Omelia nella IV domenica di Avvento

Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 20 dicembre 2020

2Sam 7,1-5.8-12.14.16
Sal 88
Rm 16,25-27
Lc 1,26-38

Entriamo in punta di piedi nella casetta di Nazaret, luogo semplice, umile e povero. Alla vigilia ci sentiamo ancora impreparati al Natale. Impariamo alla scuola di Maria il raccoglimento, l’ascolto e la custodia della Parola.

1.

Un messaggero entra in quella casetta; è inviato da Dio per portare un annuncio, un Vangelo: Gabriele è il suo nome. Nell’Antico Testamento Gabriele è “l’uomo di Dio” (così la traduzione del nome Gabriele), colui che spiega le apparizioni riguardanti «il tempo della fine» (Dn 8,16; 9,21). Maria è, quindi, collocata subito nella storia della salvezza, al suo compimento «nella pienezza del tempo», come scriverà san Paolo ai Galati (cfr. Gal 4,4).
Maria è di Nazaret, in Galilea. La gente del tempo non aveva molta considerazione né della Galilea, né di Nazaret: «Che cosa di buono può mai venire da Nazaret?», dirà uno dei primi discepoli chiamati da Gesù (cfr. Gv 1,46). Ma Dio non ha bisogno di mezzi potenti, né degli “illustrissimi di Gerusalemme” per compiere la sua opera, anche la più straordinaria (cfr. 1Cor 1-2). Nazaret è un piccolo villaggio, annidato tra i monti, un luogo qualunque. Eppure, diventa lo spazio dell’incarnazione. Confrontando l’Annunciazione a Maria con quella a Zaccaria si coglie un’importante differenza. L’Annunciazione a Zaccaria avviene nel tempio, durante un rito solenne, con ricchezza di particolari (cfr. Lc 1,5-25). A Nazaret nulla di tutto questo, ma semplicità ed essenzialità su uno sfondo domestico.

2.

Maria e Giuseppe vengono presentati con poche parole. Nella procedura matrimoniale ebraica esistono due fasi. La prima consiste nell’accordo legale matrimoniale: la ragazza diventa già moglie legittima, ma rimane ancora a casa dai genitori per circa un anno e non ha ancora relazioni sessuali col marito; la seconda fase consiste nella conduzione della sposa nella casa dello sposo, ove il matrimonio viene consumato. Maria, dunque, è vergine e sposa. Così, tramite Giuseppe, viene ad essere della discendenza di Davide e il figlio che nascerà potrà, a pieno titolo, considerare Davide «suo padre». Se, dunque, la verginità la ricollega all’oracolo dell’Emmanuele (cfr. Mt 1,23), la discendenza davidica la ricollega agli oracoli del re Messia (cfr. 2Sam 7,1-16). Notare come in queste prime righe del racconto l’evangelista si premuri di elencare tanti nomi propri di luoghi e di persone: ben sette. C’è precisione quasi meticolosa e concretezza per far capire al lettore come il “venire di Dio” prenda la totalità della vita.

3.

«Kaire». L’angelo non comincia con una esortazione: «Su, prega, sforzati…», ma con un invito alla gioia: «Rallegrati». C’è chi ha tradotto questo imperativo con «Ave» (effettivamente può anche essere considerato un saluto), ma qui è molto più che un saluto: è l’equivalente della parola “Vangelo”. È un richiamo esplicito a celebri oracoli profetici: Sofonia 3,14; Gioele 2,23; Zaccaria 9,9. In questi oracoli il popolo d’Israele è invitato a traboccare di gioia, perchè è vicino il Messia: «Ecco il tuo re che ti salva»! È la chiamata ad Israele a fare festa. L’evento gioioso mobilita i credenti, da Abramo – che esultò nella speranza di vedere quel giorno (cfr. Gv 8,56) – fino a Giovanni Battista – che danza di gioia nel grembo (cfr. Lc 1,44) –, il tempo della salvezza è venuto. E Maria è il termine dell’attesa. Come si vede, questo racconto dell’Annunciazione è un trapunto di citazioni bibliche.
«La-piena-di-grazia». A volte queste parole vengono scritte come una sola parola per rendere in modo più efficace il testo greco. «La-piena-di-grazia» è il secondo nome proprio di Maria, quello dato dal Cielo. Il primo è quello dato dai genitori: Miriam. Il terzo è quello che Maria darà a se stessa: l’ancella. Il nome «La-piena-di-grazia» può essere spiegato così: «Sei stata fatta oggetto dell’amore straripante di Dio», «amata per sempre». Maria riceve la stessa dichiarazione d’amore che Dio nelle Sacre Scritture rivolge al suo popolo, «l’amato più di ogni altro popolo» (cfr. Dt 4,7; 7,7). E – come scrive Ezechiele in 16,8 – «sono entrato in un patto d’amore con te». Maria è figura dell’Israele amato da Dio, giunto al punto cruciale della sua storia: Dio scende definitivamente tra i suoi, è l’Emmanuele, «il Dio con noi». L’angelo, infatti, dice a Maria: «Il Signore è con te».

4.

«Non temere». È un invito tipico e ricorrente nei racconti di vocazione, una rassicurazione. Maria non deve temere, colui che nascerà da lei non è solo un uomo grande, ma molto di più. Qui Maria viene vista come la «tenda» nel deserto su cui aleggia lo Spirito; oppure come il tempio di Sion in cui abita il Signore (cfr. Es 33,9; 1Re 8,10; 2Mac 2,8). In questo Maria è prefigurazione della Chiesa, tempio dello Spirito Santo (cfr. 2Cor 6,1-16; 1Cor 3,15; 6,19). C’è, infine, chi vede in questo adombrare dello Spirito sulla fanciulla di Nazaret un richiamo alla prima pagina della Genesi, dove lo Spirito di Dio, aleggiando sulle acque, introduce la creazione (cfr. Gn 1,2).
La risposta di Maria. Faccio notare un particolare che spesso sfugge. Il messaggero celeste parla direttamente alla donna, cosa del tutto insolita per la cultura dell’epoca. Ma ancor più interessante è sottolineare come l’ultima parola sia lasciata all’ancella! Ed è un “sì”. Da quel momento risuona in Maria la parola: «Il Verbo si fa carne e “viene ad abitare in mezzo a noi” (cfr. Gv 1,14)». Anche la Chiesa ha questa vocazione: «Accogliere la Parola e generare come Maria figli di Dio, un popolo santo e regale». Ma è vero anche per ciascuno di noi: «Accogliere e vivere la Parola che trasforma in Gesù».
C’è una preghiera che dobbiamo rilanciare: l’Angelus. È la preghiera che il Papa guida ogni domenica a mezzogiorno. Diventi la traccia per la nostra meditazione in questi giorni di vigilia. Buon Natale!