Omelia III domenica di Quaresima

Pennabilli (monastero Agostiniane), 3 marzo 2018

S.Cresime a 5 giovani della parrocchia di Sant’Agata Feltria

Es 20,1-17
Sal 18
1Cor 1,22-25
Gv 2,13-25

Ecco un’adorabile “imboscata” che la Provvidenza del Signore ha preparato per voi: ricevete il sacramento della Cresima nel pieno della giovinezza e della maturità. Preciso: la Cresima non è una benedizione, è un sacramento, cioè azione che Cristo Signore compie su di voi, un’azione efficace, anche se va al di là del sentire, del vedere, del racchiudere.
Anche se sentirete un profumo, quello del crisma, è solo un’allusione al profumo di un bacio che il Signore stampa sulla vostra anima: tornerete diversi da come siete venuti. Anche se vedete davanti a voi un vescovo (ministro della Cresima), è proprio un successore degli apostoli a cui il Signore ha dato il compito di donare lo Spirito Santo mediante l’imposizione delle mani. Anche se siete racchiusi in questo luogo così suggestivo (il monastero delle Agostiniane), l’azione che il Signore compie su di voi ha il potere di mandarvi in mezzo al mondo per essere testimoni di lui e del suo Vangelo.

2.

Ecco davanti a voi infinite strade e possibilità. Nessuno vi obbliga a prendere questa o quella. C’è chi riesce a navigare su questa indeterminatezza, ma credo non sia felice e neppure veramente libero. Un’allusione a questa situazione è ben raffigurata da un film (fantascientifico) uscito nel 2012 in Italia, Mr. Nobody. Ricorre spesso nella sceneggiatura del film l’immagine di una selva di binari che si incrociano. Infinite strade, infinite soluzioni. Paradossalmente una libertà che non si esprime. È proprio della libertà scegliere, decidere, preferire. Voi avete scelto, avete deciso, avete preferito. Dal mare sconfinato dell’indeterminatezza vi dichiarate cristiani e volete esserlo ben sapendo che si tratta della scelta impegnativa che è l’adesione ad una persona. Forse qualcuno, o più di uno di voi, ha già scelto la persona con cui vivere e fare famiglia. Scegliere è anche scartare, ma soprattutto scegliere è amare. Voi ci state dicendo che amate Gesù Cristo, che in lui trovate il senso della vita. Ok: non conoscete molto di lui (chi può dire di conoscerlo pienamente?); forse non capite neppure il sacramento che state per ricevere. Non preoccupatevi. Ascoltate quello che il Signore disse a Pietro quando non voleva lasciarsi lavare i piedi: «Quello che io sto per fare tu non lo capisci, lo capirai un giorno» (cfr. Gv 13,6-7).
La liturgia ci ha messo davanti il dono delle “dieci parole”. Preferisco dire “le dieci parole”, anziché “i dieci comandamenti”. La prima formula è più vicina alla Bibbia. Di solito per legge intendiamo regole e obblighi, necessari per il buon funzionamento della società e sanzionati da pene per chi trasgredisce. Nella Bibbia la legge (Torah) ha un significato più ricco: è la sapienza che spiega il nostro essere. Non nasce da una convenzione, ma da una esperienza di reciproca appartenenza e, prima ancora, nel contesto di un atto di liberazione. Come una battuta: vuoi sapere come funzioni? Chiedilo a chi ti ha fatto. Il Decalogo così inteso è Vangelo, cioè buona notizia per noi. È la nostra piena realizzazione ed esperienza di libertà.
C’è una sorta di aritmetica delle “10 parole”: il numero di 10 è ottenuto legando la seconda parola alla prima e facendone una sola: «Non avrai altro Dio all’infuori di me» e «non ti farai alcuna immagine…» e sdoppiando l’ultima riguardante il desiderio cattivo in due “parole”: «Non desiderare la moglie del tuo prossimo» e, al decimo posto: «Non desiderare la roba d’altri». Ma tutto il Decalogo può essere riassunto in due parole: «amare Dio» e «amare il prossimo». In questo gioco aritmetico si può anche arrivare ad una sola “parola” dalla quale tutto discende: «Io sono il Signore Dio tuo». La nostra verità, l’antropologia di Gesù, non è che questa: «Io sono tuo». E questo è motivo di gioia.
Il Signore donandoci il suo Spirito ci rende capaci di crescere in questo rapporto con lui, di corrispondere al suo amore, di stare nella sua volontà.
Per concludere possiamo anche dire, rispetto ai contenuti del Decalogo, che un primo grappolo di parole (le prime tre) si riferisce direttamente alla nostra relazione con Dio; il secondo grappolo si riferisce al grande dono della vita (onorare la sua origine nel padre e nella madre, non spegnere il suo essere nel presente, non insidiare l’intimità che la fa sbocciare); il terzo grappolo riguarda le parole che riguardano le nostre relazioni con gli altri. Preghiamo con le parole del Salmo che abbiamo cantato poco fa: «Gli ordini del Signore sono giusti, fanno gioire il cuore; i comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi» (Sal 18,8).