Omelia nella Solennità di Tutti i Santi

Pennabilli (Cattedrale), 1 novembre 2018

Ap 7,2-4.9-14
Sal 23
1Gv 3,1-3
Mt 5,1-12

(da registrazione)

La Prima Lettura è una pagina impegnativa tratta dall’Apocalisse, un libro di profezia per capire la storia, pieno di immagini. L’Apocalisse scrive di angeli ai quali è dato il potere di «devastare la terra»; effettivamente la storia ci appare caratterizzata da cuori assediati dal male, innocenze deturpate, coscienze ambigue, alleanze infrante, orizzonti oscurati, ingiustizie celate e ipocrisie palesi… Tuttavia – questo è il messaggio centrale dell’Apocalisse – c’è un angelo che sale da Oriente, che grida la fine di questa devastazione. Il compito di questo angelo è imprimere sulla fronte degli uomini il sigillo di Dio: un tau. Il tau è una lettera dell’alfabeto ebraico a forma di croce. Gesù un giorno dirà che ogni discepolo deve portare il tau, cioè la croce. Chissà se Gesù non alludesse tanto al suo supplizio sulla croce, ma al compiersi di una pagina del profeta Ezechiele, il profeta sfortunato (come spesso accade ai profeti) che deve assistere alla distruzione di Gerusalemme. In visione scorge uno scriba vestito di bianco mandato da Dio a perlustrare la città e a mettere il segno del tau sulla fronte di quelli che in questa dissoluzione, nonostante tutto, continuano ad avere fiducia in Dio: «Uomini che sospirano e piangono per tutti gli abomini che vi si compiono» (Ez 9,4). Probabilmente Gesù pensava davvero a questa pagina del profeta Ezechiele. Ma il numero dei salvati di cui parla l’Apocalisse è 144.000, un numero iperbolico (12 per 12 per 1000), un po’ come le stelle che Abramo aveva l’incarico di contare (cfr. Gn 15,5), tanti sono coloro che vengono salvati da questa devastazione. Detto in termini più semplici è il trionfo della grazia, dell’amore del Signore, della prossimità efficace di Dio, dono soprannaturale che supera le umane capacità percettive. Eppure la grazia trasforma l’uomo, rendendolo figlio di Dio, fratello di Gesù, dimora dello Spirito Santo.
Oggi è il giorno dei santi, e il nostro sguardo punta dritto sull’Agnello, l’Agnello immolato di cui parla l’Apocalisse (cfr. Ap 14,1). Da lui scendono fiumi di vita, colate di Cielo che ci avvolgono, ci trasformano, ci fanno santi. Allora si accorciano le distanze, viene esaudita l’invocazione dei discepoli: «Padre, sia festa la tua volontà, come in cielo così in terra» (cfr. Mt 6,10). La terra e le stelle esauriranno le loro scorte, questo mondo finirà, ma la fine della mondanità è segnata da un’altra unità di misura: avanza il Regno di Dio, la signoria di Dio. Quando due o tre sono uniti nel nome di Gesù questa signoria è già instaurata, presente (cfr. Mt 18,20). Quando si offre e si accoglie il perdono il nuovo già germoglia. Quando si vincono le seducenti tentazioni del male, si assapora già la gioia vera: le beatitudini!
Ci sono santi canonizzati; nell’urna esposta possiamo vedere le reliquie di santi martiri raccolti nelle catacombe. Quando si fonda una chiesa e si pone in essa un altare, occorre – è un uso antichissimo dei primi cristiani – mettervi le reliquie dei martiri e dei santi. Tanti sono i santi canonizzati. Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco ne hanno canonizzati molti: bisogna aggiungere pagine al Messale! Questo è un segno fortissimo in un momento in cui la Chiesa sta soffrendo per scandali ed esempi cattivi. E invece in tutti i continenti crescono grappoli di santità. Poi, ci sono miliardi di santi che non vengono canonizzati, non diventano famosi, non vengono posti nelle nicchie, non appaiono nei dipinti dei grandi artisti, ma sono autentici testimoni della santità. E – quel che vale – sono notissimi a Dio.
Lunedì 9 aprile scorso è stata pubblicata la terza esortazione apostolica di papa Francesco dal titolo “Gaudete et exsultate”. Sono due parole che appaiono nel Vangelo delle beatitudini, in particolare nella beatitudine legata ai perseguitati, a quelli che patiscono per la fede. Gaudete et exsultate: godete e siate nella gioia. La lettera del Santo Padre ha come argomento la chiamata alla santità nel mondo contemporaneo. La santità – afferma papa Francesco – va cercata nella vita ordinaria, tra le persone a noi vicine. Può accadere che un laico incontri i santi nel luogo di lavoro; un vescovo ne incontri nelle sue visite pastorali; un parroco nella benedizione delle famiglie; il Papa nella Curia Romana… La santità non va cercata in modelli ideali, astratti, sovrumani. Anche se ci sono santi difficilmente imitabili, come San Francesco d’Assisi o come San Pietro d’Alcantara (addirittura criticato da Santa Teresa d’Avila per l’asperità delle sue penitenze). Essi sono icone, modelli di cui dobbiamo imitare lo spirito, ma non dobbiamo copiare i loro modi di fare. Papa Francesco fa comprendere come la santità non sia frutto dell’isolamento, ma si sperimenti nel corpo vivo del popolo di Dio. Quindi invita a non cercare vite perfette, senza errori. Anche i santi hanno le loro caratteristiche, i loro piccoli difetti di carattere. I santi sono persone che, anche tra imperfezioni e cadute, hanno continuato a credere e a fidarsi. Così sono piaciuti al Signore. La Beata Angela da Foligno in una sua esperienza mistica trascritta dal direttore spirituale si rivolse a Gesù con queste parole: «Perché devo sempre cadere e rialzarmi, perché non mi fai santa subito?». Gesù le ha risposto: «Angela, mi piaci così, quando cadi e ti rialzi». Possiamo tutti diventare santi, dobbiamo coltivare questo desiderio. La santità mette insieme umiltà e grandezza; si può applicare ad un lavoratore normale, a una nonna o a un papa: è la stessa santità. Auguri!