Omelia nella Solennità del Corpus Domini

Pennabilli (RN), Cattedrale, 14 giugno 2020

Dt 8,2-3.14-16
Sal 147
1Cor 10,16-17
Gv 6,51-58

Cari Pennesi,
mi dispiace che ci vediamo poco!
Questa chiesa, senza nulla togliere al vostro parroco, è la chiesa del Vescovo. Ma il Vescovo deve provvedere alla Diocesi, una Diocesi vasta e con strade impervie. Questo esordio è per dirvi che vi voglio bene e che avete una grande responsabilità, perché essendo Pennabilli città vescovile, siete il paradigma di ogni altra comunità. Ad esempio, i cristiani di Monte Cerignone, così come quelli di Borgo Maggiore, dovrebbero dire: «Copiamo da quelli di Pennabilli, nel fervore, nell’impegno, nell’apostolato».

Vengo alla festa del Corpus Domini: mediteremo, più che le singole letture, il mistero eucaristico nel suo insieme. Vi invito a concentrarvi su due aspetti: l’Eucaristia come forma dell’essere ecclesiale e l’Eucaristia come forma dell’agire ecclesiale.
Preciso il significato delle parole. La parola “forma” significa che ciascuno di noi, tutta la comunità, deve maturare, crescere, assomigliare sempre più a Gesù: prendere la sua forma. È un’opera che fa lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo ci fa prendere la forma di Gesù, una forma che abbiamo già, anche se da sviluppare. Siamo stati creati per essere altri Gesù. È un’opera dello Spirito Santo, ma esige la nostra collaborazione.
Specifico le parole essere e agire. Essere e agire sono ambedue dimensioni necessarie, coessenziali, non disgiungibili. Essere senza agire non porta a niente; agire senza essere fa diventare ipocriti. Attenzione, poi, all’aggettivo ecclesiale; si tratta di una forma, quindi di un essere e di un agire, che non è individualistica, intimistica, ma che è la forma di un corpo, di una comunità, della Chiesa.

1.

L’Eucaristia forma dell’essere ecclesiale. Il termine “sacramento” fa pensare a qualcosa di sacro e insieme di misterioso, qualcosa che vela e svela nello stesso tempo. Vela e svela “qualcuno”, che però è presente. Non si vede perché è velato, ma appunto perché velato, attraverso quel velo, è avvolto nella sua presenza. Il discorso della sacramentalità ha le radici in tutta la storia della salvezza, nelle Sacre Scritture. Dio, invisibile, è un mistero, il primo mistero. Il profeta dell’Antico Testamento lo chiamava il «Dio nascosto» (Is 45,15). Il Dio dell’Antico Testamento si è svelato (o rivelato) in Gesù di Nazaret, il Cristo. Ma il Verbo di Dio, che ha assunto la nostra umanità e si è fatto uomo come noi, è nascosto nell’umanità; è un uomo vero ed è un uomo velo, che ricopre la sua divinità. Dio si fa vicino in Cristo, e Cristo è avvolto da un altro segno, da un ulteriore sacramento. È dovuto al grande desiderio di Gesù di manifestarsi maggiormente a noi, alla sua volontà di unirsi singolarmente e personalmente a ciascuno di noi. L’intenzione del nostro Dio – un Dio che ci ama alla follia, che dall’eternità è accanto all’uomo e che si è fatto vicinissimo con l’Incarnazione – è quella di donarsi nell’Eucaristia ad ogni uomo. Dio, mistero, sacramento, si fa presente nel Figlio umanizzandosi e si fa presente nel Sacramento dei sacramenti, l’Eucaristia, per farsi più intimo nel rapporto con noi.
La fede ci avverte: nell’Eucaristia c’è Qualcuno, c’è Cristo, la sua persona, con la sua umanità, con la sua divinità, con l’immensa ricchezza della sua vita. Sì, nell’Eucaristia c’è una vita tutta per noi. Che disponibilità! Se fossi giansenista direi “quanto spreco” (cfr. Gv 12,5)! Invece è amore. Ecco la prima e grande forma alla quale deve ispirarsi e improntarsi tutta la nostra piccola vita. La vita della Chiesa, comunità povera e ricca insieme, umano-divina (cfr. LG 8), è il sacramento di Cristo e del Cristo Eucaristico. Comunità di uomini, ma comunità nei cui membri – creature così deboli, così peccatrici (più ci si avvicina all’altare e più si sente d’essere peccatori) – c’è Cristo con tutta la sua grazia e il suo vigore. San Paolo: «Vivo, sì, ma non sono io che vivo! È Cristo che vive in me» (Gal 2,20). San Paolo era diventato tutto forma di Cristo. Tutti i cristiani, uomini come gli altri, fratelli tra fratelli, sono sacramenti di Cristo e devono vivere la vita di Cristo. «Voi, infatti – continua san Paolo –, siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3). Siamo uomini che devono camminare al passo con Cristo, a contatto ininterrotto con lui, in conversazione con lui, soffrendo con Lui la sua Passione, ma godendo anche nella sua gioia (cfr. Col 1,24).

2.

L’Eucaristia forma dell’agire ecclesiale. L’Eucaristia – perché vita – non è soltanto presenza, ma anche attività, azione, movimento, che sprigionano dal “di dentro” dell’Eucaristia. E poiché è vita, l’Eucaristia è amore, che genera vita. Un’azione dal ritmo centripeto, cioè che attira per vie misteriose, avvolge, attrae, eleva, trasforma, santifica, divinizza. «Assumendomi – scrive sant’Agostino mettendo parole in bocca a Cristo – non sarai tu a trasformarmi in te, ma tu sarai assimilato a me!». Così faceva, del resto, Dio nell’Antico Testamento: «Ti ho amato di un amore eterno, per questo ti ho conservato la mia benevolenza e ti attiro a me…» (Ger 31,3).
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori descrive l’attività centripeta di Gesù con questi verbi: «Chiama, aspetta, accoglie».
L’Eucaristia è anche un’azione dal ritmo centrifugo, perché dona, mobilita, coinvolge. Nei Vangeli, nelle parabole, Gesù si fa rappresentare da figure inquiete. Ad esempio, la donna che ha perso la moneta, tutta indaffarata a cercare, inquieta finché non la trova (cfr. Lc 15,8-9); il pastore che è inquieto finché non trova la sua pecora (cfr. Lc 15,4-6); il padre che va sul terrazzo della casa per vedere se torna il figlio che se n’era andato (cfr. Lc 15,11-24). Un Dio inquieto. Gesù vorrebbe da noi che avessimo parte alla sua inquietudine, che è il suo amore. «Siete sale – ci ha detto – per preservare la terra dalla corruzione» (cfr. Mt 5,13). «Siete lievito – ci ha detto – per elevare la massa in fragranza di vita» (cfr. Mt 13,33).
Oggi nel Vangelo dice: «Voi siete… per la vita del mondo» (Gv 6,51).
La Chiesa deve essere presente nel mondo perché sacramento di salvezza per il mondo: necessità di questa presenza, fuggendo dall’indifferenza e dal quietismo, ma anche necessità di non cedere all’attivismo.
Forse il Signore ha permesso che si arrivasse a questa situazione, pastorale e civile, che oggi viviamo, perché avvertissimo l’urgenza di tornare a metodi di evangelizzazione più poveri, più silenziosi, non presuntuosi, con l’uso di chissà quali mezzi, con l’imponenza di chissà quali strutture, ma con la convinzione di avere in mano la carta vincente. Più umiltà, più abbandono alla bontà del Signore e degli uomini (c’è tanta bontà attorno a noi), più compostezza, più semplicità. Se un’aggressività ha da esserci, che sia l’aggressività dell’amore. Mi piacerebbe fare mia questa “comunione d’anima” di san Paolo: «Per conto mio – scrive ai Corinti – mi prodigherò volentieri, anzi consumerò me stesso per le vostre anime, amando più intensamente…» (2Cor 12,15).
Adorando e mangiando l’Eucaristia possiamo apprendere e attingere forza per avere la forma di Gesù nel nostro essere e la forma della sua inquietudine nel nostro impegno per la nuova evangelizzazione.