Omelia nella Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù

Pennabilli (RN), Cattedrale, 19 giugno 2020

Dt 7,6-11
Sal 102
1Gv 4,7-16
Mt 11,25-30

Oggi, Solennità del Sacro Cuore di Gesù e Giornata della santificazione sacerdotale e ricordo, fra le altre cose, della visita di papa Benedetto XVI alla Diocesi e alla cittadina di Pennabilli. Un motivo di preghiera, questa sera, è la gratitudine al Signore per averci dato la gioia di aver avuto tra noi il Santo Padre.
Dico una parola sul Santo Vangelo appena proclamato. Parto da una constatazione: non sappiamo quasi niente di cosa diceva Gesù nella sua preghiera intima. Sappiamo che spariva nella notte e si intratteneva col Padre, ma nessuno ha mai riferito che cosa dicesse, quale fosse il contenuto della sua preghiera. Nel Vangelo di questa sera ci viene detto che Gesù erompe in un inno di giubilo: «Ti lodo, Padre…». Nel suo cuore c’è la lode perché vede quello che Dio fa nei piccoli. Gesù stava attraversando un momento di crisi; le città del lago nelle quali aveva fatto il suo primo apostolato, dopo una iniziale accoglienza, lo rifiutano al punto che dovrà dire sconsolato: «Un profeta non è accettato nella sua patria» (cfr. Mt 13,57). Poi, le autorità religiose cominciano a fare muro contro di lui. È un momento nel quale deve constatare che davanti a lui – come accade ai nostri parroci – ci sono tanti posti vuoti. Molti se ne sono andati. Un giorno dirà ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67). Però vede che quei posti sono occupati adesso da persone semplici, persone che gridano al Signore, che sentono che da sole non ce la possono fare, che hanno bisogno di lui. Allora attorno a Gesù si forma un popolo nuovo di umili, di semplici, di poveri. È commovente vedere Gesù che si meraviglia del Padre e sentire il suo inno di giubilo. Vorremmo accostarci al suo cuore. Propongo, per la meditazione personale e per l’incontro con Gesù nell’Eucaristia, di considerare tre cose sul cuore di Gesù.

La prima. Il cuore trafitto sulla croce è quello di un uomo, è il cuore che è stato tessuto dalla sua mamma che lo ha generato. È il cuore che è stato educato da Maria e da Giuseppe, un cuore umano. Il Verbo di Dio ha voluto amarci con un cuore umano; ha voluto provare quello che proviamo noi, quando il nostro cuore palpita per una forte emozione, quando soffre di qualche abbandono. Gesù vuol sentire i battiti, del cuore quando è nella gioia e nell’incanto: un conto è sapere teoricamente e un conto è vivere. Gesù ha voluto amarci con un cuore da uomo. Non possiamo dirgli: «Signore, cosa vuoi sapere di quello che passo io!». Quello che passiamo noi, l’ha passato anche lui: è in grado di capire, di sentire e di compatire.

La seconda. Il cuore di Gesù è cuore di un Dio squarciato; è il cuore di un innocente condannato ingiustamente, è il cuore di colui che si è caricato del peccato del mondo; è un cuore che dona tutto, perché da quel cuore squarciato escono acqua e sangue, che per noi credenti sono simbolo del Battesimo e dell’Eucaristia, doni che ci fanno vivere.

La terza. Questo cuore squarciato rimane aperto, è aperto anche adesso e per sempre: è il cuore di Gesù Risorto. Gesù si presenterà un giorno a Tommaso, che metterà il suo dito nella ferita, senza provare repulsione. È una ferita sempre aperta, a dimostrazione dell’amore che Dio ha per tutti noi. Restiamo in questo amore. Contempliamo il cuore umano, il cuore divino, il cuore sempre spalancato.