Omelia nella Solennità del Corpus Domini

San Marino Città (RSM), 3 giugno 2021

Es 24,3-8
Sal 115
Eb 9,11-15
Mc 14,12-16.22-26

Carissimi tutti, Eccellenze,
il fondatore della nostra Repubblica – il santo Marino – ci invita oggi a mettere al centro della città, delle relazioni, delle famiglie, della comunità, delle istituzioni il Pane e il Vino, sacramento della presenza del Signore Gesù Cristo. Lui ha detto: «Questo è il mio corpo». Se potessi, vorrei tradurre: «Questo sono io»!
In nessun altro pasto pasquale, né da alcuna persona, né da alcun profeta è stata detta una cosa simile. Le parole di Gesù sul Pane e sul Vino sono inaudite. Il Pane che viene offerto è un pane spezzato: la condivisione non è un semplice gesto pratico per dividerlo per tutti, è un gesto profetico. Attraverso questo simbolo Gesù vuole significare la morte imminente e violenta di cui sarà vittima, come dicesse: «Questa è la mia vita che viene spezzata e che io vi dono. Questa è l’alleanza che io concludo con il mio sangue».
Anche chi è poco avvezzo alla liturgia della Chiesa, o poco esperto di teologia, intuisce che questo Pane e questo Calice non sono soltanto un tesoro, sia pure il più grande per la comunità cristiana, ma è il suo stesso programma di vita, dal quale non può prescindere: ciò che fa bella la vita è il donarla!
«Nessuno può togliermi la vita – aveva detto – io la dono da me stesso» (cfr. Gv 10,18).
Nel racconto evangelico secondo Marco, Gesù manda due discepoli ad inseguire un uomo che porta una brocca d’acqua; seguendolo troveranno una stanza in cui preparare la Pasqua. Torna spesso il verbo “preparare”. Non è difficile riconoscere quell’uomo, visto e considerato che, in genere, sono le donne che portano l’acqua e i pesi. In lui il lettore può riconoscere il ministero di chi dà il Battesimo e abilita ad entrare nella “stanza superiore”. C’è tutto l’itinerario del nostro Programma pastorale: dal Battesimo al Cenacolo, dove non solo verrà spezzato il Pane, ma sarà effuso lo Spirito Santo. E la stanza è subito pronta. Ma, più che la stanza, Gesù vuole preparare i discepoli.
I discepoli di Gesù, mangiando il suo Corpo e bevendo il suo Sangue, ricevono la forza, a loro volta, di donare la vita, come fa Lui, e possono continuare a spendersi e a donarsi senza riserve.

Ci sono momenti nei quali la nostra Repubblica (e più in generale la società) è, per così dire, messa con le spalle al muro e deve rispondere a domande incalzanti: «Che cosa dici di te stessa? Quali sono i tuoi valori fondanti? Come ti prendi cura della vita nascente, il tuo tesoro? Qual è il tuo progetto di futuro?».
Talvolta, l’urgenza dei problemi e l’incalzare delle scadenze ci rendono affannati, pragmatici, efficientisti. Il filosofo Platone sognava una repubblica governata dai filosofi, cioè da coloro che amano la sapienza, i contemplativi della sophia.
Si sta avvicinando un’opportunità grande per un sussulto di consapevolezza, di pensiero e di formazione delle coscienze. Ci sarà dibattito. Nel dibattito pubblico, nella società secolare, si confrontano ragioni di antropologia, di etica, di scienza, di per sé non di religione.
Tuttavia, ci sono valori che il cristianesimo porta in sé e che deve sempre più mettere in campo a servizio del bene comune. Con la mentalità del dono. In dialogo. Il dialogo è l’ossigeno per una società democratica. Si tratta di valori che in questa sede è mio dovere proclamare. Tra questi il primo è la vita, la creatura che nel grembo della mamma ha cominciato ad essere persona. È un valore che presuppongo in tutti e per il quale tutti dobbiamo impegnarci: è in gioco la bellezza e il valore della vita stessa.
Capisco quanto sia importante il punto di vista di una mamma: quella raggiante per l’arrivo di un bambino e quella preoccupata a causa delle difficoltà… specialmente a questa dobbiamo assicurare l’accompagnamento, la tutela e la cura necessarie. La donna porta il peso e la fatica della maternità. Ma il papà non è da dimenticare per le sue responsabilità e consapevolezza. Mai più una donna lasciata sola, non considerata, non difesa, non onorata. Abbiamo testimonianze belle di accoglienza della vita e contiamo in risoluzioni sempre più adeguate di servizio alla vita, alla donna, alle famiglie.

Torno al Vangelo, ma, in verità, non me ne sono affatto allontanato. Gesù ha simboli e parole che indicano la sua passione per la vita, quella che inizia nel grembo, che scorre nel tempo e che si distende nell’eternità. «Questo è il mio corpo», dice Gesù, e intende dire: «Vivetene!». Con il suo Corpo Gesù ci consegna la sua storia: il grembo caldo di Maria, la mangiatoia, le strade polverose della Palestina, il lago, i volti, il duro della croce, il sepolcro vuoto e la vita che fiorisce al suo passaggio…
Gesù vuole che in noi fluisca la sua vita; Gesù non è venuto soltanto per insegnare, anche se lui stesso si dice «il Maestro…». Gesù non è venuto soltanto per rimettere i peccati. È venuto per darci la vita, vuole che il suo coraggio scorra nelle nostre vene, perché viviamo l’esistenza umana come l’ha vissuta lui.
Oggi è festa della Comunione, la comunione con Lui che si estende ed abbraccia tutto ciò che si vive quaggiù sotto il sole: i nostri fratelli, le nostre sorelle, i piccoli, i grandi, le persone umili e quelle che portano il peso delle responsabilità. Che sia un rapporto non più alterato dal verbo “prendere” o “possedere”, ma sia illuminato dal più generoso e generativo dei verbi: donare.
I sacerdoti – non si può non dedicare un ricordo speciale a loro, ministri dell’Eucaristia – si stanno preparando a vivere insieme tre giorni di studio e di fraternità. Pensieri, parole, propositi sono raccolti sotto un titolo significativo: «Il coraggio di abbracciare il mondo con la forza dello Spirito». Abbracciare il mondo significa abbracciare le solitudini, le famiglie, le mancanze di lavoro, l’educazione dei giovani e – perché no? – anche tante macerie umane e spirituali. Per avere tutti questo coraggio, preghiamo.