Omelia nel Mercoledì delle Ceneri

Studi di San Marino RTV, 26 febbraio 2020

Gl 2,12-18
Sal 50
2Cor 5,20-6,2
Mt 6,1-6.16-18

C’è una parola che ritorna continuamente in questa liturgia ed è la parola “convertirsi”. Quello che è paradossale è che, ad un certo punto, questa parola viene attribuita anche al Signore. Preghiamo che lui si converta verso di noi, che ci usi misericordia. Per noi convertirci significa non tanto avere consapevolezza del nostro peccato – abbiamo già questa consapevolezza e ci fa soffrire –, ma soprattutto prendere consapevolezza della bontà del Signore. Come dice il Salmo: «Tenero e misericordioso è il Signore, lento all’ira e pieno di amore».
Nella Seconda Lettura si fa riferimento ad un tempo favorevole; l’espressione, nella lingua in cui è scritto il Nuovo Testamento, il greco, si traduce con kairós. In greco ci sono due parole per esprimere la parola “tempo”: krónos è lo scorrere delle lancette dell’orologio, l’allungarsi delle ombre verso sera e lo splendore in pieno giorno; per kairós si intende il tempo come grazia, come tempo fortunato.
Questa sera vogliamo vedere nella nostra preghiera quello che accade in questi giorni nel mondo e nel nostro Paese con occhi di speranza. Anzitutto prendiamo coscienza che siamo fratelli, che dobbiamo aiutarci, volerci bene. Penso che per molti di noi è stato uno dei primi sentimenti: condividere con gli altri, farsi carico dell’apprensione altrui. Ci siamo sentiti molto più uniti in questi giorni. Siamo grati per coloro che, per professione, si prendono cura di chi è malato o si adoperano per la prevenzione. Poco fa ho incontrato il responsabile della Protezione Civile della Repubblica di San Marino e ho potuto vedere tanto impegno e desiderio di fare del proprio meglio.
È un tempo favorevole, un tempo di grazia, anche il prendere coscienza della nostra fragilità, un grande aiuto a vivere bene sotto lo sguardo del Signore che ci è vicino e ci accompagna nella prova. Lui ha vissuto prove grandi.
Il mio pensiero va ai popoli che hanno vissuto tante volte queste situazioni di fragilità e di difficoltà. Penso anche ai cristiani che in questi giorni, per precauzione, non si incontrano in assemblea. Pregano ancora di più nelle loro case, ma questo “digiuno eucaristico” forzato aumenta certamente il desiderio e aiuta a sentire nostalgia della comunità. Molti dei miei sacerdoti stanno osservando questa disposizione, che ho dato in comunione con i vescovi delle diocesi vicine. È un dispiacere non celebrare in chiesa questo rito così suggestivo.
Infine, vorrei dire una parola sulle raccomandazioni di Gesù, molto chiare. Gesù nomina tre pratiche che si vivevano anche al suo tempo: il digiuno, l’elemosina e la preghiera. Domanda che siano gesti autentici, fatti non per “farsi vedere”, non per mettersi in mostra e neanche per vantarsi davanti a Dio, ma per recuperare l’atteggiamento filiale di fiducia in lui. Così sia.