Omelia XXVIII Domenica del Tempo ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Convegno delle famiglie a Novafeltria, 12 ottobre 2014
 
 
Is 25, 6-10
Sal 22
Fil 4, 12-14.19-20
Mt 22, 1-14
 
 

È la terza parabola del giudizio (dopo quella dei due figli e quella dei vignaioli omicidi).
Il tragico rifiuto di Gesù da parte dei capi della nazione giudaica apre la strada al nuovo popolo di Dio, a motivo dell’adesione di fede in Gesù.
Il nuovo popolo di Dio, la Chiesa, è tale non più in forza di una determinata appartenenza etnica e politica (cf. Israele storico), ma unicamente per la fede in Gesù e per la “nuova giustizia” che lo manifesta. È perciò un popolo variopinto: giudei e pagani, capi del popolo ed umili artigiani, uomini di prestigio e poveri, aristocrati della virtù e peccatori… piccoli e anziani.
Nella parabola Dio è paragonato ad un re; il tempo messianico ad una festa di nozze per l’erede al trono (i primi cristiani lo identificano con Gesù); la nazione giudaica agli “invitati” per eccellenza.
Ma ecco il dramma: Israele rimane sordo alla chiamata ed oppone un secco rifiuto a Gesù, un rifiuto talmente ruvido che il Padre, sdegnato, punisce severamente la grettezza degli invitati. I pagani e i peccatori diventano, nella nuova economia di salvezza, gli invitati di diritto.
Originariamente la parabola si concludeva qui.
Matteo invece, sollecitato probabilmente da una interpretazione troppo larga e quietista della parabola, serpeggiante fra alcuni cristiani dei primi tempi, ribadisce che non è sufficiente appartenere alla comunità della Chiesa e poi dispensarsi dalle esigenze della “vita nuova” evangelica! Dunque Matteo rielabora la parabola con il particolare della veste nuziale che tutti indossano entrando al banchetto, eccetto uno degli invitati. È vero che la chiamata al banchetto del Regno è gratuita, ma non si pensi che non abbia delle esigenze. Anzi, anche i chiamati devono vivere gioiosamente la “nuova giustizia”. La fede in Gesù è inseparabile dalla nuova esistenza morale che essa comporta. Credere a lui è seguirlo sulla via della croce, è impegno fattivo di testimonianza, è imitazione del maestro che dà la lezione del servo. Questo è l’insegnamento centrale della parabola e della sua appendice.
Dopo aver accolto tale insegnamento suggerisco due esercizi pratici per la settimana che ci aspetta. Il primo esercizio consiste nel porci idealmente ad un incrocio di strada, o in una piazza, o in qualsiasi luogo dove c’è via vai di gente e considerare come ognuna di quelle persone sia personalmente amata dal Signore, candidata alla sua amicizia e affidata alla mia responsabilità.
Il secondo esercizio è simile al primo: considerare come il Signore – il Signore che sente perfino il pianto di un bambino nel deserto – mi ha visto, mi ha amato con amore di predilezione, mi ha fatto suo e mi invia ai miei fratelli («Va’ dai miei fratelli» cf. Gv 20,17).
Questo è l’invito che rivolge a ciascuno. Questo è l’invito che il Signore rivolge ad ogni famiglia, ad ogni famiglia che vuole essere veramente aperta!