Omelia nella Solennità di San Leone a Pennabilli

Pennabilli (RN), Cattedrale, 1° agosto 2020

Gn 12, 1-4
Sal 15
Fil 4, 4-9
Mt 7, 21-27

Parlo dalla cattedra. Condivido con voi un certo disagio nelle celebrazioni solenni: le vorremmo più famigliari, ma talvolta è necessaria anche una certa formalità. Le liturgie solenni le dobbiamo vivere con quella che san Giovanni della Croce chiama la “virtù del coro”, la dodicesima stella nella Salita al Monte Carmelo. La “virtù del coro” consiste nello spossessarsi di sé, nel saper mettere da parte anche la propria sensibilità… La santa liturgia prevede questi momenti di particolare solennità, che non distolgono dal raccoglimento, dall’intimità profonda della preghiera. Non si tratta di una cerimonia, è davvero un popolo che incontra il suo Dio, che si mette davanti alla sua maestà.
Rivolgo un saluto particolare ai leontini. Oggi pomeriggio saremo nella cattedrale di San Leo per continuare la lode, il canto e il ringraziamento per il dono grande che san Leone ci ha fatto portando il Vangelo nella nostra terra. Saluto con affetto i pennesi, che sono venuti numerosi.

1.

Oggi la nostra Diocesi è in festa: onora uno dei due santi patroni e fondatori, san Leone, lo scalpellino di Arbe. Il miglior modo di onorare i santi è quello di imitarli (Erasmo da Rotterdam). Oggi noi peccatori abbiamo l’occasione di una grande riscossa nel riproporci la santità.
Per tutti – laici e presbiteri – l’invito è di riconsiderare il sacramento del Battesimo, che ci ha reso figli di Dio, fratelli di Cristo, tempio dello Spirito Santo. Frasi fatte? Dizioni formulari che sanno di catechismo? No. Sono, anzi, la mappa per la nostra preghiera di contemplazione. Basterebbe sostare su ciascuna di queste tre proposizioni, con tutto quel che ne consegue. Tutti noi siamo dei consacrati, tesori e perle di Dio: «Tu sei prezioso ai miei occhi, tu sei degno di stima e io per te svendo anche l’Egitto» (cfr. Is 43,4). Dio dona il Figlio per avere per sè questi tesori e queste perle.

2.

Permettete un caro saluto e una speciale considerazione ai presbiteri chiamati dal Vescovo ad avere un legame particolare con lui e con la cattedrale: i Canonici che, insieme, costituiscono il Capitolo della Cattedrale. Questa mattina viene completato il numero di questo “sacerdotum collegium” (cfr. CIC 503) con un nuovo presbitero, parroco della cattedrale di San Leo, il canonico don Carlo Giuseppe Adesso.

3.

Invito il canonico Carlo Giuseppe e tutto il Collegio canonicale a ripensare i criteri con i quali il Vescovo li investe nuovamente; criteri che sono indicati e che sono ripresi dal Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi (cfr. Congregazione per i Vescovi, Apostolorum successorum, nn. 155, 186, 242).
I Canonici siano esperti nella dottrina, esempio di vita sacerdotale, pastori che svolgono lodevolmente il ministero (cfr. CIC 503, 509 §2). Criteri mai acquisiti una volta per tutte, ma continuamente da maturare, soprattutto per chi è più giovane.
Il Capitolo della Cattedrale, dal Vaticano II in poi, ha acquisito un nuovo volto, se vogliamo meno funzionale e istituzionale: alcune prerogative del Capitolo sono passate ad altri organismi di partecipazione, come il Collegio dei Consultori, il Consiglio presbiterale, a cui il Vescovo è tenuto a ricorrere per ascoltarne il parere.
La natura del canonicato non è da vedersi in una prospettiva di onorificenza e tanto meno di carriera o di titolo da aggiungere al proprio nome, ma è da vedere in un’ottica di servizio. Ne tengano conto i Canonici, ma ne tenga conto anche il Vescovo che deve farsi accompagnare; per lui è un’esigenza necessaria. Il Vescovo è consapevole della sua dignità e del valore dell’imposizione delle mani per cui è diventato portatore della pienezza del sacerdozio. Tuttavia, ha bisogno di aiuto.

4.

Vediamo il servizio che i Canonici devono rendere al Vescovo.
Anzitutto, il servizio alla preghiera del Vescovo per il suo popolo. Mosè teneva le mani e le braccia alzate per l’intercessione e così il popolo avanzava nella conquista. Era pesante per Mosè stare in quella posizione. «Aronne e Cur, uno da una parte e uno dall’altra sostenevano le sue mani, così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole» (Es 17,12).  Il Vescovo ha bisogno di voi Canonici in quello che è il suo primo ministero: stare davanti al Signore per la sua Chiesa! Allora vi dico, cari Canonici, pregate con me, venite più spesso in cattedrale con me. Pregate per me.

5.

Il Capitolo della Cattedrale ha un altro servizio: rendersi disponibile ad un esercizio credibile di unità col Vescovo. Direte che è un impegno sacramentale e ontologico per ogni presbitero… Certo, ma i Canonici sono chiamati a farne una esperienza più forte ed un esercizio più costante. Devono essere un segno per tutti i confratelli! Unità affettiva ed effettiva, unità di cuore e di pensiero (il che non significa omologarsi, è l’unità di cui parla san Paolo nella 1Cor), unità esemplare, da intendersi non come entrare nella “cabina di comando” o in un conventicolo di giudizi sugli altri. Se c’è una pagina che più di tutte può accompagnarci in questa esperienza di unità è quella che ci ha lasciato sant’Ignazio di Antiochia, un’immagine che riprende più volte nelle sue lettere: «Il vostro presbiterato ben reputato degno di Dio è molto unito al vescovo – scrive agli Efesini – come le corde alla cetra». «Ciascuno diventi un coro – prosegue – affinché nell’armonia del vostro accordo, prendendo nell’unità il tono di Dio, cantiate ad una voce sola». E aggiunge: «Nessuno si inganni: chi non è presso l’altare (l’altare dove celebra il Vescovo), chi non partecipa alla riunione, è un orgoglioso e si è giudicato. Sta scritto: “Dio resiste agli orgogliosi”. Stiamo attenti a non opporci al vescovo per essere sottomessi a Dio» (Ad Ef IV,1; V,1). Dunque, lievito di unità e lievito di fraternità, per l’intero presbiterio: esperienza reale e consapevolezza di questa missione. Non dice forse il Vangelo che un pizzico di lievito fa fermentare tutta la pasta (cfr. Mt 13,33)?

6.

Un’altra prerogativa ancora. Il sacerdotum collegium è deputato ad essere e a farsi canto. Non alludo alle eventuali prestazioni canore dei Canonici, ma indico un atteggiamento: essere per la lode alla maestà divina. È proprio del Capitolo della Cattedrale – almeno in qualche circostanza – intonare la Liturgia delle Ore, a nome e ad esempio di tutto il popolo di Dio, popolo sacerdotale. Del resto, i Padri non chiamano talvolta il Cristo stesso Canticum Patris?
Ancora sant’Ignazio di Antiochia: «La Chiesa è come un coro: il vescovo presiede i suoi concerti che, simili ai concerti dei Cieli, non tacciono né giorno, né notte (Ad Ef 4,1). Ignazio allude alle assemblee liturgiche, ma nello spirito del grande vescovo, le assemblee liturgiche sono esse stesse il simbolo di un altro concerto, più intimo e più vasto nello stesso tempo, «il concerto della carità unanime nel quale – continua Ignazio – si canta Gesù Cristo». Te per orbem terrárum sancta confitétur Ecclésia!
Ci può essere in qualche nostra reminiscenza seminaristica un ricordo curioso e talvolta lugubre della riunione dei Canonici. Ma quando questo concerto risuona, in verità sprigiona un fascino irresistibile. La Casa di Dio si costruisce cantando: «Cantando aedificatur Ecclesia» (Sant’Agostino, D 27,1). Le pietre vive si adunano, si organizzano, si intonano invitandosi reciprocamente alla gioia: «Congaudentes jubilemus/ harmoniae novum genus/ concordi melodia;/ deponamus vetus onus/ dulcisque resultet sonus/ ex nostra concordia» (antico Inno per la liturgia della Dedicazione della Chiesa citato da Henri de Lubac in Meditazione sulla Chiesa, c. VI, pp. 231-32, Ed. 2014). «Giubiliamo di comune gioia, concordi nella melodia di un nuovo genere di canto; deponiamo il vecchio peso e un dolce suono cantiamo per la nostra concordia».

7.

Allora, traboccando dalla comunità riunita nella cattedrale, la carità si diffonde al di fuori. Essa «vuole cantare con tutta la terra» (Sant’Agostino, D 33, 5). Qui sta la grande forza della testimonianza della Chiesa. Questo è il suo trionfo. Ci sono altre battaglie, altri trionfi… Ma il primo è sicuramente quello di colmare il popolo dell’amore di Dio. Quel trionfo che noi siamo troppo inclini a concepire secondo prospettive umane. È il trionfo che la Chiesa ottiene nello Spirito, quando si abbandona al suo soffio. È la gloria che essa irradia quando appare come la “Donna vestita di sole” (cfr. Ap 12,1).
Santità, canto, bellezza, gioia, missione: realtà tutte collegate e da collegare!
Così sia.