Omelia Veglia per la vita nascente

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
2 dicembre 2015

Is 49, 1-6.13-16
Lc 1,39-55

Si affollano i pensieri mentre già si accendono le prime luci del Natale e intasano la mente e la penna. Quante cose vorrei scrivere e dire… e con quanto calore! Cose dell’anima naturalmente, come la vertigine davanti a un Dio che si fa cucciolo di uomo e la considerazione dei carissimi destinatari di questi miei pensieri, specialmente delle mamme in dolce attesa.
La pista più sicura è tracciata dalla Parola di Dio (e da dove, se non da qui, prendere l’avvio?). Questa sera la Parola di Dio racconta la vocazione del profeta Isaia chiamato, plasmato e inviato fin dal seno materno…  e, come ogni bambino, disegnato in modo indelebile sul palmo delle mani del suo Creatore. Ci potrebbe essere chi lascia cadere nell’oblio il frutto del grembo, ma non certo il Signore: «Io, invece, – assicura –  non ti dimenticherò mai».
Il Vangelo narra l’incontro fra due donne in attesa d’essere madri: Maria ed Elisabetta. Due santuari; due grembi carichi di terra, di cielo e di futuro. Come il grembo di ogni mamma.
«Benedetto il frutto del tuo grembo», cioè, «benefico agli uomini sia il frutto del tuo ventre», esclama Elisabetta a Maria. È il saluto per ogni donna che sta per diventare mamma. Gesù è un frutto unico, eppure tutti i nati da donna sono, come lui, benedizione. Per questo festeggiamo i bimbi che vengono al mondo, le loro mamme e i loro papà.
Il Vangelo dice che Giovanni, concepito da Elisabetta, danza nel grembo materno pieno della gioia di vivere, per una vita che gli dà, sin d’ora, d’incontrare il Signore. È stato chiamato dal nulla all’essere, ad una pienezza di essere.
Torno al racconto evangelico, anzi alla corsa veloce con la quale Maria va, attraverso i monti di Giudea, ad incontrare la cugina Elisabetta: «In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda». Il tema della sollecitudine e della corsa ricorre più volte nella Scrittura. I pastori andarono in fretta a Betlemme «e trovarono Maria, Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia» (Lc 2,16). Così i primi discepoli, chiamati da Gesù, «subito presero a seguirlo» (Mt 4,20). A Zaccheo il Signore grida: «Scendi subito» (Lc 19,5). «In gran fretta» Pietro e Giovanni corrono al sepolcro il mattino di Pasqua, quasi una gara (cfr Gv 20,4). Per essere discepoli è necessaria la sollecitudine. Viene chiesto di correre. Il salmo ci fa cantare: «Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio cuore» (Sal 119, 32). Non è certo per la fretta imposta dai ritmi di questo mondo sempre più stressanti. La fretta evangelica non ha altro agente che l’amore. È l’amore che tiene desti ed è essenzialmente movimento. L’amore attira con forza e soavità e, parimenti, lancia in avanti!
Il nostro riunirci, questa sera, ha il carattere della gioia e dello slancio: gridiamo al mondo il vangelo della vita. Giusto vent’anni fa, Giovanni Paolo II consegnava a noi e a tutti gli uomini di buona volontà, una delle sue più belle encicliche, l’Evangelium vitae. All’inizio di questa veglia abbiamo chiesto la grazia della conversione dei cuori, riconoscendo i peccati contro la vita nascente. La chiudiamo facendo nostro il canto del Magnificat, il canto sbocciato sulle labbra della fanciulla di Nazaret, che loda il Signore per le grandi cose che ha fatto in lei, con uno sguardo sulla vita e sulla storia che sorprende, perché assolutamente aperto e per nulla intimista.
Ci proponiamo di parlare bene della vita e, soprattutto, di proclamare «fortiter et suaviter» la prima delle pagine del Vangelo: la Natività!