Omelia nella VI domenica del Tempo di Pasqua

San Marino Città (RSM), chiesa di San Francesco, 17 maggio 2020

At 8,5-8.14-17
Sal 65
1Pt 3,15-18
Gv 14,15-21

Come ci è stato ricordato all’inizio della celebrazione eucaristica, oggi il Vangelo ci mette nell’atmosfera dell’Ultima Cena. Gesù è consapevole di quello che sta per succedere, gli Apostoli un po’ meno… ma sono gravati da un certo clima di mestizia. Gesù conforta, consola gli Apostoli. Qualcuno potrebbe farsi una domanda: «Come si fa a consolare mettendo avanti la necessità di osservare i comandamenti?». Non si consola segnalando i doveri, semmai offrendo compagnia. In verità, Gesù non raccomanda l’osservanza di comandamenti; inizia questa parte del discorso semplicemente con una constatazione: «Se mi amate, osservate i miei comandamenti» (cfr. Gv 14,15). Nel contesto è tutt’altro che una ingiunzione o un ricatto, è un’affermazione: «Se mi amate, entrate in questa dinamica che io vi propongo… ». La parola “amore” è un po’ consumata, a volte abusata. Fino a questo punto del Vangelo Gesù non ha chiesto amore verso di sé; anzi, ha chiesto ai discepoli che si amino tra loro come lui ama. Ha chiesto e ha indicato l’amore del Padre, ma non per sé. Adesso lo chiede. «Se farete questo passo, se entrerete in questa logica – dice – vi troverete dentro ad un “ambiente divino”, ad una esperienza nuova». A tutti noi è capitato, quando ci siamo messi ad amare, di far risplendere il sole nelle nostre anime; tutto si è caricato di luce, di calore, di gioia. È un’esperienza possibile a tutti, perché chi ama è in Dio. Penso alle nostre giornate; ci capita di vivere momenti di buio, di oscurità, per tanti motivi. Se riusciamo ad uscire da noi stessi, dal guscio del nostro ripiegamento, troviamo la via d’uscita, quella che non pensavamo. Altre volte siamo sotto il peso della nostra inadeguatezza; ad esempio sei una mamma o un papà, un insegnante o un sacerdote e ti senti impari rispetto a quello che ti è chiesto. Ama. Su questo puoi contare, di amare sei capace, siamo fatti per amare. Così anche quando sentiamo le conseguenze di un errore, di uno sbaglio che abbiamo fatto, in quel momento se ci mettiamo subito fuori da noi stessi per amare, possiamo ricominciare. Ricominciare sempre. Quando Gesù parla dei comandamenti non si riferisce tanto ai comandamenti di Mosè; quelli sono universali e sono sempre da osservare. Gesù parla della sua logica, della sua mentalità. Parla di sé in fondo. In un altro punto dirà: il comandamento “mio” e “nuovo” (cfr. Gv 13,33). Il comandamento è lui, la sua persona: «Io sono la via, la verità e la vita. Se mi amate, vivrete come me, vivete in me, vivete me» (cfr. Gv 14,6). Possiamo vivere Gesù. Una frase di sant’Agostino che spesso viene citata è: «Ama e fa’ ciò che vuoi». Va capita bene, mettendola nel contesto. Sant’Agostino, in quella pagina, riferisce delle nostre incertezze, delle nostre scelte, dei bivi davanti ai quali tante volte ci troviamo: «Devo parlare o è meglio tacere? Devo andare o è meglio restare?». Sant’Agostino dice: «Tu hai il criterio fondamentale del discernimento. Se ami, se veramente nella tua coscienza senti che sei “fuori di te”… fa’ quello che vuoi, perché se ami veramente non puoi fare del male».
Poi, Gesù parla di un intrecciarsi di relazioni, quasi un “avvitamento”. Sembra un gioco di specchi: noi in lui, lui in noi, il Padre in lui e in noi, noi e Gesù nel Padre. C’è una spirale e tutti siamo dentro, immersi, uniti: un circuito d’amore. Gesù sta per fare una grande rivelazione: osa l’avventura dell’amicizia. L’amico dice tutto. Molti ammirano Gesù come Maestro, molti ne hanno una grande considerazione per il patrimonio che ha lasciato all’umanità. C’è chi lo adora ed è giusto. Ma tanti restano al di qua. Guardano Gesù come si guarda un esempio, ma non si lasciano catturare dalle sue parole, che invitano ad entrare nella relazione trinitaria. Qui Gesù rivela che Dio è Trinità d’amore: Padre, Figlio e Spirito Santo. Tante volte pronunciamo questi nomi: ogni volta in cui facciamo “il segno della croce”, il segno che ci unisce come cristiani. Nominiamo il Padre toccando la fronte, nominiamo il Figlio quando la mano scende sul petto e lo Spirito Santo quando tocchiamo le spalle. Gesù rivela la presenza dello Spirito Santo, lo chiama Paraclito, avvocato. Talvolta in parrocchia parlavo della Trinità e un amico ogni volta mi diceva: «Sono concetti troppo teologici…» e intendeva astratti. Ma la nostra fede è tutta racchiusa qui: essere ammessi a partecipare alla vita di “quei tre” e avere anche un rapporto differenziato con loro. È lo stesso Dio, un solo Dio ma in tre Persone. Le rende una cosa sola l’amore, un amore infinito, un amore “da Dio”. Ognuno è perduto nell’altro. Questa non è pura contemplazione astratta, misticismo, perché ha delle conseguenze formidabili. Anche noi siamo stati pensati, costruiti, creati con questo criterio. Anche per noi la vita è piena quando è vita di relazione, quando ci superiamo per uscire da noi stessi ed amare. Se uno studia un po’ di teologia spirituale si imbatte nella testimonianza dei grandi mistici. I grandi mistici sono stati dei grandi imprenditori, dei grandi costruttori. Teresa d’Avila vede la vita cristiana come un castello meraviglioso. La settima stanza, l’ultima, è quella dell’intimità gioiosa con lo Sposo, il Signore. E conclude dicendo: «È il momento in cui la persona che è arrivata lì compie opere ed opere». Domani ricorderemo i cento anni della nascita di san Giovanni Paolo II. Quando venne nella mia città restammo sorpresi di come pregava e come trascinava tutti noi nella preghiera, ed era un uomo sicuramente non fuori dal mondo, non campato in aria.
Vi auguro una buona settimana. In Italia sarà la prima della fase 2, mentre a San Marino la stiamo già vivendo. Fase rischiosissima, ma noi per la carità e l’amore reciproco cercheremo di osservare tutte le precauzioni. La distanza tra noi è per essere più uniti, è un atto d’amore concreto, un servizio che facciamo alla nostra comunità.