Omelia nella II domenica di Quaresima

Uffogliano (RN), 12 marzo 2022

10° Anniversario della morte di don Agostino Gasperoni

Gen 15,5-12.17-18
Sal 26
Fil 3,17- 4,1
Lc 9,28-36

Questa sera ricordiamo con affetto e gratitudine il caro don Agostino nel decimo anniversario della sua morte. Portiamo nel cuore, come un testamento, il suo grande desiderio di farci amare le Sacre Scritture. Ci ha insegnato a pensare alla Parola di Dio come qualcosa con cui familiarizzare, perché non è riservata a specialisti, ma è per tutti.
Con questo spirito meditiamo la pagina evangelica di questa seconda domenica di Quaresima.
Il Vangelo della Trasfigurazione – lo dico quasi con uno slogan, ma contiene una verità profonda – è una parola che viene dal futuro, nel senso che ciò che accade sul monte Tabor è un’anticipazione di quella che sarà la “gloria” di Gesù. Gesù ne aveva bisogno, perché siamo nel punto centrale del Vangelo ed è un momento di svolta, di crisi. Le città del lago, la Galilea, non accolgono il suo messaggio e c’è ostilità nei suoi confronti. Gesù prova un momento di perplessità: proseguire il cammino o dire «cari amici, mi sono sbagliato»? Per questo Gesù sente il bisogno della preghiera, di mettersi in ascolto delle Scritture (stare con Mosè ed Elia) e fare discernimento.
Il racconto della Trasfigurazione si trova tra due preannunci della Passione. Gesù aveva ben chiaro qual era il suo cammino. Ed ecco che Gesù viene confortato, sente il Padre vicino a lui, con la conferma di essere nella volontà salvifica del Padre.
La Trasfigurazione è anche un avvenimento necessario ai discepoli, perché devono prepararsi a quello che vivranno a Gerusalemme: la cattura, il processo, la condanna e poi la crocifissione di Gesù. Questa è l’interpretazione che si dà solitamente dell’evento della Trasfigurazione.
Mi soffermo sul fatto che è proprio mentre Gesù è in questa crisi, in questa svolta problematica della sua vita, che accade la Trasfigurazione. È anticipazione e conforto per quello che accadrà: dopo la Passione ci sarà la Risurrezione, ma la gloria del Signore si manifesta già in questo frangente; ciò vale anche per noi, nei passaggi faticosi della nostra esistenza, della nostra vita interiore. Come a dire: non aspettare, non è dopo che, in modo consolatorio, vedrai la luce. Prova a vedere adesso in te la luce che il Signore ti dà e che dà senso anche al tuo quotidiano spenderti, donarti per la missione che il Signore ti ha affidato. Mi piace questa seconda interpretazione; sento che nella mia vita, nel mio cammino, ho bisogno di questa certezza: è la luce che mi guida e mi tiene desto; Dio è all’opera nella mia vita. Sono contento di vedere, negli incontri sinodali a cui partecipo, come le persone raccontano quello che Dio fa nella loro esistenza: la Trasfigurazione è adesso.
Nel mezzo di questo viaggio che stiamo percorrendo – non possiamo non fare un’allusione a quello che vive l’umanità, in particolare l’Europa, in questi giorni – c’è bisogno della manifestazione dell’amore del Signore, che renda bella la vita, anche quando si sente il costo della fedeltà. Nel donarsi c’è già la luce! Accade come nella noce: si vede una corteccia ruvida e dura da schiacciare, ma dentro c’è un frutto buono e salutare.
Andiamo anche noi con Pietro, Giovanni, Giacomo sul monte della preghiera. Che cosa accade? Mentre per l’evangelista Matteo il monte è un’allusione a Gesù nuovo Mosè, nel Vangelo di Luca il monte è il luogo della preghiera.
Innanzitutto, sul monte della preghiera c’è un incontro con Dio Padre. Si avverte la sua presenza per quella “voce”, che è il vertice del racconto. Luca non si dilunga sul fenomeno eclatante della Trasfigurazione, invece cede la parola alla voce del Padre: «Questi è il Figlio mio, l’amato; ascoltatelo!». Mi soffermo sulla raccomandazione: «Ascoltate lui; anche se lo vedrete tra poco crocifisso, è il Messia, colui che rivela il disegno straordinario di Dio, che non solo ha pensato gli uomini creandoli per la sua gloria, ma li salva, li vuole con sé».
La nube luminosa avvolge le persone che assistono alla scena. Tu, Pietro, con Giovanni e Giacomo, vuoi costruire una tenda per il Signore, ma è lui che ti copre con la sua nube: una tessitura tenue, che ti avvolge. Da una parte la nube copre, vela, ma dall’altra svela, fa capire la presenza di Dio. Penso alla nostra preghiera, a volte piena di consolazione, a volte nella prova: «Sto veramente parlando con te, Signore?».

Sul monte si vive l’incontro con se stessi. La preghiera rivela quello che sei, perché non hai bisogno di fingere, di mascherarti: Dio ti vede e tu devi arrenderti e saperti amato. Vi invito, in questa Quaresima, a coltivare la preghiera, a proteggere gli spazi per l’incontro con il Signore.

Nella preghiera c’è l’incontro con gli altri. Gesù ha detto: «Quando entri in preghiera, chiudi la porta della tua stanza e prega il Padre nel segreto» (cfr. Mt 6,6); è una raccomandazione a non pregare per farsi vedere, per esibizionismo. Ma la preghiera vera, autentica, è sempre uno spazio colmo di presenze, di volti, di amicizie. Spalanchiamo le porte e le finestre spirituali, perché, quando si è davanti a Dio, è inevitabile portare tanti fratelli. Chi prega non è solo. Permettiamo l’invadenza dei ricordi e delle persone: renderanno la preghiera più fervorosa; assomiglierà alla preghiera di Gesù, una triangolazione tra lui, il Padre e quelli che il Padre gli ha dato: «Erano tuoi, li hai dati a me e io Padre, prego per loro, anzi per loro io sacrifico me stesso, santifico me stesso» (cfr. Gv 17,6.9.19).
Questa settimana facciamo tornare nella nostra mente le immagini della Trasfigurazione del Signore, pensando che il Signore ci fa dono della sua presenza adesso, lungo il nostro cammino.