Omelia nella S. Messa nel Centenario della nascita del Servo di Dio don Luigi Giussani

Serravalle (RSM), 22 febbraio 2022

40° anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione e 50° della presenza del Movimento a San Marino e in Diocesi

1Pt 5,1-4
Sal 22
Mt 16,13-19

Saluto e ringrazio le Loro Eccellenze, i Capitani Reggenti, per la presenza; un caro saluto a tutti i partecipanti a questa liturgia.
Il Vangelo che abbiamo sentito proclamare ci dice che le risposte “per sentito dire” non valgono, quelle frutto di una sommaria istruzione dottrinale sono insufficienti e non fanno molta differenza, a questo proposito, le risposte accademiche. Gesù vuole la risposta del cuore: «Chi sono io per te?». Pietro aveva già dato la sua risposta gridando sotto la spinta della paura, ma anche della fiducia: «Signore, salvami!» (Mt 14,30). Era tra le onde del lago in tempesta. Un giorno dirà a nome di tutti: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna» (Gv 6,68). A Cesarea di Filippo, tappa centrale del Vangelo di Matteo (siamo al capitolo 16), Simone risponde: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). E Gesù di rincalzo: «Non la carne né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio» (Mt 16,17). Come dire, non ci sei arrivato da solo… Al confessore del Messia viene conferita la dignità di suo rappresentante: «Tu sei Pietro, su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). Gesù cambia nome a Simone, lo chiama Pietro. Quante volte nel Vangelo Pietro combina guai! Eppure, proprio a lui Gesù conferisce la dignità di essere suo rappresentante. Sappiamo dalla tradizione biblica che il cambio del nome sta sempre ad indicare l’assegnazione di una missione speciale, così Abram viene chiamato Abramo, Giacobbe è chiamato Israele, ecc. Il nome Pietro significa “roccia”. La stabilità e la compattezza della futura comunità messianica poggeranno su Cristo, ma attraverso la mediazione di Pietro. La Chiesa, sia ben chiaro, è di Cristo, Pietro non l’ha fondata, non è a disposizione del suo arbitrio e non ne è il capo per doti particolari, tuttavia, dopo la risurrezione, Gesù l’associa a sè come garante dell’unità e della stabilità della Chiesa.
Insieme alla metafora della roccia Gesù adopera anche quella delle chiavi, del legare e dello sciogliere, allusione al ministero petrino di governo e di magistero. Questa investitura vale anche per chi succede a Pietro. Come può la comunità messianica godere di un servizio di unità se la roccia non sarà tale per tutto il tempo? La dimensione petrina è esercitata in modo proprio dal vescovo di Roma, il vescovo della Chiesa che presiede alla carità, secondo l’espressione di sant’Ignazio di Antiochia.
Molto importante per noi oggi richiamare la rilevanza del primato di Pietro. Lo facciamo nel giorno della festa della Cattedra di san Pietro: evidentemente non si festeggia un mobile, ma l’incarico, l’impegno, il servizio che ha il vescovo di Roma. Il papa, per volontà di Cristo, deve confermare i fratelli ed essere roccia di sostegno per la Chiesa, perciò è infallibile: un dono grandissimo che il Signore ha fatto alla sua Chiesa. Sarebbe da approfondire e precisare tutta la profondità di questa verità della nostra fede. Voi direte: l’infallibilità è assicurata nei pronunciamenti sulla fede e la morale ex cathedra. Tuttavia, anche l’insegnamento ordinario, non definitivo, gode comunque di una particolare assistenza divina. Esige un assenso interiore. Ricordo una frase che papa Giovanni Paolo II pronunciò durante il suo primo viaggio in Polonia; era il 1979 e c’era difficoltà, in quei primi anni, a capire il Papa, perché portava nell’esercizio del suo ministero tutto un mondo, tutta un’esperienza, una testimonianza di fede e di combattimento che erano quelli della Polonia. «Se Dio mi ha chiamato con queste idee – disse –, ciò è avvenuto affinché abbiano risonanza nel mio ministero». Non si può accogliere il papato, distanziandosi da questo o quel papa. Allo stesso modo, oggi papa Francesco porta la vita, la storia, le fatiche, le singolarità della Chiesa latino-americana. E se il Signore lo ha chiamato con queste idee vuol dire che se ne deve tenere conto: è Pietro oggi.

Mi collego all’esperienza di Pietro nel riconoscimento del Signore come Messia per rimarcare il dono che è stato ed è don Giussani, non solo per il movimento di Comunione e Liberazione, ma per tutta la Chiesa. Anzitutto la sottolineatura forte del mistero dell’incarnazione, avvenimento che l’uomo, con tutti i suoi sforzi, non avrebbe potuto neppure immaginare. Penso all’immaginazione straordinaria dei miti antichi da Gilgameš alla tradizione egizia e alla nostra greco-latina (Ovidio, Esiodo, ecc.); nonostante la fervida fantasia non erano mai arrivati ad immaginare l’incarnazione di un Dio. Ovviamente l’incarnazione non è un mito, ma una realtà per la quale si dà la vita. Al mistero dell’incarnazione tende ogni espressione autentica dello spirito umano. È un tema ricorrente in don Giussani: «Per farsi riconoscere Dio è entrato nella vita dell’uomo come uomo, secondo una forma umana che penetra i nostri occhi, che tocca il nostro cuore, che si può afferrare con le nostre braccia». È Gesù, con la sua divina umanità, che l’uomo cerca quando è acceso da un desiderio di bellezza, di verità, di giustizia, di bene, di libertà. C’è una corrispondenza fra il cuore dell’uomo e la verità del Signore. E’ la novità portata da Gesù, il quale, come dice sant’Ireneo, «omnem novitatem attulit, semetipsum afferens», ossia «nella sua venuta, ha portato con sé tutta la novità» (Adversus Haereses, IV, c.34, n.1, cit. in EG 11). Vedete allora la freschezza, il fascino, della vita cristiana. Come mi insegnate è tutt’altro che una dottrina astratta, un insieme di leggi e di etica… Anche i precetti difficili del Vangelo di domenica scorsa – amare il nemico, dire bene di chi ci sminuisce – non vanno collocati nell’etica: dietro c’è una rivelazione. Dio è Padre, che fa piovere sui buoni e sui cattivi, fa venire il sole sui giusti e sugli ingiusti (cfr. Mt 5,45).
Partecipando a qualche incontro con gli amici di Comunione e Liberazione spesso ho sentito tornare queste parole, quasi una dizione formulare: “avvenimento”, “accadimento”, “incontro”. Sono parole dietro le quali sta un’esperienza. Mi piace soprattutto la parola “incontro”. Tale è, infatti, il cristianesimo: un incontro con una persona presente, carica di un’attrattiva misteriosa, capace di cambiare completamente l’orientamento della vita. Infatti, tante volte in questi incontri viene riferito un cambiamento, perché c’era stato un momento in cui era accaduto qualcosa di straordinario: l’incontro. Cito anche un altro testo tratto dal libro di Alberto Savorana su don Giussani: «Ciò di cui tutto è fatto è diventato uno di noi (il Verbo per mezzo del quale tutto è stato fatto e niente di ciò che esiste può prescindere da lui, perché tutto è stato fatto in Lui, cfr. Gv 1,3). Allora uno che lo incontra dovrebbe girare il mondo, gridandolo a tutti». Sentite la conclusione: «Ma uno può girare il mondo, gridarlo a tutti, stando nel luogo in cui Cristo lo ha provocato». Quindi, se dovessimo individuare un’espressione sintetica di tutta l’esperienza umana, cristiana ed ecclesiale di don Giussani, una parola attorno a cui tutto il suo insegnamento si può riassumere, dovremmo scegliere certamente la parola “vocazione”: vita come vocazione.
Concludo con un’altra citazione. È una lettera che, giovanissimo, Luigi Giussani scrive ad un amico: «Io non voglio vivere inutilmente: è la mia ossessione e poi, tra due amici profondi, cosa si desidera? L’aspirazione dell’amicizia è l’unione, è il dono di immedesimarsi, impastarsi, diventare la stessa persona, la stessa fisionomia della vita». «Ma Gesù è in croce – scrive il giovane don Luigi –; la gioia più grande della nostra vita è quella che, ad ogni piccola o grande sofferenza, ci fa scoprire “ecco, ora sei più simile, più impastato con lui”». Questo testo mi piace; questo linguaggio “spirituale” in un cristiano concreto smentisce il pregiudizio secondo cui spiritualità e contemplazione sono in contraddizione.
«Tu es Petrus», Gesù l’ha detto a Simone, ma ognuno di noi che riconosce il Signore come “il suo Signore” diventa Pietro, viene invitato e costituito per la missione.