Omelia Esequie di suor Maria Caterina

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Sant’Agata Feltria, 28 ottobre 2014

Ap 21, 1-7
Mt 11, 25-30

Cara Suor Caterina, ecco, ora: “una nuova terra e un nuovo cielo… Il mare non c’è più…”! (cfr. Ap 21, 1). È finito il viaggio fra i pericoli, le burrasche, i travagli… Sei arrivata in porto. Il mare, nelle Scritture, è l’elemento oscuro, inquietante; luogo di pericolose tempeste scatenate da forze brutali e implacabili; racchiude abissi abitati da mostri. Ma ora sono annientati. È il momento della nuova creazione. Siamo rapiti nella meraviglia della visione profetica, nel punto culminante dell’Apocalisse. Ecco incedere una sposa adorna per il suo sposo. Se ci sono lacrime, sono di gioia e di commozione, perché le cose di prima, come la morte, il lutto, l’affanno, il lamento, non ci sono più. «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»: dice colui che siede sul trono. Sono le prime note della sinfonia del nuovo mondo. Una sposa assetata – con una sete durata per più di 85 anni – finalmente, come la cerva cantata dal Salmo, può saziarsi alla fonte: «A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita» (Ap 21, 6). Il Signore giura che sarà lui in persona a colmare pienamente ogni suo desiderio fino a darsi come suo tutto (“sarò il tuo Dio”) e lei sarà figlia, il tutto per il Padre!
Che cosa può ottenere di più una creatura?
Vedrà cieli nuovi e terra nuova. Vedrà dischiudersi ciò che da sempre è avvolto nel mistero. Vedrà quel volto da tanto cercato e implorato.
Amerà senza alcun imbarazzo o inibizione e in totale libertà; amerà a tal punto che il suo amante potrà finalmente donarsi a lei con la totalità del suo essere; e amerà senza fine, perché è proprio dell’amore non essere mai sazio.
Canterà per la pienezza della gioia; canterà perché è proprio di chi ama oltrepassare la strettoia delle parole e lasciarsi andare alla melodia del cuore.
Sì, carissime sorelle, carissimi amici, vedremo, ameremo, canteremo. È il nostro destino. Dovremmo aiutarci di più a fissare lo sguardo verso la meta, a “cercare le cose di lassù” (cfr. Col 3,1).
Voi, care sorelle, ci aiutate, ci indicate – con la vostra vita – la consistenza del Regno di Dio. Con la scelta audace di una vita povera, casta, obbediente, ci dite che il Signore è il tesoro, la pienezza del cuore, la totale libertà. Danza!
Il giorno della vostra professione religiosa avete indossato il velo, segno di consacrazione e della vostra esclusiva appartenenza al Signore. “Posuisti Domine signum in faciem meam…”, perché il Signore non ammette altro sposo fuorché lui.
Qualche tempo fa sono stato accompagnato per una visita a suor Caterina. Si era aggravata. Distesa sul suo lettino non indossava il velo per ovvi motivi. Ma questa circostanza mi ha indotto a riflettere sul significato della “velatio virginis”. Lasciate che dedichi qualche parola a questo simbolo, il velo.
Il significato del velo è evidente. S. Gertrude si preparava a ricevere il velo con queste parole: “O mio diletto, fammi riposare all’ombra della tua carità… Lì riceverò dalle tue mani il velo della purezza che, grazie alla tua guida, porterò senza ombra di macchia davanti al tribunale della tua gloria…” (Esercizi spirituali, III). Sublime vocazione. La consacrata nella verginità, per essere esclusivamente sposa di Cristo, si sottrae allo sguardo di altri possibili pretendenti e amanti. Vive ritirata dal mondo, nel chiostro per essere sempre sotto lo sguardo di Dio e a lui solo piacere per l’intensità dell’amore. Il velo è, quindi, una specie di clausura nella clausura. Il velo non ha nulla di opprimente, anzi è molto amato dalla monaca e da lei devotamente portato; lo bacia ogni volta che lo mette e lo toglie. Il velo, distogliendola dal divagare con gli occhi, l’aiuta a tenere lo sguardo del cuore più direttamente rivolto a Dio, nella contemplazione del suo volto sempre desiderato e cercato.
Il velo è anche il segno del pudore che la nasconde, in un certo senso, al suo stesso sposo. In questa luce i Padri hanno letto il Cantico dei Cantici: «Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella! Gli occhi tuoi sono colombe, dietro il tuo velo… Giardino chiuso tu sei, sorella mia, mia sposa, sorgente chiusa, fontana sigillata» (Cant 4, 1.12). Versetti splendidi! Esprimono ammirazione e commosso stupore dello sposo divino davanti alla promessa sposa tutta raccolta e rivestita di un umile e delicato riserbo. Alla mentalità e alla sensibilità del nostro tempo riesce difficile comprendere questa consuetudine monastica. Appare subito come segno di sottomissione, troppo frainteso nel suo significato originario o troppo strumentalizzato. La monaca vive in modo sublime il mistero nuziale e materno sul piano soprannaturale. Il forte simbolismo del velo indica proprio la generosità e l’intensità con cui la claustrale fa dono di sé a Dio per tutti, rimanendo nascosta per essere di tutti. È come se il Cielo si curvasse su di lei per avvolgerla nell’intimità del cuore di Cristo, a somiglianza della Vergine Maria: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra» (Lc 1,35).
Nella Chiesa antica nel momento in cui il vescovo imponeva alla consacrata il velo sulla testa tutto il popolo che gremiva la chiesa gridava: Amen, amen! Vedeva la propria destinazione nella vocazione della vergine. Il velo può essere visto anche come segno di martirio, perché segno di una vita interamente donata ma, nel contempo, come segno regale perché la vergine è sposa del Re e da lui è coronata, avvolta nel suo manto. Nella tradizione la vergine madre, Maria, è sempre raffigurata col velo, spesso è un velo che scende lungo la sua persona e avvolge il Figlio Gesù e tutti noi suoi figli.
Cara suor Caterina, sei vissuta sulla terra nascosta al mondo ma per essere nel cuore del mondo e portare tutti gli uomini nel cuore di Cristo, unico sposo della Chiesa, dell’umanità redenta a prezzo del suo sangue. Entra nella gioia del tuo Signore. Sarai il motivo del suo incanto e del suo canto: «Ti lodo Padre, signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25).