Omelia nella liturgia eucaristica per l’investitura dei Capitani Reggenti

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Basilica di San Marino (RSM), 1 ottobre 2015
 
Ne 8,1-4.5-6.7-12
Sal 18
Lc 10,1-12

Fratelli e sorelle,
un ringraziamento ed un augurio: buon lavoro ai Reggenti eletti; grazie ai Reggenti che passano il testimone. Nei sei mesi nei quali sono stati in carica hanno vissuto, con tutti noi, momenti particolarmente significativi come l’intervento all’ONU del 26 settembre scorso, la visita alla città di Arbe in Croazia a cui ci lega l’origine del nostro santo patrono e tanti altri incontri istituzionali (al principato di Monaco, all’Expo di Milano, ecc.). Ma non meno importanti gli incontri con la gente, con i ragazzi, con i giovani, con le persone ammalate e disabili, come nello scorso luglio a Loreto.
La prima Lettura ci riferisce di una solenne liturgia di popolo. Si rinnova l’alleanza Dio-Israele. Neemia, il brillante governatore, convoca in assemblea tutto il popolo e, insieme al sacerdote Esdra e ai leviti, dà lettura del Libro della Legge o del patto. E il popolo ascolta, partecipa e si commuove. Rinnova il suo “sì”. Le mura, ricostruite dopo l’esilio, non solo difendono la città, ma fondono insieme gli abitanti di Gerusalemme e ne fanno una cosa sola: «La nostra carne è come la carne dei nostri fratelli, i nostri figli sono come i loro figli» (Ne 5,5). Non è questa nostra assemblea simile a quella convocata da Neemia? Non siamo anche noi riuniti per una rinnovazione?
Mi prende questa mattina il desiderio di accompagnarvi, virtualmente, per le pendici del Titano. Poi vorrei sostassimo un attimo sui sagrati e nelle chiese sammarinesi che, come altrettante stelle di una costellazione, trapuntano il nostro territorio. Balza con evidenza quanto la fede cristiana abbia segnato la nostra storia, il nostro popolo, le nostre istituzioni. Sullo sfondo del tempo che corre inesorabile, le chiese rimangono come secolari sorgenti ancora fresche e zampillanti a cui tanti (adulti e giovani) attingono. Alcune chiese sono particolarmente vistose, altre umili e quasi nascoste nel groviglio urbanistico dell’antica Repubblica. In ognuna palpita il mistero che ci avvolge. Il cristiano vi ritrova i segni eloquenti della sua fede. Chi è di altra convinzione o cultura può godervi il silenzio e la pace necessari come il pane. La fede cristiana, con le sue radici e la sua chioma ancor verde e carica di frutti, si propone a tutti come un dono di amicizia. Dispiace quando una malintesa laicità non apprezza, o addirittura contrasta. In ogni chiesa ci si sente avvolti da pareti che abbracciano come pareti domestiche. E, in questi giorni difficili, qui ci si ritrova nei sentieri della preghiera, alla ricerca d’essere amati. Ci sarà qualcuno che ci vuole bene? Con le braccia spalancate esprimiamo il desiderio di non restare soli e nel contempo rivolgiamo l’invito ad ogni prossimo di sentirsi a casa sua in casa nostra. Perché figli dell’unico Padre. Si apre qui il grande tema dell’accoglienza che interpella coscienze e scuote la politica.
E c’è una casa più grande della quale siamo tutti inquilini, o meglio, nella quale siamo tutti fratelli, la creazione. Papa Francesco ha indirizzato la sua ultima lettera “Laudato si’” per rilanciare un appello: «Cosa sta succedendo nella nostra casa comune?». «In quali condizioni la vogliamo lasciare ai nostri figli?». Il Papa ci ricorda la centralità dell’uomo, la sua responsabilità e la sua dignità e, con molta schiettezza, ci segnala come spesso tocchi ai poveri pagare il conto – e un conto salato – di un dissennato uso della natura.
Per chiudere condivido con voi due affermazioni dell’Enciclica che mi hanno colpito: «trasformare in sofferenza personale quello che sta accadendo al mondo» (LS 19) e che «la sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare» (LS 13).
Possono cambiare a partire dalla forza della preghiera. Preghiamo.