Omelia Santa Messa in ricordo di Chiara Lubich

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Cattedrale di Rimini, 21 marzo 2015
VII Anniversario della morte della Serva di Dio Chiara Lubich

Mi è stato dato di incontrare una grande cristiana del nostro tempo: Chiara Lubich, di cui è stato aperto, in questi giorni, il processo canonico per il riconoscimento dell’eroicità delle virtù.
La sua vicenda vi è nota. È vostra concittadina onoraria a motivo del suo messaggio spirituale e universale. Nata a Trento – la città del Concilio – è cresciuta in una famiglia aperta: una madre di sicura fede cattolica, un padre socialista. Nella tremenda esperienza sotto i bombardamenti della guerra che creano distruzione e morte, Chiara sceglie Dio come unico tutto. Con un gruppo di giovani amiche, al suono delle sirene, si rifugia in una buia cantina, sola con il vangelo. Al lume di una candela legge quelle parole che le risuonano in maniera unica, come per la prima volta, l’ultima, l’unica. L’avventura spirituale di Chiara inizia così.
Al calore di un focolare acceso, il piccolo gruppo si riunisce e in esso si raccontano con stupore e sorpresa i frutti del vangelo vissuto e si constata il prendere forma di un “sociale cristiano”. Altri, tanti, e poi tantissimi, si uniranno a Chiara e alle sue compagne con al centro il testamento di Gesù (cf. Gv 17), con la parola dell’amore reciproco. Il focolare non è più il caminetto attorno a cui ci si riunisce, ma lo spazio educativo, l’atmosfera spirituale generata dalla presenza di Gesù promessa a chi è unito nel suo nome (cf. Mt 18,20).
La dottrina spirituale di Chiara non è altro che una modalità semplice e profonda di lasciar vivere il vangelo. È una modalità che appare da subito corrispondere ai bisogni e alle sfide di questo tempo. Qual è l’attrattiva del tempo moderno?

Penetrare nella più alta contemplazione e rimanere mescolati fra tutti,
uomo accanto a uomo.
Vorrei dire di più: perdersi nella folla, per informarla del divino,
come s’inzuppa un frusto di pane nel vino.
Vorrei dire di più: fatti partecipi dei disegni di Dio sull’umanità,
segnare sulla folla ricami di luce e, nel contempo, dividere col prossimo
l’onta, la fame, le percosse, le brevi gioie.
Perché l’attrattiva del nostro, come di tutti i tempi,
è ciò che di più umano e di più divino si possa pensare,
Gesù e Maria: il Verbo di Dio, figlio d’un falegname;
la Sede della Sapienza, madre di casa.

Il brano evangelico che abbiamo letto poco fa è sicuramente tra le pagine ispiratrici dell’esperienza di Chiara o comunque tra le più presenti.

1.
Per incontrare il Signore – ci viene detto nel racconto della concitata anticamera dei greci che vogliono “vedere” Gesù – è necessaria la mediazione della comunità. Il fratello non è un ostacolo, al contrario, l’attenzione e i rapporti sono via maestra per l’incontro con il Signore. La ricerca dell’unità fra tanti, pur diversi, il farsi sinceramente prossimo dell’altro uscendo da sè, non soltanto è ascesi ma apertura ad una nuova mistica: pilastro di una spiritualità di comunione. Sono noti l’espansione internazionale del carisma come i dialoghi promettenti e le feconde aperture che ne sono scaturite. «Ti darò in eredità le genti» (cf. Sal 2): fu una delle parole che hanno risuonato forte nel cuore di Chiara. Parole che richiamano quelle di Gesù appena lette: «Innalzato da terra attirerò tutti a me».

2.
La legge del chicco di grano ripropone tutto il positivo racchiuso nel dono di sé, dove il vero centro della frase di Gesù non è il morire, ma il portare frutto. Lo sguardo del Signore è sulla fecondità più che sul sacrificio. Vivere è dare la vita. Non amare è morire!

3.
Nel cuore dell’esperienza di Chiara c’è l’incontro con il Cristo crocifisso colto nel momento più grande del suo dolore: l’abbandono del Padre. Nel vangelo che stiamo meditando affiorano l’angoscia e il turbamento di Gesù: «Dio mio, Dio mio, perché …».
Non si tolgano dai vangeli i turbamenti di Gesù … come altre volte nei vangeli Gesù è posto di fronte a una sfida drammatica: fidarsi del Padre fino in fondo. Questa è l’ora.
L’ora per cui è venuto, l’ora del suo martirio e del suo trionfo. A salvare non è il dolore, ma l’amore. Si impara da Lui a “non restare nella piaga”, si va oltre, amando. Questo ha imparato Chiara: nel dolore si riconosce il volto di Gesù che ha preso su di sé ogni dolore. Lui è la chiave per costruire l’unità