Omelia nella festa di San Biagio

Piandimeleto (PU), 3 febbraio 2021

Eb 12,1-4
Sal
Mc 5,21-43

Se dovessi dare un titolo all’omelia metterei questo: l’incontro che salva. La situazione che stiamo vivendo da mesi ci porta ad implorare aiuto al Signore. L’epidemia ha segnato e segna tante famiglie. Pesano i distacchi, soprattutto quelli delle persone care; angoscia la prospettiva dei vuoti con i quali dobbiamo fare i conti. Si può dire, in ognuno che ci lascia, che è tutto un mondo che scivola via. Anche la partenza di una persona anziana, soprattutto se è cara, lascia rimpianti, nostalgie, ricordi. Si prega, si chiedono preghiere, e ci si accontenterebbe anche che il Signore rinviasse di una settimana, un mese, un anno, la partenza di uno dei nostri cari.
Poi vengono domande di altro genere: «Serve pregare?», e domande più radicali: «Che è questa vita a cui siamo irresistibilmente attaccati, se poi è destinata a finire, tante volte sul più bello?». Ci fosse anche una guarigione, non sarebbe per sempre. Ci saranno altri distacchi, altre partenze.

Nella pagina di Vangelo appena proclamata incontriamo Giairo che sa del potere taumaturgico di Gesù: in Galilea si è sparsa la voce che fa miracoli. Allora Giairo prega il Maestro di mettere il suo potere a beneficio della sua figliola, che è in fin di vita (non ne sappiamo il motivo). Giairo non ha ancora la fede in Gesù, ma ha fiducia nel potere di guarigione del Maestro. Quello che conta è aver incontrato Gesù, poter riporre in lui la più assoluta fiducia. Gesù non gli chiede nient’altro, gli dice: «Non temere, continua soltanto a fidarti». Lo invita a non lasciarsi accasciare dalla realtà della morte di sua figlia, così come gli è stata crudelmente comunicata attraverso una staffetta di persone che gli vanno incontro mentre rientra a casa. Gesù gli dice anche di non aver paura di apparire sciocco continuando ad aver fiducia in lui, di non far caso neppure a quello che dicono i suoi discepoli che lo allontanano per non fargli perdere tempo e nemmeno all’ironia dei presenti nel cortile. La fede non si esaurisce nella fiducia in una grazia materiale, ma può partire da questa per arrivare a capire in profondità che la vera fede è credere a Gesù come salvatore. La fede si innesta sul vivo delle speranze umane e la grazia divina erompe sull’umano.

Il seguito del racconto è permeato da tanti motivi pasquali, che sono qui anticipati. Per esempio, il pianto e la tristezza di fronte alla tragedia della morte, la parola di Gesù che interpreta quella morte come un dormire. I primi cristiani, mossi dalla fede pasquale nella risurrezione, hanno cambiato il nome della necropoli (etimologicamente “necropoli” significa “città dei morti”) in “cimitero” (che vuol dire “dormitorio”). Poi c’è il comando di Gesù: «Ragazza, in piedi (Talità kum in aramaico)!»; kum è l’equivalente dei verbi tipici della risurrezione: alzarsi e risvegliarsi. Qui il miracolo è la rianimazione di un cadavere, ma è da intendersi come un’anticipazione della risurrezione pasquale; infatti, la ragazza, restituita alla vita terrena, di nuovo è votata alla morte. Il miracolo è segno del potere che Gesù ha sulla morte. In questo racconto la parola di Gesù ha la stessa forza, lo stesso potere, della Parola di Dio, come nella creazione. «Dio disse e tutto fu fatto» (cfr. Sal 148,5): quindi la parola di Gesù è una parola efficace, che trasforma le realtà a cui è indirizzata. La parola di Gesù fa dello sconsolato Giairo un credente e della ragazza morta una vivente. Ahimè, si può anche resistere, non avere fiducia in quella parola di Gesù. Succede. Vedi l’ottusità dei discepoli, l’ironia della gente attorno a casa, il terrore degli astanti. La parola di Gesù non toglie il dolore, non è un anestetico. Però le parole di Gesù infondono speranza. Voglio fidarmi. Spero sia così anche per voi.

Faccio un breve accenno al “miracolo dentro al miracolo”: mentre Gesù va con Giairo a casa sua incontra una donna che soffre di perdite di sangue. Aveva speso tutti i suoi averi per trovare un rimedio. Anche lei ha avuto la fortuna di incontrare Gesù e di passare dalla stima di Lui alla fede in Lui. L’evangelista Marco indugia nel racconto di alcuni particolari: il caos della folla che stringe Gesù da tutte le parti, la donna che si allunga quasi strisciando per terra per toccare un lembo della sua veste… La donna viveva in situazione di morte, è una morta vivente (per gli antichi il sangue “dentro” è vita, il sangue che scorre “fuori” è morte) e si vorrebbe quasi lasciar morire dato che tutte le cure non sono efficaci. Ormai è buio nel suo cuore, ma in un impeto di stima per Gesù tocca la frangia del suo mantello e guarisce immediatamente. Gesù, nella sua misteriosa sensibilità spirituale, avverte che il suo potere salvifico è entrato in opera, ma non ne è irritato, anche se alza lo sguardo dicendo: «Chi mi ha toccato?». I discepoli, però, sorridono perché non capiscono come possa fare quella domanda visto che è pigiato da tutte le parti. Gesù vuole insegnare – e questo vale per me e per voi – che il semplice contatto fisico non basta, per questo volge lo sguardo tutt’attorno e cerca chi lo ha toccato. Cerca un incontro personale che superi la superstizione, il gesto magico, e consenta l’irruzione della grazia e della fede. È quello che accade. La donna non può resistere allo sguardo di Gesù, perché Gesù sa cavar fuori le fibre più nascoste dell’anima e proprio dalla stima per Gesù, dal gesto un po’ superstizioso, dalle sue paure, dalla sua nudità davanti a lui e alla gente irrompe la fede, la grazia. Gesù le dice: «La tua fede ti ha salvato. Va’ in pace e sii guarita». Da notare i due verbi: il verbo “salvare” e il verbo “guarire”. Sono due cose diverse: uno può guarire, temporaneamente, per cent’anni, ma la salvezza è una cosa più grande, più profonda. La salvezza è essere in comunione sempre con il Signore Gesù.
Dico a noi cristiani: dobbiamo guardare il paradiso! Non valgono tanto le prove scientifiche, ma la fede: «Gesù credo sulla tua Parola».
Una volta alla Certosa della mia città ebbi un’esperienza di grande buio spirituale. Era il mese di luglio e il sole picchiava forte; ero stato chiamato per un rito funebre. C’era un necroforo che stava riesumando i resti di una persona e con una cazzuola da muratore tirava via la terra dal teschio. Mi fermai un attimo a guardare. Dissi a Gesù: «Credo sulla tua Parola, perché tante volte ho fatto esperienza che la tua Parola è vera». Se Gesù dice che dobbiamo guardare il paradiso, che saremo con Lui, possiamo fidarci. Chiediamo di essere guariti, ma chiediamo soprattutto la salvezza eterna. Abbiamo una eternità smisurata di gioia e di vita davanti a noi. Così sia.