Omelia nella S. Messa con la consacrazione al Cuore Immacolato di Maria della Russia e dell’Ucraina

Pennabilli (RN), Cattedrale, 25 marzo 2022

Is 7,10-14; 8,10
Sal 39
Eb 10,4-10
Lc 1,26-38

Ho ricevuto tempo fa questo messaggio: «Buonasera Eccellenza, sono un parrocchiano di Vicomero. Chiedo, insieme ad alcune persone di Parma, di inviare a Papa Francesco il seguente comunicato: “Oggetto: guerra in Ucraina. Chiediamo al Santo Padre di scomunicare chi vuole la guerra in Ucraina e uccide anche bambini, come Erode”. Ringrazio e porgo distinti saluti», 11 marzo 2022. Di fronte a tale messaggio sono rimasto perplesso, senza parole. Di lì a poco, il Santo Padre, Papa Francesco, lancia tutta la Chiesa in una grande e coraggiosa preghiera di consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria.
La guerra è situazione che tocca tutti, non solo i paesi coinvolti. A quanto sappiamo, si tratta di un paese che invade prepotentemente e ingiustamente un altro e l’invaso fa resistenza con tutte le forze e tutte le armi possibili. Argomento scivoloso: comunque se ne parli si rischia di fare qualche sbaglio…
Mi soffermo sul contrasto, forse è soltanto un dettaglio in questa tragedia immane: da una parte un gruppo di cristiani che chiedono la scomunica e dall’altra il Papa che risponde con l’invito ad un atto di consacrazione e di affidamento per l’uno e per l’altro paese.
In questi giorni si sono sentite parole durissime contro il popolo russo, eppure questo è un grande popolo: un popolo che abita un territorio immenso, di steppe sterminate, con una decina di fusi orari che lo abbracciano; un popolo che ha accolto il cristianesimo da mille anni ed ha avuto e ha grandi santi, grandi maestri spirituali; un popolo che ha molto sofferto lungo i secoli, subendo il totalitarismo e la persecuzione comunista, “un’idea cristiana impazzita”, direbbe don Luigi Giussani; un popolo che ha donato all’umanità grandi artisti, poeti, scienziati.
Chi voleva proporre al Papa la scomunica pensava, in verità, non tanto al popolo russo, ma a chi vuole la guerra e uccide anche i bambini, come Erode.
Il Papa guarda questa guerra come Abramo che, davanti alle due città inique, Sodoma e Gomorra, prega: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano?». «Lungi da te – continua il testo biblico – il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lungi da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutta la città». Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere… Forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne trovo quarantacinque». Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti».  Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola; forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci» (Gn 18,23-32). Dentro una storia di dilagante ambiguità, perfino di cruda empietà, la voce sommessa e tenace della preghiera di Abramo apre una fessura carica di futuro sull’enigma del male che insidia la storia umana. “Forse”: l’intercessione di Abramo è l’apertura della fede. Per ben sei volte Abramo adopera l’antifona “forse” e in quel “forse” c’è tutta la fiducia di Abramo credente, ma anche tutta l’audacia di Abramo amico di Dio. In quel “forse” di Abramo, nella tenacia della sua insistente intercessione c’è il sorriso di chi vede il giorno di Gesù, il solo giusto, grazie al quale l’umanità è salvata dalle sue ingiustizie. Ricordate il Vangelo di Giovanni: «Abramo vostro padre esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò» (Gv 8,56). Quel “forse”, reinterpretato alla luce di Gesù, diventa “certezza”: Gesù “Principe della pace”, «colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia» (Ef 2,14).
Papa Francesco ci sta insegnando che il ruolo fondamentale del camminare verso l’unità fraterna lo esplica la preghiera. Stiamo vivendo un passaggio della storia sconvolgente, frutto di violenza e catene di crudele ingiustizia. Di fronte a tanto male che fare? Odiare, vendicarsi, aspettare miracolosamente che Dio intervenga? C’è un’altra via: la via della responsabilità umana per il male che c’è nel mondo. E responsabilità chiede conversione: conversione è l’altro nome della responsabilità. Del resto, è il tema della meditazione di domenica scorsa, III domenica di Quaresima: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,3). Noi avevamo sintetizzato così: «Quando senti una campana suonare a morto, non domandarti per chi suona: suona per te». Appello personale alla conversione.
La preghiera è essenzialmente intercessione. Intercedere vuol dire “camminare in mezzo”, tra l’umana avventura, caratterizzata dalla libertà, e Dio. Nella preghiera di intercessione sono inseparabilmente congiunti Dio e l’orante, spalla a spalla. Come Mosè sul monte, a braccia alzate, preghiamo per la vittoria del bene, la realizzazione del progetto che Dio ci ha affidato (cfr. Es 17,8-16).
La prima ad interpretare questo ruolo di intercessione è la Madre di Dio, madre dell’umanità, colei che è sorella e madre. Lei, per divino disegno, è collocata fra l’umanità e Dio: intercede. A lei consegniamo la nostra preghiera. Certo, l’unico mediatore fra Dio e gli uomini è Gesù Cristo (cfr. 1Tm 2,5), ma a lei è stato affidato il ministero materno di intercessione. Pregheremo, al termine della celebrazione in questa giornata dell’Annunciazione, l’atto di consacrazione per la Russia e l’Ucraina, ma nel contempo vogliamo consacrare tutta l’umanità, noi stessi. Figli, con la Madre, per i fratelli!
Una piccola precisazione conclusiva. Cosa si intende con la parola consacrazione? Per noi impossibile non fare riferimento al Battesimo: il sacramento che unisce per sempre a Cristo, che rende il cristiano figlio di Dio, dimora dello Spirito Santo e che infonde in ciascuno che lo riceve la grazia santificante. Ogni altra forma di consacrazione non è che un’esplicitazione di questo. Consacrarsi a Maria significa anzitutto affidarsi, riconoscere il rapporto filiale con lei e chiedere con fiducia aiuto e protezione. Consacrarsi a Maria vuol dire rendere esplicito il desiderio dell’imitazione: imitare Maria dal suo “fiat” nell’Annunciazione al suo stare ritta sotto la croce. Consacrarsi a Maria esprime la volontà di appartenere a lei; un’appartenenza che si manifesta attraverso la conversione del cuore. Il “sì” scaturito dal Cuore Immacolato di Maria aprì le porte della storia al principe della pace. Confidiamo che ancora, per mezzo del suo cuore, la pace alla fine vincerà.