Preghiera presso il cimitero di Pennabilli

27 marzo 2020

1.

In questi giorni di epidemia le nostre comunità cristiane si adeguano responsabilmente a quanto chiedono le autorità, ma non rinunciano a vivere meglio possibile il messaggio del Vangelo ed a testimoniarlo, oggi anche con la visita ai cimiteri. Un’opera di misericordia. Sono qui nel campo santo di Pennabilli, la città vescovile centro della Chiesa particolare di San Marino-Montefeltro. Ma idealmente varco la soglia di tutti i cimiteri della Diocesi per fare una preghiera di suffragio, specialmente per quanti sono morti a causa del Coronavirus.
Sono qui per sentire il respiro della Chiesa intera: Chiesa che è nello stato di purificazione, Chiesa dei beati che sono già nella luce e nella festa del Cielo, Chiesa di noi che siamo nel tempo dell’esodo e della lotta. Non tre Chiese, ma un’unica Chiesa corpo mistico del Signore e sua sposa.
Son qui per compiere un gesto di misericordia verso chi ci ha lasciato senza poter dare un ultimo saluto ai suoi cari, senza quella stretta di mano che fa sentire vicinanza e “compassione”, senza un rito funebre nel quale le famiglie, gli amici e la comunità esprimono la loro pietà.
Infine, sono qui anche per promettere che – quando la prova sarà superata – renderemo loro onore insieme ad una preghiera corale di suffragio.

2.

La pandemia mette in crisi quella supponenza che può tradursi in dimenticanza della nostra fragilità fino a nascondere la morte. Come discepoli di Gesù crediamo nella risurrezione e in forza di questa nostra fede attendiamo la vita eterna senza confonderla con la pretesa e l’illusione di essere immortali. Come creature siamo mortali e la morte, unitamente alle tante morti che dobbiamo attraversare nella vita, è parte integrante della nostra umana avventura. “Memento homo quia pulvis es et in pulverem reverteris”. In questo momento in cui tanti si rendono conto, quasi improvvisamente, di essere mortali, come Chiesa, insieme e pubblicamente, abbiamo un messaggio da testimoniare e da trasmettere in forza del nostro Battesimo e del mandato ricevuto da Gesù (cfr. Mt 28,19-20).

3.
L’annuncio della speranza cristiana si fa ancora più urgente e forse persino più udibile e atteso dai nostri fratelli e dalle nostre sorelle in umanità.
È il momento di una testimonianza discreta e appassionata della “speranza” che ci abita e ci anima (cfr. 1Pt 3,15).
Con questa consapevolezza diventeremo capaci di quell’ottimismo che è l’unico ad essere alla portata della nostra umanità.
Annunciare il Vangelo della vita comporta la capacità e il coraggio di stare dentro la sofferenza e persino la morte. La morte è chiamata nella liturgia “dormizione”, e i luoghi dove i morti dormono in attesa della risurrezione sono chiamati “cimiteri”, cioè “dormitori”, ma si deve considerare che la serenità della nostra morte è frutto della “dura morte” del Signore Gesù che l’ha vissuta non come liberazione dalla vita, ma come dono per affermare che l’amore è più forte della morte.
San Paolo nella Prima lettera ai Tessalonicesi – il primo scritto del Nuovo Testamento – scriveva: «Non vogliamo fratelli lasciarvi nell’ignoranza circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo, infatti, che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui. Questo vi diciamo sulla parola del Signore… Confortatevi dunque a vicenda con queste parole» (1Tes 4,18).
In questa esortazione c’è compassione e c’è fede. Del resto, la liturgia cristiana non conosce lacrime, se non lacrime asciugate.