Omelia e Processione per il Corpus Domini a San Marino

Basilica di San Marino, 4 giugno 2015

Omelia

Domenica scorsa una ragazza “ha preso il velo”, cioè si è consacrata al Signore nel monastero delle Adoratrici, Adoratrici del SS. Sacramento perennemente esposto nella loro chiesa. Ho partecipato al rito con una profonda commozione. Ho preso la parola concludendo più o meno così: “Suor Annunziata con la dedicazione della sua vita all’Eucaristia testimonia come sia grande questo sacramento. Per esso vale la pena spendere tutta una vita. L’Eucaristia è il bene più prezioso che abbiamo e per il quale non basta una vita intera per capirlo, adorarlo, amarlo…”.
Suor Annunziata è una provocazione per noi: siamo chiamati a fare dell’Eucaristia il centro della nostra vita, la fonte e il culmine della vita delle nostre comunità, l’abisso senza fondo della corrispondenza amorosa tra noi e il Signore.
Sull’altare, in quel pane e in quel vino, Gesù non è presente in un qualche modo, ma come corpo spezzato e sangue versato. Quando leviamo i nostri occhi verso l’ostia contempliamo il corpo di un uomo “spezzato e versato”, che cioè si dona per gli amici e che non risparmia nulla per sé.
E poiché l’Eucaristia ci fa un solo corpo con Gesù, quando diciamo le parole: “Questo è il mio corpo dato per voi… Questo è il mio sangue versato per tutti…” le diciamo di Cristo, ma le diciamo anche di noi stessi.
L’Eucaristia è pericolosa, perché ci rimette in discussione: il Corpo di Cristo contesta il nostro modo gretto di vivere, le attenzioni meticolose per il nostro corpo, il nostro istinto al risparmio della fatica, la nostra abitudine a spenderci col bilancino.
L’Eucaristia è un rischio, perché ci fa promettere di vivere un’esistenza donata: “Mangiatemi pure, consumatemi, usatemi. Il mio Corpo – dice il discepolo come il suo maestro Gesù – non è mio, è per voi. Le mie energie, il mio tempo, è a vostra disposizione”.
Con la Comunione riceviamo il Signore, la sua mentalità e la sua forza per vivere come lui. In lui il nuovo umanesimo!

Monizione per la processione

Perché una città interrompe la sua routine – come fa San Marino – per celebrare il Corpus Domini? Perché è un’antica tradizione? Ancora oggi suscita curiosità e viene osservata dai turisti come folclore. Questo ci indispettisce, ma saremmo dispiaciuti se la città rifiutasse questo segno esterno. Noi diciamo: non una fede senza festa.
Confrontando col passato, oggi la città ci appare piuttosto spopolata. Essa è il luogo del lavoro, dello stress, della fatica e nel “dì di festa” c’è chi esce per qualche ora di vacanza.
La nostra città di San Marino conosce però anche l’abbandono – soprattutto nel centro storico – dei tanti che cercano altrove lavoro e sistemazione. Tuttavia la città saluta la festa del Corpus Domini anche come occasione di una pausa a metà settimana, quando l’estate fa sentire le prime vampe di calore. Ci viene da osservare: ma è festa senza fede?
C’è un popolo che esce festante per le vie della città. Porta con solennità un Pane. Per la fede in Colui che in quel pane è presente canta la sua gioia al “Dio con noi”, come Davide che dice: “Davanti a Jahvè io danzo”!
Qualcuno potrebbe paragonare la processione al cammino delle tribù di Israele attorno alle mura di Gerico: fu per conquistare quella città.
In verità, questo popolo che esce con il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia è mosso da una sincera e profonda “cortesia”: vuole col suo passaggio benedire la città, le sue istituzioni, le sue attività. Portare il Corpo di Cristo tra le case è un “dire bene” della vita, della famiglia, del lavoro, della scuola, della relazione, ecc.
Non è di questo popolo la strategia della fuga dalla città e tanto meno la strategia dell’aggressione. Semmai, la sua strategia è quella della presenza per collaborare, costruire, migliorare, ricominciare, se è necessario.
È festa della Visitazione: Dio visita il suo popolo.
Sì, percorriamo la città per aiutarci a cogliere tutta la dimensione pubblica e sociale della nostra fede e per aiutarci a stabilire rapporti tra la nostra fede ed i problemi dei fratelli e del mondo. Ciò esige per noi di rivedere il nostro rapporto col mondo, che oggi non può che essere missionario: di una missionarietà soave e forte insieme, soave nella bontà del dialogo, rispettosa e amante delle persone; forte nella consapevolezza dell’identità del dono a noi fatto e della coerenza necessaria per custodirlo, difenderlo e diffonderlo.
Dio ci benedica.