Omelia nella S.Messa di chiusura della Visita Pastorale a Novafeltria

Novafeltria, 13 maggio 2018

Ascensione del Signore

At 1,1-11
Sal 46
Ef 4,1-13
Mc 16,15-20

(da registrazione)

Anzitutto, un grande omaggio a tutte le mamme e un omaggio ancora più grande alla nostra Mamma del Cielo, Maria, la mamma di Gesù affidata a tutti noi.
Oggi è il 13 maggio, il giorno di una sua particolare tenerezza verso di noi, accaduta a Fatima, ma dono per tutta l’umanità.
Quella di oggi è una Messa all’aperto?
No. È una Messa sulla piazza, tra le case, dove si svolge il nostro vivere quotidiano.
È nostalgia della primavera?
In verità, l’iniziativa mira a rendere più evidente la prossimità del sacrificio di Cristo con la vita di tutti: la vita di chi va in chiesa e di chi non ci va; di chi non va perché forse non si sente degno o si sente giudicato, oppure di chi semplicemente, per ora, non crede sia così importante. Questa scelta è un gesto educativo: vogliamo educarci ad essere una comunità aperta, coraggiosa, accogliente, attenta al mondo circostante. Vogliamo essere lievito nella pasta; un piccolo segno, ma che ci porta a fare un passo dentro di noi nella direzione della testimonianza. Signore, mi affidi il tuo Vangelo, mi chiedi di gridarlo dai tetti (cfr. Mt 10,27). Ci sto.
La comunicazione del Vangelo è avvenuta storicamente, e avviene così anche oggi, per contagio, da persona a persona, da cuore a cuore. A poco servirebbe questa iniziativa se per primi non portassimo, in questo momento, nel cuore e nella nostra preghiera, il vicino di casa o l’inquilino del nostro caseggiato. Si incomincia sempre così, con piccoli gesti: un giudizio evitato, un saluto cordiale, un’opera di mediazione in un contesto di discussione, un po’ di pazienza per il volume troppo alto del vicino o per gli strilli del bimbo del piano superiore. E verrà il momento nel quale ci verrà chiesto: «Perché sei sempre di buon umore? Perché sei sempre disponibile? Perché sei così forte nei momenti di prova?». Allora sarà l’inizio di un dialogo, non propaganda. Semmai, irradiazione. Tutti sono candidati alla nostra amicizia. Ci sono periferie che aspettano il messaggio, pregiudizi da superare, persone che sentono troppo la lontananza della Chiesa. E la nostra audacia non apparirà come presunzione o arroganza, ma sarà unicamente la gioia di comunicare quello che abbiamo incontrato, l’umiltà della condivisione.
Al termine di questa Visita Pastorale ho incontrato, ahimè, pochissime persone, anche se erano tutte, in questi giorni, nel mio cuore e nella mia preghiera; anche nelle mie chiacchiere, quando mi chiedevano «come va?». «Sono a Novafeltria… Sapeste», rispondevo. E raccontavo le tante cose belle che ho incontrato. So che ci sono anche i problemi, le difficoltà, ma voi mi avete scelto di farmi vedere le cose più belle.
Desidero rivolgere un saluto a tutti coloro che sono impegnati nell’educazione. Proprio l’impegno educativo mi è sembrato la caratteristica di Novafeltria. Educare è anzitutto far crescere, perché ognuno dia il meglio di sé. Per sbocciare c’è bisogno di attenzione, di stima; senza questi atteggiamenti le potenzialità, i valori, i talenti, restano serrati, chiusi, implodono. Educare vuol dire anche introdurre nella realtà, nella concretezza della vita, con le sue problematiche, senza scansare i sacrifici che ciò comporta. Introdurre non vuol dire “mettersi al posto” di qualcuno, semmai “accompagnarlo”, dargli una mano. Poi, lo si affida alla sua responsabilità. Non vale tanto l’autorità, quanto l’autorevolezza. Ecco perché parlo di accompagnamento, di “dare corda” come si fa con gli aquiloni. Educare alla libertà, al prendere iniziativa, a guardare l’educatore Gesù (nel libretto che alla fine donerò a ciascuno di voi sono contenute le opere di misericordia accompagnate da un piccolo commento fatto in forma di preghiera… troverete una pagina dedicata a Gesù educatore; contiene dieci spunti). Educare vuol dire anche crescere insieme; a volte l’educatore si sorprende di essere cresciuto nell’educare. I bambini e i ragazzi che mi pongono le loro domande, mi mantengono giovane, mi costringono ad imparare anche le nuove tecnologie. Guai, se l’educatore si sentisse arrivato. La maturità, poi, è un mito. Dico ad insegnanti, allenatori, dirigenti sportivi, animatori, catechisti e soprattutto ai genitori: coraggio!
Un saluto particolare ai giovani. Mi hanno fortemente colpito con la loro lettera inviatami il giorno prima di venire a Novafeltria. «Stare nella Chiesa – mi hanno scritto – ci piace, se questo non significa solo entrare in chiesa». I giovani sono anche molto esigenti. Vogliono una Chiesa che sia accogliente verso tutti, che sappia parlare con un linguaggio vicino alle persone comuni. Gesù non respinge nessuno, nessuno che voglia camminare con lui. Hanno espresso anche perplessità, richieste di chiarimenti importanti. «Stare al passo con i tempi». Suppongo che non intendano l’appiattirsi alla mentalità corrente, annacquando le esigenze del Vangelo o abbassando il progetto dell’Altissimo, progetto che ci ha dimostrato nella sua Parola e anche nella Creazione. Ahimè, non è mancato, in passato, che i cristiani si siano adeguati alla mentalità corrente e alle pretese del potere. Una volta erano le pretese degli imperatori, oggi sono le pretese di certe lobby o di centri di potere che condizionano mentalità, culture, mode. C’è una cosa che mi ha molto colpito nella lettera dei giovani. Essi hanno centrato uno dei punti essenziali della nostra fede: la speranza cristiana. La speranza è un aspetto della nostra fede che celebriamo oggi, in modo speciale, con la solennità dell’Ascensione del Signore. «Sentirci dire – hanno scritto – che non tutto finisce con la morte, anzi che la morte è l’inizio di una nuova vita, più vera e piena nelle braccia di Dio, ci illumina e ci conforta». Non mi aspettavo, in una lettera così impegnata anche sui temi della educazione, della socialità e della società, una sciabolata di luce così accecante. I giovani vedono nel Vangelo che gli viene raccontato la dimensione del Cielo. Siamo fatti di Cielo, siamo fatto per il Cielo. Davvero le parole dei nostri ragazzi sono in sintonia con la liturgia. «Padre – abbiamo pregato – nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te». E poi: «Egli, il Signore Gesù, ci ha preceduti nella dimora per darci la serena fiducia che, dove lui è capo e primogenito, saremo anche noi sue membra».
Per voi giovani, per noi adulti, per tutti il richiamo degli angeli, i «due uomini in bianche vesti» (At 1,10), a non stare con la testa per aria, tra le nuvole, ma a scendere nel mondo, nella città degli uomini. È il richiamo all’impegno, al mettersi insieme, perché la volontà di Dio si compia in cielo come in terra.
Grazie all’amministrazione comunale, ai militari, a tutte le persone del servizio pubblico. Grazie alle tante associazioni e alle realtà culturali e di categoria. Grazie alle scuole, che hanno accolto benevolmente la mia presenza e il mio omaggio: per quello sono andato, non per fare propaganda. La cortesia è molto più della tolleranza, ma più di tutto è l’amicizia. Invito a lavorare insieme, ognuno col proprio dono, per il bene comune. Non pensiamo, come cristiani, a costruire una società parallela; vogliamo concorrere a costruire insieme la città degli uomini, sapendo che ogni battezzato, dove vive, lavora, soffre, insegna, impara, è la Chiesa, un “io plurale”. Come ognuno dei punti della superficie della sfera è in grado di reggere tutto l’intero, così ognuno di noi è la Chiesa. Con quale forza? Con la forza dell’impegno e della coerenza, ma non senza la forza che viene dall’alto di cui ci ha parlato oggi il Vangelo, che ci fa compiere cose grandi, più grandi di noi.
C’è chi prega insieme a noi, anzi per noi. Quelli che pregano per noi non sono retrovia, sono le braccia alzate, le mani giunte, le dita che snocciolano i grani del Rosario: quelle dei nostri anziani, dei nostri ammalati. Quasi un ricamo che avvolge Novafeltria e fa piovere benedizioni.
Un saluto grande ai bambini e ai ragazzi. Sono solito dividerli in due categorie. Ci sono i “ragazzi uffa”, quelli sempre scontenti, quelli per cui non individui mai il gioco adatto, quelli che non cominciano mai dalla materia più impegnativa, e ci sono i “ragazzi urca”, quelli che fanno le cose con slancio, con interesse, con curiosità, con entusiasmo. Ne ho trovati tanti a Novafeltria di “ragazzi urca”!
A loro e a tutti faccio la consegna finale di questa Visita Pastorale: «Siate fra la gente della vostra cittadina lievito che fermenta!». Così sia.