Omelia nella Solennità della Beata Vergine delle Grazie

Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 20 marzo 2020

“Venerdì Bello”

Prv 8,22-31
Sal 44
Ef 1,3-6.11-12
Lc 1,26-38

1.

La liturgia della Parola ha esordito con un tratto del libro dei Proverbi. Vi sono riferite espressioni fortissime: «Il Signore mi ha creata sin dall’inizio della sua attività, prima di ogni sua opera. Dall’eternità sono stata costituita, fin dal principio quando ancora non aveva fatto la terra e i campi e le prime zolle del mondo, quando fissava i cieli, io ero là». Parole che si riferiscono alla Sapienza increata di Dio, parole che si riferiscono, leggendole nel contesto di tutte le Sacre Scritture, al Verbo. Il Concilio Vaticano II ci autorizza ad applicarle alla Madre del Signore, allo stesso modo fa anche la liturgia. Così dice la Lumen Gentium: «La predestinazione eterna della incarnazione del Verbo fu anche la predestinazione della Beata Vergine Maria ad essere la Madre di Dio. […] Assunta in Cielo non ha deposto questa funzione di salvezza, ma con la sua molteplice intercessione continua ad ottenerci le grazie della salvezza eterna. Con il suo materno amore si prende cura dei fratelli del Figlio suo che sono ancora pellegrini e posti fra tanti pericoli ed affanni» (LG 61).

2.

Predestinazione della missione redentrice del Verbo e, in lui, predestinazione della madre… Che bello!
Anche noi predestinati da Dio, come dice la Seconda Lettura, «ad essere suoi figli adottivi» (Ef 1,5), conformi al Verbo, «primogenito di tutta la creazione» (Col 1,15). Siamo pensati dall’eternità, pensati nel Verbo e pensati con una Madre così! Quello che è detto per il Verbo incarnato vale per tutta la Chiesa, per tutti noi. La Chiesa è prefigurata fin dal paradiso terrestre, nella figura di Eva; ma in realtà ancora più anticamente, cioè da sempre, occorre vederla in Dio, prima dell’inizio del mondo: «Essa fiorisce con il Cristo dalla volontà del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. In quella misteriosa sapienza che presiede con il Creatore alla creazione stessa si deve ravvisare la Chiesa» (H. De Lubac, Meditazione sulla Chiesa, 2014, p. 52). Che bello questo disegno su di noi, questo squarcio che abbraccia passato, presente, futuro! A questa contemplazione ci conduce la Seconda Lettura.

3.

Il Vangelo ora ci prende per mano e ci fa entrare nella casa di Nazaret. Dal Cielo del Cielo, al Cielo sulla terra: Nazaret. Entriamo nella casa di Nazaret in punta di piedi. Impariamo alla scuola di Maria il raccoglimento, condizione prima e indispensabile per andare in profondità ed ascoltare quello che il Signore vuole dirci, oggi e in questo tempo così difficile.
L’angelo entrò da lei, la fanciulla di Nazaret. Anche la mia Nazaret, pur tra tante voci che l’attraversano, può essere casa del raccoglimento, atmosfera spirituale, spazio formativo. Un luogo interiore ed un luogo esteriore, vero angolo di preghiera, forse disadorno, ma col sapore di quella casa, la casa di Nazaret. È lì che Dio mi sfiora, mi passa accanto. Dio non ci sfiora solo nelle belle liturgie della nostra cattedrale, in quella che avremmo dovuto celebrare al Santuario della Madonna delle Grazie (accanto a me potete vedere la riproduzione di come era anticamente l’affresco della Madonna; probabilmente le persone più anziane la ricordano così), ma anche nel quotidiano più feriale. Così in questa Messa, dove il sublime confina con questa candida tovaglia, con il calice e con il pane che è stato preparato.
Nazaret è anche il nostro cuore, quando lo custodiamo e lo difendiamo dal chiacchiericcio, dalla impertinenza dei giudizi, dall’invadenza dell’immaginazione e, in questi giorni, dalle nubi oscure della disperazione e del panico.
La prima parola che esce dalla bocca dell’angelo è una parola di gioia: «Rallegrati, Maria». Anche nel mondo antico c’era ben poco da stare allegri. È troppo riduttivo pensare a questa parola e tradurla con “Ave”. Le parole del saluto angelico appartengono più alle promesse messianiche che al galateo; invitano Maria alla gioia prima ancora che si espliciti il dialogo con le sue conseguenze. Non si tratta di una gioia effimera e intimistica. È gioia per un amore incondizionato che precede la sua vita; per una presenza che renderà colma di significato la sua esistenza e decisiva la sua missione verso l’umanità. Allo stesso modo Dio vuole entrare nella nostra vita, vuole abitare la nostra povertà, fecondare le nostre sterilità, illuminare il nostro buio. La parlata dell’angelo a Maria è costituita da un rammendo di citazioni bibliche. In questo modo viene svelato alla Vergine il compimento delle antiche promesse. Ed è ciò che fa prendere coscienza a Maria del suo destino eccezionale e che a noi annuncia la vera identità del nascituro. Colui che la fanciulla di Nazaret sta per concepire è il Messia! Dio finalmente visita il suo popolo. Noi non sapremo mai come è avvenuto il concepimento, ma questo non è essenziale: dobbiamo rispettare l’intimità di una donna. Anche nella nostra vita è accaduta un’annunciazione: il Verbo vuol prendere carne in noi. Come Maria gli diciamo: «Eccomi!».

4.
La mia riflessione cambia un po’ di tono – perdonatemi – ma è necessario. Dobbiamo porci onestamente e con molto rispetto una questione di non poca importanza: se cioè la protesta, anche garbata, contro le restrizioni imposte dalle autorità (ma prima dalla nostra coscienza) in questi giorni, è animata dalla fede o non piuttosto da una religiosità che va purificata. Quello che sto dicendo non è estraneo alla spiritualità nazaretana, ad una spiritualità profondamente mariana. Attenzione a non lasciarsi catturare dal falso zelo. Questo tempo ci impone un digiuno eucaristico che per noi costituisce una novità, una novità che fa soffrire, ma purtroppo è una triste necessità in tante regioni del mondo in cui mancano i sacerdoti o non vi sono le condizioni per celebrare la Messa. Mi sovviene il pensiero alla Chiesa perseguitata; ricordo la testimonianza del vescovo Van Thuan, di come tentava di celebrare, quando gli era possibile, nelle prigioni dei Viet Cong; penso ai cristiani delle regioni sterminate di alcune zone dell’America meridionale, dove c’è un sacerdote per un territorio vasto come l’Emilia Romagna; penso sommessamente anche ai cristiani che per la loro condizione di vita familiare non possono ricevere l’Eucaristia, pur desiderandola fino alle lacrime. Stiamo assistendo ad una “domanda di Eucaristia” che è di conforto. Quasi sempre questa richiesta esprime un desiderio che è frutto di una vita spirituale intensa. Ma l’atteggiamento di alcuni, senz’altro in buona fede, ci fa comprendere che vi sono degli aspetti da mettere a fuoco. Parafraso un pensiero espresso da un mio confratello vescovo: «Nella richiesta troppo insistente dell’Eucaristia non di rado c’è fede sincera, ma non sempre matura. Si dimentica che la salvezza viene dalla fede e non dalle opere, benché sante, sicché ci si affida alle buone pratiche senza confidare in Dio, al punto da stimare i suoi doni più di Dio stesso, più della sua volontà. Come bambini si afferra avidamente il dono senza ascoltare le parole amorose di chi lo porge. Si è concentrati più sul proprio grido che sul volto di Colui che si china per ascoltarci».
Questo ci dice che c’è un grosso lavoro da fare per aiutarci tutti a cogliere il senso e la profondità del Mistero eucaristico e si possono sperare grandi frutti da una catechesi ben fatta, che faremo. Intanto però occorre ricordare che il Signore è realmente presente con il suo Spirito tra coloro che sono riuniti nel suo Nome: «Dove due o più sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20). Queste parole escono dal cuore di colui che ha detto: «Questo è il mio corpo… Prendete e mangiate» (cfr. Mt 26,26). Queste e quelle ugualmente “vere”. È presente nella Parola e continua realmente a nutrire chi la legge e la medita: «Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (cfr. Mt 4,4). Il Signore vivo si fa prossimo nel povero: «Avevo fame, mi hai dato da mangiare…» (cfr. Mt 25,31-46). Il Signore è nel desiderio stesso dei sacramenti: «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). Inoltre, ha la sua dimora in chi osserva i suoi comandamenti: «Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore» (Gv 15,10). «Voi siete i tralci, io sarò la vite. Chi rimane in me produce molto frutto» (Gv 15,5). Termineremo la celebrazione eucaristica con l’atto di consacrazione alla Madonna.