Omelia nella XIV domenica del Tempo Ordinario

Maciano (RN), 2 luglio 2022

Trigesimo di mons. Maurizio Farneti

Is 66,10-14
Sal 65
Gal 6,14-18
Lc 10,1-12.17-20

Ringrazio i sacerdoti che concelebrano con noi questa sera: don Paolo, padre Liam, don Giorgio, don Pier Luigi.
Quando abbiamo celebrato il Rito funebre per don Maurizio ci trovammo di fronte ad una pagina del Vangelo di Luca: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto» (Gv 12,24-26). Questa sera il Vangelo si è aperto mettendoci davanti un campo pieno di spighe, una messe abbondante. Il Signore ci ha detto che quella messe è sua, perché sa fare risurrezione di tutti i chicchi di grano caduti per terra che hanno accettato di morire. Promessa mantenuta! Dalla vicenda di don Maurizio e da quella di tanti dei nostri cari alziamo lo sguardo e consideriamo quanto è grande la sofferenza che è nel mondo: per tutti i sofferenti nel corpo e nell’anima la nostra preghiera.

Don Maurizio ci ha lasciato una scia di luce con la sua fede cristallina e il suo cuore sacerdotale. Lo ricordiamo così, nel dolore che lo ha tanto provato, ma anche nella luce che viene da Gesù Crocifisso. Solo Dio sa che cosa ha prodotto e produce il sacrificio del suo sacerdote e quello di ogni chicco di grano che cade per terra. San Paolo è arrivato a dire: «Nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo» (Gal 6,17). Non erano probabilmente i segni della Passione come quelli portati da san Francesco o da padre Pio o da altri santi… Comunque si tratta di sofferenze vissute con Cristo. Le radici della pianta che sta nel giardino sono aggrovigliate, ma nella tensione verso il sole; le radici sono le difficoltà che incontriamo nella vita, con i suoi alti e bassi, con i momenti di gioia e i momenti di malattia; la tensione verso l’alto ci ricorda la vocazione comune verso Dio, quel Dio che in Gesù si è fatto fratello nostro. Gesù ha sofferto come noi, più di noi, e ha seminato gioia e speranza. Questa sera, Signore, ti chiediamo di saperti ascoltare e di imparare da te a vivere, amando sempre, amando tutti, amando per primi, facendoci fratelli, solidali con la sofferenza di tutti. Le prove della vita sono tante, ma sono anche una pedana di lancio per guardare in alto e sentire la gioia di vivere la tappa terrena. «Un corpo mi hai dato – il famoso chicco di frumento di cui parla Gesù – […] Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,5.7): sono le parole che l’autore della Lettera agli Ebrei mette sulle labbra del Messia nel suo entrare nel mondo. «Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà: la compio nel mio corpo, con il mio corpo, attraverso il corpo che mi hai dato».

Penso alla testimonianza che ci ha dato don Maurizio; penso alla vocazione che tutti noi abbiamo scritta nel nostro corpo: siamo chiamati ad assumere la responsabilità del dono del corpo che ci unisce ai fratelli e alle sorelle. Ci uniscono anche le anime, certo, ma il modo umano di essere in relazione, di essere uniti è quello attraverso il corpo. Il corpo, di per sé, vibra di vita, di relazione. Anche il corpo tende all’alto! Con il corpo esprimiamo i sentimenti, nel corpo si registra immancabilmente il passare del tempo (prova ne sono le rughe e gli acciacchi…), il corpo si piega e cade sotto il peso del tempo e della sofferenza. Gesù, nei giorni della sua vita terrena, con il corpo ha potuto esprimere la sua lode a Dio, innalzando le mani, gli occhi, benedicendo; ha espresso il suo amore per tutti i fratelli, ha lavorato, ha parlato, ha sofferto fino a dare la vita sulla croce, versando il sangue, unendosi alla sofferenza di tutti. Solo con il corpo ha potuto farlo. Gesù ha pianto per la morte di Lazzaro, ha pianto su Gerusalemme, ha pianto e sudato sangue nel Getsemani, davanti alla Passione. E, aggiunge l’autore della Lettera agli Ebrei: «Proprio per questo, nei giorni della sua vita terrena, egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte ed è stato esaudito per la sua pietà» (Eb 5,7). Voi direte: «Però è stato crocifisso…». L’esaudimento è stata la risurrezione: risurrezione nella morte!
Il pianto è il segno del dolore che viviamo per il distacco dalle persone care. Dio, che è Amore, ci aiuti a vivere questa e ogni altra sofferenza; sappiamo che la risurrezione di Gesù sarà un giorno anche la nostra. Così sia.