Omelia nella IV domenica del Tempo Ordinario

San Marino Città (RSM), 31 gennaio 2021

Festa di San Giovanni Bosco

Ez 34, 11-12.15-16.23-24.30-31
Ger 31, 7b. 9b. 10. 20
Fil 4,4-9
Mt 18,1-6.10

1.

Se si dovesse leggere tutto intero il capitolo 34 del libro di Ezechiele – nella liturgia ne è stato proclamato solo un tratto – se ne ricaverebbe un grande senso di delusione: chi doveva vegliare sulla comunità e mettersi a servizio, finiva per pensare solo a se stesso, mentre la comunità era allo sbando. Su questo sfondo, però, c’è una bella notizia: Dio stesso si prenderà cura e si interesserà della sua gente. La comunità non è abbandonata, alla deriva. Nel brano si incontra una lunga sequenza di verbi (dieci verbi più uno alla fine), a cascata: sono i verbi della pedagogia di Dio e racchiudono tenerezza, attenzione e amore. Vanno capiti nello sfondo dell’allegoria del Pastore e delle pecore, un’allegoria un po’ desueta per molti di noi. Ecco i verbi del Dio Pastore usati dal profeta: cerca (da notare: un conto è il cercare e un conto è il ricercare), ha cura, passa in rassegna (uno per uno, quasi a tu per tu), raduna, conduce, fa riposare, va in cerca, guarisce, pasce, tiene conto della situazione (c’è la pecora stanca e c’è la pecora in gran forma). Dieci verbi. Su ognuno si potrebbe riflettere e pregare. Ma ce n’è uno ancora più forte. Dopo averci detto cosa fa Dio per noi direttamente, c’è la promessa (che è il motivo della nostra festa oggi): «Susciterò per loro un pastore che le pascerà…» (Ez 34,23). Ecco perché oggi, pensando a don Bosco, abbiamo riletto questa pagina antica. Don Bosco è stato una presenza del Signore in mezzo ai giovani.
Ogni volta che vengo tra voi per la festa di Don Bosco mi vien sempre da ricordare, guardando la sua immagine in fondo alla chiesa, che ci fu un periodo della mia vita in cui avrei voluto essere don Bosco. Non sono diventato don Bosco, però ho avuto una missione simile alla sua. I giovani hanno bisogno di amicizia e di persone che si dedicano e si spendono per loro.

2.

Nella Seconda Lettura c’è un invito alla gioia. Non è soltanto un invito, sembra piuttosto un’ingiunzione. Ma si può comandare la gioia? Si può essere felici “a comando”? «Siate nella gioia, ve lo ripeto, rallegratevi» (Fil 4,4). Quando san Paolo ha scritto queste parole era in prigione (le ha dettate ad un altro). Questa circostanza dà alle sue parole un tono particolare. La gioia di cui parla san Paolo è la gioia che dà il Signore, ma è anche la gioia che viene dal sapere che Lui c’è. Paolo, incatenato, non può fare un granché per i suoi amici, ma può svelare il segreto della sua serenità, della sua pace. In questa lettera, come nelle altre dette “della cattività” (scritte nel tempo della prigionia), Paolo confida: «Tracimo di gioia». Com’è possibile essere traboccanti di gioia in carcere, portando le catene ingiustamente? San Paolo dice: «Ho il Signore con me». Il Signore veglia su di me, veglia su di voi, veglia su coloro che sono i suoi amici. Noi lo preghiamo per chiedere ciò di cui abbiamo bisogno, ma non saremo mai inquieti, disperati. Anzi, come don Bosco dovremmo diffondere gioia, dare questa testimonianza che viene da dentro. Il Signore è qui.

Accenno ad una vicenda personale. Ho un fratello missionario che ultimamente ha avuto problemi di salute. Si è preso il Covid. Dopo circa un mese e mezzo sono riuscito, attraverso una mediazione ad incontrarlo.  Gli ho portato Gesù Eucaristia. Lui era contentissimo. Poi, chiedendo al Signore di prendersi cura di lui, gli ho dato il sacramento che si dà agli ammalati: la Santa Unzione. Ad un certo punto, quando l’infermiere è uscito, ho guardato negli occhi mio fratello, oltre la mascherina, e gli ho chiesto: «Silvio, hai paura?». Sottinteso, paura della morte. Mi ha risposto: «No! Perché paura?». E ha fatto un grande sorriso. Se una persona ha Gesù, è felice.

Abbiamo letto una stupenda pagina di Vangelo. Gesù dice che per essere “grandi” bisogna essere “piccoli” (cfr. Mt 18,3): ha scelto questa simbologia, non tanto perché i bambini sono innocenti (non sempre è vero!), ma perché hanno la caratteristica naturale dell’abbandono fiducioso, che noi adulti invece dobbiamo riconquistare. È l’abbandono fiducioso che Gesù viveva con Dio Padre, persino sulla croce. Gesù insegna anche a noi a fare come lui. Bisogna fare un bel cammino per diventare “grandi” tornando “piccoli”. Gesù l’ha detto una volta ad un sapiente, Nicodemo: «Vuoi vedere il regno di Dio? Devi tornare bambino» (cfr. Gv 3,4). Ma è impossibile tornare nel grembo della mamma – replica Nicodemo – quando si è adulti». Nicodemo non aveva capito cosa intendesse Gesù.
Chi è il più grande? Domanda ingenua che rivela come si pensi ancora il Regno di Dio come grandezza mondana, dove contano le gerarchie, le carriere, il potere, l’arrivismo. Nella risposta di Gesù c’è un grande acume didattico: chiama a sé un bambino e lo pone in mezzo ai discepoli. Nella futura comunità di Gesù, come nella nostra, ci vuole chi guida, chi prende decisioni, ma questi responsabili devono farsi piccoli e semplici come bambini, come faceva don Bosco, che stava in mezzo ai ragazzi in modo semplice, discreto, accogliente, senza vergognarsi di accogliere anche uno solo di questi piccoli, che fanno tante domande, che vogliono sempre giocare. Dice Gesù: «Guai disprezzarli! Guai allontanarli!». E poi ha una conclusione sorprendente: «State attenti, i loro angeli (gli angeli dei bambini) sono nel Consiglio ristretto di Dio, sono quelli che li difendono» (cfr. Mt 18,10). Buona festa a tutti voi e alla vostra comunità!