Omelia S.Messa al cimitero di Serravalle

Serravalle, 1 novembre 2017

(da registrazione)

Letture?

Non ero mai stato in questo camposanto e la prima impressione che ne ricavo è l’accoglienza: è molto avvolgente.
I nostri cari meritano non soltanto il rispetto, ma anche la nostra devozione, la nostra preghiera per loro. La forma della preghiera è triplice. C’è la preghiera di adorazione che si deve soltanto alla divinità, a Dio, l’unico Signore davanti al quale si piega il nostro ginocchio. Poi c’è la preghiera di venerazione, cioè quella che attribuiamo alla Vergine santa, ai santi e agli angeli, una preghiera nella quale chiediamo loro di pregare insieme con noi, di intercedere per noi, in quanto vivono nella pienezza della carità, pertanto, davanti a Dio, e possono accompagnarci. Infine vi è la preghiera del suffragio, quella che noi facciamo per i nostri cari defunti, per i quali chiediamo, nel mistero di Dio, che siano purificati e ammessi alla visione di Lui, faccia a faccia, e possano godere – questo è il destino – la felicità: Dio, infatti, ci ha creati per lodarlo, amarlo, goderlo in Paradiso, ma anche perché fossimo felici. Iniziando questo momento di preghiera eucaristica mi sono raccomandato di considerarlo un momento pasquale: dovremmo dirci gli uni gli altri “buona Pasqua”, perché siamo qui non per commemorare un caro estinto, ma, anzi, per entrare in contatto con Gesù Risorto. Allora questa non è una mesta cerimonia, ma la celebrazione della risurrezione di Cristo. Tanti segni (anche quando si celebrano i funerali) evocano la risurrezione, altrimenti le nostre preghiere sarebbero gesti patetici, fini a se stessi. Il primo segno sempre presente nel rito funebre è il cero pasquale: non è una candela come le altre, è un cero grande e decorato che viene acceso nella notte di Pasqua mentre si esegue un canto antichissimo: «Questa è la notte in cui Cristo, spezzati i legacci della morte, è risorto vincitore del sepolcro». Viene riacceso ad ogni funerale per manifestare la nostra speranza che il nostro fratello, la nostra sorella, che ha vissuto alla luce di Cristo, risorgerà con lui nella gloria. Questa è la nostra fede.
Non ho una certificazione della risurrezione per gli studi di Filosofia classica che ho compiuto, studi che mi hanno portato a considerare la sopravvivenza dell’anima, ma la proclamo sulla parola di Gesù: mi fido di quello che ha detto il Signore Gesù.
Un altro segno tipico sono i fiori. Al funerale, come nella celebrazione di oggi, portiamo dei fiori freschi e belli sulla tomba, talvolta trasformiamo la tomba in un giardino. I fiori sono segno del paradiso che nella Bibbia viene chiamato “giardino fiorito” e chiediamo al Signore: «Concedi al nostro fratello e alla nostra sorella di entrare in paradiso».
Consentitemi un’altra sottolineatura. Pensate che i pagani chiamavano questo luogo (il cimitero) necropoli che, tradotto dal greco, significa “città dei marciti”, non solo morti, ma addirittura “marciti”. Da quando Gesù è risorto il cimitero ha cambiato nome; il luogo dove sono i nostri cari non si chiama più necropoli, ma cimitero che vuol dire “dormitorio”, luogo dei dormienti. Ahimè, a volte si sta rischiando di tornare al concetto di necropoli perché si vedono sulle tombe, a volte, i simboli degli hobby, dei mestieri, al posto della croce e degli epitaffi. Noi diciamo che la persona si è addormentata, ma non per un sonno eterno. Gesù dice: «Il nostro amico Lazzaro si è addormentato, ma io vado a svegliarlo» (Gv 11,11).
E poi un altro segno, la deposizione. Di solito per un funerale il momento più straziante, il distacco definitivo, è quando la bara viene calata nella fossa e la persona più cara della famiglia vi getta sopra un lotto di terra. Ebbene, San Paolo, scrivendo ai cristiani, diceva: «Nessun seme rivive se prima non muore» (cfr. 1Cor 15,36), così è del nostro corpo. Lo si semina corruttibile, ma risorgerà incorruttibile. E noi diciamo: «Fa’ che il nostro fratello, la nostra sorella possa presentarsi a te trasfigurato nella sua carne mortale». Addirittura, intingendo l’aspersorio nell’acqua benedetta, il sacerdote dice: «Possano le loro ossa rifiorire».
Inoltre, i cristiani quando fanno questo tipo di celebrazioni cantano; magari la voce si strozza in gola, non si ha voglia di cantare, ma dobbiamo cantare: non deve mancare mai l’Alleluia. Ci sono canti che sembrano delle “ninne nanne”. Penso al Kyrie della Messa dei defunti in gregoriano, è una ninna nanna ed è tra le opere più poderose della storia della musica. Ci sono dei veri affreschi sinfonici nelle parole del Dies Irae.
C’è un detto ferrarese, un po’ malizioso contro i preti, che dice: «I preti cantano sul morto». Per dire evidentemente che i preti vivevano con le elemosine dei funerali, ma si può prendere il proverbio per il verso giusto, «il prete canta sulla morte»: è diventato prete per essere testimone dell’altro mondo. Così sia.