Omelia nella Messa esequiale per don Armando Evangelisti

Talamello, 8 gennaio 2019

1Gv 4,7-10
Sal 71
Mc 6,34-44

Il Natale con le sue luci e le sue tradizioni è ormai passato, ma lo splendore del Signore Gesù, risorto e vivo in mezzo a noi, continua a brillare. Questa, cari fratelli e sorelle, è la sostanza della nostra fede; questo il programma della nostra azione pastorale e il fondamento della nostra speranza.
Che cosa si è manifestato nel Natale? Ce l’ha ricordato Giovanni nella sua Prima Lettera: «Si è manifestato l’amore di Dio in noi: … non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati». (1Gv 4,10). È con questa fede pasquale che siamo accorsi in tanti, e con profonda commozione, a portare il nostro saluto a don Armando, una delle figure più espressive della nostra Chiesa diocesana.
È conosciuto il suo cammino in mezzo a noi: parroco a Maiolo, poi a Borgo Maggiore; vicerettore e rettore del Seminario; parroco a Novafeltria e poi a Talamello; incaricato della pastorale famigliare. Molti lo ricordano come insegnante.
In circostanze come questa si è soliti sentire frasi di questo tipo, amplificate sui media: «Vivrai nel nostro cuore…», «Sarai sempre con noi… », «Sei vivo nell’insegnamento che ci hai lasciato… »: troppo poco! Queste frasi sono troppo povere rispetto a quello che noi crediamo. Memori di quanto dice Gesù a Marta e a Maria: «Tuo fratello risorgerà» (Gv 11,23), noi diciamo: «Don Armando, tu vivi in Gesù Risorto».
La morte non consente quell’ultimo chiarimento, né quell’ultima parola, né quell’ultima stretta di mano. Non si torna indietro. Ma la fede apre infinite altre possibilità e totalità di desideri.
Don Armando è stato molto amato dal Signore. Il Signore gli ha fatto dono di una intelligenza lucida e brillante, di una fede robusta e sicura. L’ha dotato di un temperamento forte e creativo, capace fino alla fine di vampate di entusiasmo. Il Signore l’ha chiamato al sacerdozio e, in questo stato di vita, non ha cercato carriera, né riconoscimenti, né titoli. Schietto fino all’impertinenza, ma in coscienza di verità. Il cristiano, il sacerdote, ciascuno di noi è grande perché «generato da Dio», non per opere compiute o per vanto di meriti. «Noi siamo opera sua» (Ef 2,10): questo il nostro vanto. Nel contempo sappiamo di essere circondati di infermità, segnati dai nostri limiti, condizionati dal nostro carattere. Voi avete conosciuto don Armando, la sua umanità, il suo zelo, la sua intraprendenza e la sua cultura. Chi non si è fermato alla scorza, è rimasto sorpreso dalla sua tenerezza: questa è stata la mia esperienza con don Armando. Mi viene in mente quello che diceva santa Teresa d’Avila di san Pietro d’Alcantara: «Quando io lo conobbi, era molto vecchio e così estenuato che sembrava fatto di radiconi d’albero» (S. Teresa d’Avila, Vida 27,17). E poi, se avevi la fortuna di stabilire un rapporto, di guardarlo negli occhi, scoprivi la tenerezza. Era una sorpresa! Chi gli è stato vicino, familiari, parrocchiani, sacerdoti, colleghi di scuola, amici, gli ha voluto bene. Don Armando è stato molto amato dal Signore.
E quali sono stati gli amori di don Armando? Chi è amato, ama a sua volta. Non so dare una precedenza: un amore non esclude l’altro. Comincio con l’amore alla sua chiesa, il santuario del Crocifisso (aveva legato il suo nome anche alla chiesa di Michelucci a Borgo Maggiore RSM, essendo parroco quando venne completata, ma io l’ho conosciuto recentemente). Me ne parlava spesso e sempre come la prima volta, della chiesa e, nella sua chiesa, del confessionale. Fu lì, in un colloquio intimo, che accolsi definitivamente le sue dimissioni e gli proposi di lasciare la parrocchia, colloquio che si chiuse con un abbraccio.
Un altro grande amore di don Armando: la gioventù. Quanta immaginazione, quanto entusiasmo, quante iniziative. Così dagli anni dell’insegnamento scolastico agli ultimi giorni col catechismo organizzato insieme ai genitori (ottima intuizione pastorale). E poi il coro… Sarebbe stato disposto a salire da Rimini per continuare a coltivarlo e garantire un servizio liturgico nel quale non mancasse il canto.
Non posso tacere, con un pizzico di ironia, i suoi assalti al Vescovo per destinare Casa Tomasetti alle iniziative giovanili. Non per sé, ma per i ragazzi. La realistica situazione (la sua età, il numero ridimensionato degli animatori e anche della popolazione giovanile) non l’ha dissuaso dall’insistere. Tuttavia, la Casa era ed è abitata dalle suore di cui ugualmente vedeva la provvidenziale presenza per la cura del Santuario e l’adorazione eucaristica, suore che fu proprio lui ad invitare.

La lettura evangelica ci ha parlato di una manifestazione (epifania) di Gesù come Messia, epifania della sua grandezza, della sua potenza, ma anche della sua misericordia: moltiplica pani e pesci. Il Messia ha compassione. Vede la gente come pecore senza pastore (cfr. Mc 6,34). Che cosa fa? Si mette ad insegnare: «Non di solo pane vive l’uomo» (Mt 4,4). È il primo servizio richiesto all’apostolo: indicare orizzonti e insegnare a trovare il senso della vita. E subito dopo la compassione per il pane che manca. Gesù insiste: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37). «Cominciate – aggiunge – col mettere davanti quel poco che avete: cinque pani e due pesci. E poi distribuite con me. Prestatemi mani, braccia e cuore per essere una mia presenza». E che altro è un prete se non questo? Un operaio evangelico, non a ore, non a cottimo, ma sempre… Tutto. Preghiamo per le vocazioni sacerdotali che vanno diminuendo. Chi ci spezzerà il pane della Parola e del sacramento? Preghiamo perché tanti giovani sappiamo accogliere e rispondere all’appello del Signore per un sacerdozio entusiasmante, gioioso, per una donazione senza risparmio. Val bene la pena di impegnare la vita per un tale ideale. Talvolta, l’ideale val più della vita stessa. Questa mia insistenza sulla preghiera è per ricordare una delle responsabilità che don Armando rivestiva in diocesi: l’Apostolato della preghiera. Preghiamo non solo per il suffragio di don Armando, ma per ottenere il premio alle sue fatiche, alla dedizione da lui dispiegata per tanti anni. Il Signore non può dimenticare, lui che non lascia passare un bicchier d’acqua fresca procurato ad un assetato (cfr. Mt 10,42). Il Signore non dimentica il più piccolo dei favori fatti a lui. Nessuno può separare dal Signore chi gli è debitore di un atto di amore: il Signore lo ripaga, lo contraccambia, lo ricompensa con un dono ancora più grande: «Oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,43). Così sia.