Omelia nella XX domenica del Tempo Ordinario

Santuario della Madonna del Faggio, 19 agosto

Camminata del Risveglio

Pr 9,1-6
Sal 33
Ef 5,15-20
Gv 6,51-58

(da registrazione)

1.

Qualche giorno fa abbiamo celebrato la solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, assunta in Cielo in anima e corpo. Un tributo di onore alla Madre del Signore, un privilegio per la prima dei redenti, ma anche una promessa e un segno di sicura speranza per tutti. Noi non siamo angeli, siamo esseri umani, unità di corpo e anima. Ciò sia detto contro ogni forma di spiritualismo che nega la chiamata del corpo alla santità. Talvolta, anche in certe tradizioni o movimenti di pensiero, il corpo è stato visto come fonte del peccato, del male, dimenticando quello che ha detto Gesù: «Non è quello che entra nel corpo che contamina l’uomo, ma è quello che esce dal suo cuore» (cfr. Mt 15,11). Sono le intenzioni, i pensieri cattivi che portano a usare in modo sbagliato la corporeità. Questo va detto anche per le forme di spiritualità disincarnate che vedono nel corpo e nella corporeità soltanto un accessorio, addirittura un ostacolo. Ma noi andiamo a Dio con il nostro corpo (ricordate la grande lezione di san Giovanni Paolo II, le sue catechesi sul corpo). E andiamo a Dio insieme agli altri umani, corporei come noi, formando un popolo che cammina nel tempo. Ci santifichiamo con il nostro corpo. Attenzione: non dico “nonostante” il nostro corpo, perché il corpo ci consente di vivere la relazione con il dono di noi stessi. Pensate, ad esempio, all’esperienza coniugale, dove l’uomo e la donna vivono l’uno per l’altra e manifestano il loro amore attraverso i segni che lo esprimono. Ma questo vale per tutti. Vale anche per il Vescovo che, quando passa in mezzo a voi recando la benedizione da parte di Dio, lo fa non soltanto col pensiero, ma con i gesti che la liturgia suggerisce. Pensate al significato di un bacio. Il bacio esprime e sintetizza più di tutto quello che potrebbe dire un’enciclopedia intera. Paolo arriva a dire: «Fratelli, offrite i vostri corpi al Signore come sacrificio vivente a lui gradito» (cfr. Rm 12,1).

2.

Nella liturgia di oggi ci viene dato di contemplare un Dio che si è incarnato, si è fatto corpo. Il nostro non è un vago teismo, come quando si dice: «Ma sì, un Dio ci sarà pure…». No, Dio ha preso un volto umano: Gesù di Nazaret. Paolo dice che il Signore, entrando nel mondo, prega con il Salmo 40: «Un corpo mi hai dato e allora io ho detto: “Ecco io vengo… per fare, o Dio, la tua volontà”» (Eb 10, 5-7; cf. Sal 40, 7-9). Perché il Signore ha voluto assumere un corpo per redimerci? Perché è venuto a salvare uomini, non angeli; è venuto per amare con cuore umano, ha voluto provare quello che provano gli umani. «È Dio, lo sapeva…», si potrebbe pensare. Ma un conto è sapere, un conto è provare. Il Signore ha voluto soffrire; sapeva cos’era la sofferenza, ma un conto è sapere che cos’è e un conto è soffrire. Gesù ha potuto dire a una grande mistica: «Guarda se in me non vedi altro che amore» (Angela da Foligno, Memoriale, IV, 193), e ha potuto squadernarglielo davanti. «Non i chiodi mi tengono sospeso sulla croce, ma il mio amore per te». Allora le mani, i piedi, il grembo, il volto, tutto diventa il nostro modo di “essere per”. Il dono, l’amore, la dedizione, la cura, si esprimono attraverso le nostre mani, attraverso carezze e baci, attraverso ascolto e veglia…

3.

Dobbiamo fare un terzo passaggio. Il primo è stato considerare la nostra corporeità come un grande dono: onore alla nostra corporeità. Anche il rispetto che abbiamo manifestato alla reliquia di San Pio da Pietrelcina era per sottolineare questa convinzione. Il secondo passaggio è stato considerare che il Signore ha voluto incarnarsi, ha voluto assumere un corpo. Vero Dio, vero uomo. Ma c’è un ultimo passaggio: Gesù fa del suo corpo un cibo. A volte lo diamo per scontato, ma è una consapevolezza da rinnovare sempre: pane che diviene corpo da mangiare, vino che diventa sangue da bere. «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue…» (Gv 6,56). Se prima Gesù, fino al versetto 52, parlava di sé come pane – «la mia persona per voi è pane» (cfr. Gv 6,35) – da questo versetto in poi parla dell’Eucaristia. Otto volte viene detto il concetto del «mangiare la carne…». Farsi pane è come un bisogno incontenibile di Dio, un Dio che non domanda ma offre, si offre con il corpo e si offre come nutrimento. Mangiare, bere… Quando si mangia si assimila, ci si trasforma in quello che si mangia, si diventa quello che si mangia. Consentitemi un confronto. Nella cultura greca la parola, la cifra che riassume tutto l’umano e la sapienza è il pensiero. È un dono anche per noi considerare così il pensiero. Nella grande esperienza spirituale dell’Oriente, la cifra sintetica dell’umano è il respiro. Nel cristianesimo la parola sintesi è mangiare, che significa assimilare. «Se tu mi accogli, mi mangi, ti trasformi in me», dice Gesù. Come Gesù, «luce da luce, Dio da Dio, Dio vero da Dio vero»: questa è la nostra vocazione, la nostra chiamata.
Consideriamo allora la bellezza, la centralità dell’Eucaristia nelle nostre comunità. Mi sono commosso più volte alla consacrazione delle monache dell’adorazione eucaristica. Domanda: la ragazza che si consacra “spreca” la sua vita per stare davanti ad un pezzo di pane? Al contrario, aiuta a destarci dall’ignoranza, dal torpore, dall’indifferenza nostra e delle nostre assemblee verso l’Eucaristia.
Qualche tempo fa un giovane mi ha confidato il suo desiderio di fare il prete. «Per Gesù», ha detto. Mi ha sorpreso che abbia detto «per Gesù», perché ho conosciuto molti ragazzi che desiderano impegnarsi nel fare volontariato, nell’aiutare i poveri… Il secondo pensiero che ha attraversato la mia mente nell’accogliere quel desiderio è che grazie a quel ragazzo ci potrà essere ancora l’Eucaristia. Gesù ha dato al sacerdote il potere di “fare” l’Eucaristia: quello è il suo compito ed è un compito dolcissimo. Il prete “mette al mondo Gesù” quando pronuncia le parole della consacrazione: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo» (Mt 26,26); in quel momento accade che, nelle sue mani, quel pane diventa la persona di Gesù. Per farlo accadere varrà la pena che un uomo spenda la sua vita? Secondo me sì!