, sensibile e attento alla crisi e ai dubbi dei suoi amici. E il gruppo riparte. È una comunità creata di nuovo col soffio dello Spirito. Il gesto di Gesù ripropone, infatti, l’atto creativo.
La comunità “nuova” che ha lo Spirito di Gesù pone da subito segni che la caratterizzano. Il primo: ospita l’incredulità di uno del gruppo, l’incredulità di uno dei migliori, Tommaso, l’apostolo che propose di seguire il maestro che si era incamminato per Betania per incontrare Lazzaro; e lo fece con queste parole: «Andiamo anche noi a morire con lui» (Gv 11,16). È l’apostolo che dopo la cena osa chiedere a Gesù: «Non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?» (Gv 14,5), dando l’opportunità a Gesù di affermare: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Tommaso è l’ospite del Cenacolo che entra ed esce con libertà.
Però Tommaso non crede. Il gruppo, da parte sua, non lo esclude e non lo emargina. E Tommaso rimane. La comunità cristiana è sempre luogo della fede. Quando la fede di un fratello è debole o addirittura spenta, attorno a lui si mobilita: “Resta – dice – non te ne andare. Altri ti porteranno”. La comunità rifondata da Gesù è una comunità accogliente! Il diacono – si dice – è ministro della soglia. Ricorda: l’accoglienza è la prima e fondamentale forma di missione.
Otto giorni dopo, Gesù è di nuovo nel Cenacolo. Entra e non si ferma coi dieci che credono, ma va verso Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano».
Il Vangelo non ci dice se Tommaso ha toccato le mani e il costato trafitto di Gesù. A Tommaso è bastato sentirsi incoraggiato e non giudicato; è bastato vedere negli occhi colui che si è concesso ai suoi dubbi prima che alle sue mani. E a noi, insieme a Tommaso, viene da esclamare: “Sei proprio tu, Gesù. Inconfondibile nel tuo modo di proporti e nel tuo stile. Non ci sbagliamo su di te”! Così Tommaso passa dall’incredulità all’estasi: «Mio Signore e mio Dio!». E noi con lui!