Omelia VI Domenica di Pasqua

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Petrella Guidi (Chiesa del Castello), 1 maggio 2016

At 15,1-2.22-29
Sal 66
Ap 21,10-14.22-23
Gv 14,23-29

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola».

Oggi ci viene data l’opportunità di meditare alcune frasi dai discorsi di addio, i discorsi che Gesù tiene agli apostoli durante l’ultima cena. Si tratta di parole dolcissime, tutte intonate ad un sentimento di amore. Amore che Gesù reclama dagli amici; amore che egli offre. Sono parole consolanti anche per noi che oggi le leggiamo come fosse la prima volta.
In quasi tutto il Vangelo ritorna l’invito a dimorare con Gesù maestro, amico, signore. In questi giorni ho avuto modo di sviluppare la ricchezza tematica del verbo giovanneo rimanere, verbo usato con frequenza soprattutto dall’evangelista Giovanni e che sta come parola chiave. Ad esempio nel racconto della chiamata dei primi due apostoli, Andrea e Giovanni, si dice di loro che, assecondando l’invito del maestro (Venite e vedrete) rimasero con lui tutto quel giorno, inizio di infiniti altri giorni. Ho identificato in quel verbo la fondamentale proposta di Gesù che sceglie e chiama i Dodici perché rimangano con lui e poi per inviarli a predicare. Rimanente in me è, poi, l’invito appassionato di Gesù nei discorsi di addio. C’è dunque il rimanere di chi condivide spazi e tempi, di chi dimora fisicamente presso l’ospite. Ma non è propriamente a questo che si riferisce Gesù. Gesù, anzi, si sottrae alla Maddalena che, nel mattino di Pasqua, vorrebbe stringerlo a sé. Altro lo spessore del rimanere in lui. C’è il rimanere saldo del discepolo negli insegnamenti del Maestro: fare delle sue Parole la forma stessa della propria vita (in un crescendo di sfumature: in-formarsi, tras-formarsi, con-formarsi, uni-formarsi…). Più dello stare in uno spazio seppur sacro, più dell’abbracciare la disciplina e l’esemplarità del maestro, il rimanere di cui parla Gesù consiste in una immanenza vitale, un essere pervasi della sua stessa vita, linfa che discende da lui. Di più: non staccarsi mai da Colui che è la vite vera. L’apostolo Pietro scriverà ai primi cristiani: siete partecipi della natura divina! (cfr 2Pt 1,4).

«Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui».

Il Vangelo ci ricolma di stupore quando, dopo averci condotto sin qui, annuncia la volontà di Dio di prendere lui stesso dimora presso di noi per rimanere in ciascuno! Prendere coscienza che si vive dell’Amore e del Respiro di Dio, è la cosa più bella, più utile e più necessaria che vi sia. Allora prende luce e pienezza di senso tutta la vita. Tutto quello che tu fai è come se il Signore agisse per mezzo tuo. Tu sei abitato dal Signore.
Ho visto luccicare gli occhi dei miei piccoli amici che si preparano alla Prima Comunione, quando hanno saputo che realmente Gesù verrà ad abitare in loro e che loro saranno il suo tabernacolo vivente. Andare in mezzo al mondo con questa convinzione sarà per loro e per tutti noi tutt’altra cosa!
Leggiamo allora il Vangelo in questa prospettiva, prima l’emozionante chiamata ad abitare presso il Signore, e poi la sorprendente notizia: lui stesso prende dimora in noi. Noi cielo di Dio!