Omelia nelle Esequie di don Giorgio Mercatelli

Pietracuta, 21 agosto 2018

Ap 21,1-5a.6b-7
Sal 22
Lc 23,33.39-43

Sarai con me

«È un prete molto buono», sussurro ad una signora che sta assistendo il marito, vicino di letto di don Giorgio. Don Giorgio in quel momento è assopito. La signora replica prontamente: «Lo vedo bene. C’è sempre gente che viene a trovarlo. Anche dei giovani».

1.

Carissimi, volete molto bene a don Giorgio e glielo dimostrate. Anche lui ve ne voleva e continuerà a volervene dal Cielo. Ecco il cuore di un prete, un cuore casto che ama senza trattenere, che custodisce gelosamente il segreto del suo Amore. Di quel cuore hanno goduto i parrocchiani di Mercatale per diciannove anni; per diciassette i parrocchiani di Macerata Feltria e poi ne avete goduto voi di Pietracuta e di San Leo; sempre noi, famiglia presbiterio.
Tanti, più di me e meglio di me, compresi i ragazzi del Nodo (centro diurno della Papa Giovanni XXIII), potrebbero condividere testimonianze, episodi, incontri, battute spiritose e persino aneddoti, fatterelli, dai quali, però, si vede la classe di un uomo. Anni di intenso apostolato, di presenza, di vicinanza, di creatività, sulle vie tracciate dal Concilio Vaticano II. Un prete semplice, con una personalità robusta. Un uomo spirituale, ma attento al concreto. Pastore più che “ingegnere della pastorale”; nelle parole del testamento gli obiettivi del suo progetto: «Rispetto della festa e del santo Nome del Signore: che non si bestemmi più!». Nei giorni della recente Visita Pastorale riposavo nella sua stanza. Mi incuriosiva guardare i libri della sua biblioteca: don Giorgio non era un erudito, ma non uno sprovveduto.

Un grazie a don Andrea che l’ha accompagnato in questi anni con affetto, delicatezza e rispetto. Grazie a chi l’ha custodito ultimamente. Si era reso necessario il suo ritiro nella Casa del clero a Rimini prima, e poi a Talamello, anche questa forma di vita sacerdotale, benché diversa nelle sue espressioni. Il cuore sacerdotale non cessa mai di battere e di battere per le anime, con la preghiera, con l’offerta di sé, con la gioia della propria vocazione. Vita nascosta – badate bene – che è forma eucaristica, forma prettamente sacerdotale: «E la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3).

2.

Ha voluto lui stesso indicare la lettura evangelica di questo giorno: otto versetti in tutto (Lc 23,35-43), cuore del terzo vangelo. Consentite un accenno appena per quanto riguarda il contesto. Ecco un trittico di persone (cfr. Lc 23,35-40) che insultano Gesù, il Crocifisso; i capi del popolo «che lo scherniscono: “Ha salvato altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio”»; la soldataglia che lo sbeffeggia: «Se tu sei il re dei Giudei salva te stesso»; e uno dei due malfattori crocifissi con lui: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi».
Poi, un altro trittico (cfr. Lc 23,42-49) di persone penitenti; il centurione: «Visto ciò che era accaduto glorificava Dio: veramente quest’uomo era giusto”»; la gente: «Ripensando a quanto era accaduto se ne tornavano percuotendosi il petto»; gli amici: «Assistevano da lontano».
Fra l’uno e l’altro trittico, al centro, il dialogo fra il malfattore e Gesù. Don Giorgio si vedeva in lui. Voleva certamente che tutti noi, rileggendo questa pagina in un momento tanto solenne, ci sentissimo chiamati da Gesù a stare con lui, per sempre.
Avete sentito: gli avversari di Gesù ridono di lui. Che potere può rivendicare uno sconfitto, uno che non riesce a fare nulla per salvarsi? Ma nel disegno teologico del terzo vangelo «il buon ladrone» diventa il tipo del credente, del discepolo, uno di quelli con i quali Gesù sta più volentieri, perché più disperati, più aperti alla sua parola di salvezza. «Il buon ladrone» non solo constata l’innocenza di Gesù, ma, per fede, sa vedere nello scacco della croce l’intronizzazione regale del Messia. Con preghiera umile domanda il ricordo di Gesù: «Ricordati di me». E «oggi», appena in un attimo, viene rapito il paradiso; per questo la tradizione chiama il condannato «il buon ladrone». Viste le attitudini di prestigiatore, don Giorgio ci svela il trucco di questa “magia”. È il cammino della conversione:

  1. Riconoscere Gesù come Dio;
  2. Riconoscere il proprio peccato;
  3. Chiedere aiuto a colui che ha il potere di salvare.

E Gesù promette al suo compagno di supplizio il dono di una vita eterna insieme a lui, il paradiso. Morte, risurrezione, vita oltre la vita!
Cari fratelli, domandiamoci: non stiamo correndo il rischio di lasciare la considerazione del nostro destino eterno ai margini della predicazione, della catechesi, dei nostri piani pastorali? Così facendo svuotiamo di senso il messaggio cristiano, l’evangelo.

3.

Don Giorgio, in umiltà e verità – di lui si diceva ironicamente che non avesse il peccato originale, per lo spirito d’infanzia che lo caratterizzava – si vedeva nel malfattore crocifisso accanto a Gesù e, come il ladrone, si abbandonava incondizionatamente alla misericordia del Signore. Ascoltiamolo anche noi il sussurro delle parole di Gesù: «In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso».
Il paradiso. La Parola di Dio non descrive i particolari dell’aldilà, non soddisfa le nostre curiosità. Anche la Chiesa è prudente; ci mette in guardia dalle rappresentazioni immaginative e arbitrarie. Tuttavia, parole e immagini possono servire; ma per quanto suggestive sono assolutamente inadeguate rispetto all’indicibile felicità del compimento della promessa.
La rappresentazione del paradiso è ispirata al cap. 2 della Genesi: immagini di un giardino lussureggiante dove tutto ci sarà donato in abbondanza. Ci sono le immagini del banchetto riprese tante volte da Gesù e quelle del Salmo 22: pascoli erbosi, acque tranquille, tavola imbandita sotto gli occhi dei nemici, olio che profuma il capo, calice che trabocca… L’Apocalisse descrive il paradiso come nuova Gerusalemme, dove Dio asciuga ogni lacrima, dove non c’è più la morte né il dolore (Ap 21,4). Attenzione: testi che si esprimono per figure e immagini, ma non sono un reportage! E tuttavia sono importanti, perché hanno in comune promesse di gioia, di pace, ma soprattutto la visione felice di Dio, della comunione con lui. Per sempre. «Sarai con me».

4.

Sant’Agostino descriveva così il paradiso: «Là, vedremo, ameremo, canteremo» (cfr. La città di Dio, XXII, 30).
Don Giorgio, Vedrai, quel volto che hai cercato e desiderato tutta la vita, oggetto della tua implorazione, innalzata insieme al tuo popolo: «Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto» (Sal 4,7).
Amerai, perché sei stato creato per questo. Riconoscerai le relazioni che hai costruito sulla terra – non più intaccate dalle fragilità –, i tuoi cari, il grappolo di vita e di amici, tutti resi capaci di un amore sempre nuovo, perché di amare non si è mai sazi: «Quando dici basta, sei finito» (Sant’Agostino, Sermone 169).
Canterai per la gioia. Non ci sarà più limite di tempo e la gratuità non dovrà più guardarsi dai calcoli meschini di quaggiù. Si realizzerà quanto profetò Ben Sirach: «Nel glorificare il Signore, esaltatelo quanto più potete: ne sopravanza sempre; per esaltarlo raccogliete le vostre forze, non stancatevi, perché non finirete mai» (Sir 43,30). È la liturgia del Cielo (farai invidia a don Andrea).

5.

Sabato scorso, nell’ultima visita nell’ospedale “Sacra Famiglia” di Novafeltria, ho sostato con un piccolo gruppo di persone al suo capezzale. Abbiamo pregato. Ci sembrava la cosa più importante. Don Giorgio era immobile, composto, ad occhi chiusi, con respiro impercettibile… in quel momento mi tornava alla mente un midrash sulla morte di Mosè, amico speciale di Dio.
Era venuto anche per Mosè il momento di lasciare questo mondo. La Morte si rifiutò di obbedire al comando di Dio: «Posso togliere il respiro a un uomo così mite?». Dio, allora, mandò angeli; ma anche questi rifiutarono: «Come spegnere la fiamma in un cuore così ardente per il suo popolo?». Dio stesso, allora, scese sul monte, si avvicinò all’amico Mosè, lo pregò di distendersi, di comporre le mani sul petto, di chiudere dolcemente gli occhi. Si chinò su di lui e con un bacio gli portò via l’anima (cfr. Pino Stancari, Vita di Mosè, 1984).
Essere con lui: ecco il paradiso!