Omelia nella V domenica di Pasqua

#FlashdiVangelo, 2 maggio 2021

At 9,26-31
Sal 21
1Gv 3,18-24
Gv 15,1-8

«Rimanete in me e io in voi». Tempo fa ho saputo di un ragazzo di buona famiglia che ha combinato dei guai e si è trovato in carcere. Oltre al dispiacere per sé, soffriva molto per aver disonorato la sua famiglia. Ha pianto, ha chiesto perdono e di tanto in tanto scriveva ai famigliari chiedendo: «Mandatemi un segno che mi avete perdonato». Una volta arrivò una lettera. La aprì. Era molto emozionato. Vide che dentro c’era una fotografia di famiglia e si accorse che da essa era stata ritagliata la sua immagine… Quel ragazzo, in seguito, ha avuto molti problemi per il senso di abbandono che provava. Dio non elimina nessuno dal suo cuore. Siamo scritti sul palmo della sua mano, come dice il profeta Isaia (cfr. Is 49,16). Siamo parte di lui e tutto quello che siamo viene da lui, da quella linfa vitale che da lui fluisce dentro di noi, come tralci di una vite.
Mi indispettisco, talvolta, perché mi sembra di non farmi capire quando parlo della bellezza di essere tralci uniti alla vite che è il Signore Gesù. Ad esempio, parlo di vita di fede e si capisce “pratica religiosa”, oppure insisto nel dire “dimensione spirituale” e si capisce qualcosa che cava fuori dal tempo, dallo spazio, dalla vita normale di tutti i giorni; oppure parlo di portare frutti buoni e subito si pensa alla morale. Invece, vorrei far capire di più questo dono che chiamiamo grazia, grazia perché non è merito nostro. Gesù sottolinea: «Senza di me non potete far nulla». È lui che ci porta. In un’altra parabola il Signore dirà: «Che dorma o che vegli il seme cresce da sé, per la forza che ha dentro» (cfr. Mc 4,27): stando all’allegoria della vite, per la linfa che scorre nelle radici e nel tronco. La grazia è un dono straordinario che ci fa persuasi che siamo davvero figli, ma non per modo di dire, perché siamo creature: abbiamo veramente contratto una figliolanza. Gesù è fratello. Lo Spirito vive in noi. Tutto quello che facciamo, in qualche modo, è come se fosse fatto dal Signore. Solo una cosa può toglierci da questa dinamica di vita: il peccato. Ma, proprio perché il Signore non cancella il nostro volto, abbiamo sempre la possibilità di ricominciare. Mi piace molto, in questa allegoria, l’immagine di un Dio contadino che lascia da parte il suo scettro e prende in mano la zappa per farmi crescere. Non sta sul trono, ma si siede sul prato e guarda la sua vite, i suoi tralci, con fierezza. Mi piace pensare che in Gesù quel vignaiolo si è fatto vite, è una cosa sola con me. Allora penso che non devo aver paura di lui, anzi devo essere fiero: lui crede in me.
La potatura non è amputazione. Si pota per purificare, si pota per rafforzare. Il Risorto sogna che la sua vite si espanda sul mondo intero, lo abbracci intero e vuole che ogni tralcio porti dei segni di amicizia, di condivisione, di giustizia.
Racconto un episodio semplice, come è gran parte delle nostre giornate, ma vale soprattutto per le decisioni più importanti. Ieri una persona mi ha accompagnato in auto a Novafeltria. Arrivati ad un semaforo, ho visto che quella persona ha frenato ed è andata un po’ in dietro. Mi sono lamentato perché avevo molta fretta. Aveva visto un’auto che stava per immettersi sulla via principale e ha pensato di fargli posto, visto che c’era una lunga fila al semaforo. Il guidatore, quando ha capito che gli era stato ceduto il posto, si è illuminato. Avrà pensato che la sua giornata era cominciata bene… Tanto buonumore è stato liberato da un semplice atto di amore. Se restiamo in Gesù, se restiamo innestati come tralci nella vite, faremo tantissime esperienze di questo tipo. «Rimanete in me»: dobbiamo proporci di rimanere nella sua Parola, ascoltarla, maturarla dentro. «Io in te, Gesù, tu in me»: una cosa sola.


Perticara (RN), 2 maggio 2021

At 9,26-31
Sal 21
1Gv 3,18-24
Gv 15,1-8

S. Cresime

Una di voi, Martina, ha letto una pagina molto appropriata sulla Cresima: c’è la storia del vostro cammino fino a questo giorno, grazie al vostro parroco e grazie alle vostre catechiste; poi c’è il vostro presente, con quello che accadrà fra poco: lo Spirito Santo scenderà su di voi e imprimerà il suo sigillo (oggi si direbbe il suo tatuaggio!), un segno indelebile e invisibile, ma che tocca e rimane nella struttura profonda della vostra persona.
Ammaestrato dagli antichi Padri della Chiesa preferisco parlare di un “bacio”, perché un bacio dice tutto, più di una enciclopedia: dice l’amore di Dio per ciascuno di noi. Del resto, lo Spirito non è raffigurabile se non attraverso delle metafore o delle allegorie. Un bacio è muto: quando baci non puoi parlare; nello stesso tempo il bacio è eloquentissimo, perché con esso dici: «Tu sei vita della mia vita, respiro del mio respiro».
Oggi il Signore Gesù, presente risorto in mezzo a noi, vi dona il suo Spirito. E lo Spirito effonde su di voi i suoi sette doni, ma, in realtà, si tratta di un unico dono con sette diverse sfumature. Come avete giustamente raffigurato voi, l’unica fiamma, l’unico amore, ha sette riverberi diversi. L’amore è sapienza in senso etimologico, cioè è ciò che dà sapore, gusto al nostro vivere. Quando facciamo le cose per amore, anche le più ardue, oppure quelle noiose e ripetitive, sono riscattate. L’amore riscatta fatica, noia, stanchezza, frustrazione, dà sapore. Il dono dell’intelletto è l’amore che va in profondità, che non si ferma a quello che appare esternamente. Il dono del consiglio è l’amore che sa scegliere quello che è più giusto, più utile, più necessario. Il dono della scienza è l’amore che sorregge nella fatica di imparare, che rende curiosi di sapere. Il dono della fortezza è l’amore che sa resistere, che va all’attacco con una sana e giusta aggressività, intraprendenza, coraggio davanti alle difficoltà, e che è anche pazienza. Il dono della pietà è l’amore che sa manifestarsi. L’evangelista Giovanni, nella Seconda Lettura invita ad amare non «a parole, ma con i fatti», potremmo dire “con i muscoli”, compiendo cose concrete. Un esempio. Ieri una persona mi ha accompagnato in auto a Novafeltria. Avevo molta fretta e c’era una fila infinita ad un semaforo. Questa persona, dopo avere frenato dietro le altre auto, ha inserito la retromarcia ed è andata indietro… Lì per lì mi sono lamentato perché temevo di perdere tempo. Non mi ero accorto che aveva visto un’auto che stava salendo da una strada laterale e si è preoccupata che, a causa della lunga coda di automobili, non riuscisse ad immettersi nella strada principale. L’autista dell’auto che saliva dalla strada laterale, quando ha capito che gli era stato ceduto il posto, si è illuminato. Avrà pensato che la sua giornata era cominciata bene… È stato un atto d’amore. Dunque, la pietà è l’amore che si manifesta concretamente. Infine, c’è il dono del timor di Dio, che non è la paura di Dio, ma l’amore che non vuole perdere l’Amato.
A proposito di amore e di Amato, riprendo il brano di Vangelo proclamato poco fa. Si tratta di un’altra allegoria che Gesù adopera per dire chi è Lui. Domenica scorsa ci aveva detto che è il Pastore vero, ora dice: «Io sono la vite, voi i tralci». Gesù dice questa allegoria durante l’Ultima Cena, quando sta per congedarsi dai suoi discepoli. Dunque, sono parole da ascoltare profondamente, come le ha ascoltate colui che ha reclinato la sua guancia sul cuore di Gesù, l’evangelista Giovanni, il più giovane del gruppo. Da quella postazione speciale ha sentito queste parole: «Rimanete in me». Nella pericope evangelica, appena otto righe, per sette volte incontriamo il verbo rimanere. Di lì a poco Gesù sarà abbandonato da tutti, persino da Pietro che gli aveva detto: «Ti seguirò dovunque tu vada…» (Lc 9,57). E Gesù: «Quando il gallo avrà cantato due volte, mi avrai già rinnegato tre volte». È stato così.
«Rimanete in me». Rimanere, dimorare, indica dove si può restare e “fare casa” con una persona. Già all’inizio del Vangelo due dei discepoli avevano chiesto: «Dove abiti? Dove dimori?» (cfr. Gv 1,38). Come dire: «Dove vai a dormire?». «Rimanete in me, come tralci uniti alla vite». È la linfa che unisce il tralcio alla vite. La linfa, che non è frutto del tralcio, è puro dono: è la grazia. Essere nella grazia significa essere nell’amore, nella linfa; essere una cosa sola con il Signore. Da notare: il tralcio da solo non può far frutti, ma neppure la vite. La vite ha bisogno dei tralci! Sembra che il Signore dica che ha bisogno di ognuno di noi, vuole che siamo tutt’uno con lui, che dentro di noi accada l’alchimia che trasforma la linfa in frutti. Il Signore vuol dirci: «Ho creato un mondo e vorrei che fosse nell’armonia e nello splendore». Si completerà nel cielo, ma fin da adesso deve essere «in terra come in cielo». Il Signore dice a ciascuno: «Tralcio, porta frutti! Ho bisogno di te. Trasforma il dono che ho messo nel tuo cuore in possibilità di altra vite». Il Signore vorrebbe che la sua vigna abbracciasse il mondo intero.
Cari ragazzi, quand’ero bambino volevo fare il missionario perché ero cresciuto con questa idea: Gesù doveva essere conosciuto da tutti. A quel tempo si parlava molto della Cina come continente promettente di una nuova fioritura di cristiani. Facevo per loro tanti piccoli sacrifici. Ero felice quando ero in grazia di Dio. Qualche volta venivo sorpreso dal pensiero: «Sono un tralcio di Gesù!». Ricordo che di tanto in tanto ero sorpreso da questo pensiero: quello che sto facendo è come se lo facesse Gesù. E se qualche volta accadeva di fare un peccato, ero triste. Allora andavo da Gesù e tornava la gioia.
Vi auguro di essere sempre luminosi come oggi, pieni della linfa del Signore, perché portiate frutto. Anche un bicchier d’acqua offerto per amore davanti a Dio diventa una cosa grande. «Voglio rimanere in te, Gesù. Tu in me e io in te». Così sia.