Omelia nella III domenica di Avvento

Pennabilli (Cappella del Vescovado), 17 dicembre 2018

Sof 3,14-18
Is 12
Fil 4,4-7
Lc 3,10-18

Mettiamoci anche noi in coda. Siamo sulle rive del fiume Giordano che, dai tempi di Giovanni ad oggi, non ha finito di lambire la nostra indifferenza. Giovanni grida: «Il Messia è alle porte». È alle porte della nostra vita indaffarata, tiranneggiata da false esigenze e da egoismi più o meno velati. Come ci troverà il Messia? Siamo pronti ad accoglierlo? Un giorno Gesù rimprovererà gli indifferenti, imperturbabili sia all’annuncio del giudizio, sia di fronte all’offerta di salvezza. Eppure, l’appello è esplicito ed urgente: «A chi paragonerò questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto”». Se restiamo insensibili alla voce di Giovanni, come potremo accogliere il Verbo che viene?
Il Vangelo ci racconta di gente che si è lasciata sorprendere dalla testimonianza del Battista e che scende al fiume per chiedere suggerimenti pratici al fine di rendere operativa, nel tessuto concreto dell’esistenza quotidiana, la conversione: «Che cosa dobbiamo fare?». La domanda è posta dalle folle, da alcuni doganieri, da alcuni soldati mercenari. Luca, che ovunque presenta Gesù come redentore dei peccatori, ha in particolare simpatia queste categorie di persone, perché erano le più disprezzate. Le folle, considerate ignoranti e fluttuanti; i doganieri, considerati i peccatori per eccellenza, perché il loro mestiere li portava a collaborare con le forze romane di occupazione; i mercenari, perché al soldo del tiranno di turno. Ma davanti a Dio nessuna situazione umana è pregiudizialmente esclusa. Anzi, proprio costoro, a differenza dei “puri”, sono disponibili ad un’attesa operosa del Messia. E il Battista indica loro alcune piste: generosità fraterna, specie verso i poveri; rettitudine nel proprio ruolo professionale, mitezza, sincerità, moderazione. Non invita alla fuga nel deserto, né ad un’osservanza bigotta dei precetti: la conversione è qualcosa che si attua all’interno delle proprie situazioni umane e sociali. Dunque, non chiede di salvarsi dalla storia, ma nella storia. Siamo nella logica del lievito, non in quella della massa alternativa.