Omelia nella S.Messa in Coena Domini

Pennabilli (RN), 9 aprile 2020
 
Es 12,1-8.11-14
Sal 115
1Cor 11,23-26
Gv 13,1-15

Prima di consegnarsi alla morte Gesù affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio. La liturgia chiama questo sacrificio “convito nuziale”. Convito nuziale del suo amore. Dopo un invito così lusinghiero entriamo, sia pure in punta di piedi, nel cenacolo che è qui; entriamo a nome di tanti fratelli, dispiaciuti di non poter essere presenti fisicamente a motivo della pandemia. Ci rendiamo subito conto che il cenacolo non è tanto un luogo fisico, piuttosto uno spazio spirituale, un’atmosfera di stupore, un luogo di Vangelo. Il cenacolo costituisce l’icona a cui la nostra Chiesa locale vuole ispirarsi, perché nel cenacolo è rappresentato quello che è chiamata ad essere, cioè “grembo” che genera vita cristiana, che dice cura, raccoglimento, ma anche apertura. I personaggi che abitano il cenacolo sono modelli di una spiritualità ecclesiale.
Prima di tutto nel cenacolo si gusta «quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme» (cfr. Sal 133,1). Il cenacolo è il luogo a cui Gesù riconduce i discepoli, perché vivano intensamente la Pasqua: lo chiede espressamente. È la sala grande e addobbata, al piano superiore, in cui si gusta l’Eucaristia. Là Gesù lava i piedi agli apostoli e, insieme al Sacramento dell’Eucaristia, istituisce il Sacramento del Sacerdozio. Il cenacolo è il luogo nel quale Gesù ha pronunciato i discorsi di addio, pieni della promessa dell’effusione dello Spirito. Nel cenacolo Gesù rivolge al Padre la preghiera sacerdotale e consegna ai discepoli il “comandamento nuovo”, che è il suo testamento, la sua ultima e definitiva volontà: «Amatevi gli uni gli altri» (Gv 15,17). Il cenacolo è lo spazio nel quale si è compiuto l’evento della Pentecoste: l’effusione dello Spirito Santo. Dal cenacolo, apparendo a porte chiuse, Gesù inaugura la missione, inviando alle genti gli apostoli, con i suoi stessi poteri per la remissione dei peccati. Nel cenacolo troviamo l’atmosfera per un’intimità profonda: «Rimanete in me e io in voi…» (Gv 15,4). «Non vi chiamo più servi ma amici» (Gv 15,15). C’è l’apertura dei cuori: Giovanni posa il capo sul petto di Gesù (cfr. Gv 13,25); Tommaso mette la mano nella ferita sul cuore (cfr. Gv 20,27). C’è la rivelazione piena: «Mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14,8)… E dopo aver detto: «Io sono la via, la verità, la vita, chi vede me vede il Padre» (Gv 14,6; Gv 12,45), gli apostoli possono dire: «Adesso parli apertamente» (Gv 16,29). Se paragoniamo la vita cristiana al battito del cuore, il cenacolo rappresenta il primo movimento, cioè il convenire per attrazione. La nostra Chiesa locale ha bisogno di ritrovarsi con pienezza in questo momento. Poi, il secondo momento sarà la missione fuori dal cenacolo. Come il sangue che viene richiamato al centro del cuore e poi viene mandato ad irrorare ogni parte del corpo: momenti diversi e successivi, ma inseparabili in un organismo vivo.
Chi valutasse questo mio parlare come intimismo o vago spiritualismo dimentica le notti passate da Gesù in preghiera, non ricorda l’intimo suo conversare con il Padre, persino sulla croce, col Salmo 17: «Padre mio, nelle tue mani affido il mio spirito» (cfr. Lc 23,46), o col Salmo 22: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (cfr. Mt 27,46; Mc 15,34). La vita interiore è stata ed è la risorsa delle grandi anime apostoliche. Se in questo tempo di “Coronavirus” abbiamo una lezione è quella di averci fatto ritrovare l’umiltà e l’umiltà è indispensabile per la preghiera. E la preghiera ci porta alla vita interiore.
Ho ricevuto da tanti la testimonianza, qualche volta la protesta, per lo struggente desiderio di partecipare alla Messa e poter fare la Comunione. Come non raccogliere questa sera, la sera della cena di Gesù con i suoi, la sera dell’istituzione dell’Eucaristia, questo desiderio?
I nostri parroci, pur consapevoli che è tutt’altra cosa, ci propongono, di tanto in tanto, la Comunione spirituale. Si tratta di un pio esercizio reso celebre da sant’Alfonso Maria de’ Liguori, napoletano verace. La Comunione spirituale ha tre elementi che la valorizzano.

  1. La Comunione spirituale è una professione di fede nell’Eucaristia. È molto bella, potremo farla anche quotidianamente, perché si inizia con la dichiarazione: «Signore, io credo che sei presente nel Santissimo Sacramento, offerto dai sacerdoti sull’altare. Ciò avviene per l’ammirabile conversione di tutta la sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo, sangue, anima e divinità di Nostro Signore Gesù Cristo. Facendo la Comunione spirituale si rinnova questo atto di fede. Desideri l’Eucaristia, ti rammarichi di non poterla ricevere, ma intanto professi la fede della Chiesa.
  2. Nella Comunione spirituale si esprime un desiderio. Questo desiderio è già, in qualche modo, una forma della presenza del Signore. La presenza del Signore è racchiusa nel desiderio perché è lui che lo suscita. Il desiderio dice assenza, ma reclama un compimento, indica una presenza avvertita come promessa. Il Signore mantiene la sua promessa: «Ecco – dice – io sto alla porta e busso, se qualcuno mi apre io verrò a lui, cenerò con lui e lui con me» (Ap 3,20). Questo svolgersi del desiderio è un po’ quello che accade alla protagonista del Cantico dei cantici. È notte. La fanciulla è salita nella stanza superiore, si è tolta la veste, si è lavata i piedi, sta per addormentarsi, sussurra: «Io dormo, ma il mio cuore veglia» (Cant 5,2). Sente bussare alla porta. La prima reazione è un rinvio, una sospensione. Ma poi il profumo dell’amante la risveglia: corre, scende per le scale, per l’incontro amoroso. Ma lui se n’è andato. Così com’è, in vestaglia, la fanciulla si precipita a cercarlo, corre per le vie, c’è un inseguimento e ci sono le guardie della città che la fermano. Ma l’incontro è soltanto rinviato di un po’. Ci sarà e sarà indicibile. La Comunione spirituale è un mezzo, uno stratagemma dei direttori spirituali, per educarci al desiderio. Cavar fuori, rendere esplicito il desiderio, accrescerlo, potenziarlo. Chi fa tutto questo se non l’amante, il Signore? Il Signore ci sta a questo “gioco d’amore”. Allora viviamo così questo tempo. La presenza del diletto è un dono, non un diritto. Forse questo digiuno, questa astensione, questa pausa che fanno tanto soffrire, ce lo ricordano. Ricordati: l’Eucaristia è un dono. Pensa ai cristiani che solo raramente possono partecipare all’Eucaristia. Ricorda quelli che desidererebbero riceverla, ma in obbedienza alla Chiesa si astengono. Rompiamola con le Comunioni abitudinarie, mettiamo più cuore nel rito. Lo vado ripetendo: verrà il momento in cui potremo finalmente accorrere all’Eucaristia, tanto desiderata. Fra tre settimane? Fra un mese? Fra due mesi? Non lo sappiamo, ma allora sarà come fare la Prima Comunione. Ve la ricordate la Prima Comunione? Che palpitazione, che emozione… Prepariamola!
  3. Nella Comunione spirituale c’è lo spazio per il colloquio “a tu per tu” con il Signore. Siamo un popolo che si raduna in Santa Assemblea, la Chiesa. Siamo una famiglia, che si riunisce allo spezzare del pane, ma siamo anche l’amico che si intrattiene con l’amico, lo sposo che incontra la sposa. La sposa del Cantico cerca il suo diletto e non trovandolo chiede: «Avete visto l’amato del mio cuore?» (Cant 3,3). Al tempo del poeta ispirato che ha composto il Cantico dei Cantici non vi era Gesù sulla terra, ora invece se uno ama Gesù e lo va cercando con ardore, lo trova sempre, lo trova nel sacramento dell’Altare. Questo è il mio augurio per tutti noi in questa notte santa.

Omelia nella Domenica delle Palme

Pennabilli (RN), Cattedrale, 5 aprile 2020

Is 50,4-7
Sal 21
Fil 2,6-11
Mt 26,14- 27,66

«Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”» (Mt 26,18).
La lettura della Passione secondo Matteo comincia proprio così: «Farò la Pasqua da te». È il desiderio di Gesù: fare la Pasqua con ciascuno di noi.
Signore, tu vedi questa cattedrale assolutamente vuota e chiusa a causa della prepotenza di un virus finora sconosciuto. Come possiamo accoglierti in modo conveniente? Questa parola rivolta a «quel tale» è per ognuno di noi: «Signore, tu vedi il cuore afflitto, provato, che fatica a riaversi da settimane di ansia, di chiusure, di diffidenze e non sa fino a quando…».
Ci stai dando una lezione: ci chiedi di guardare a te, di uscire dai nostri ripiegamenti, di guardare alla tua Passione e al dono che hai fatto di te stesso sulla croce e, con questo sguardo e in questo sguardo, vedere e abbracciare il dolore, la passione, di tante sorelle e di tanti fratelli. Comprendiamo – adesso più ancora e sulla nostra pelle – che la famiglia umana è profondamente una, interdipendente, relazionale, spiritualmente, biologicamente, economicamente, culturalmente; contiene in sé, come suo DNA, la fraternità, che è dono e compito. Ci riceviamo come fratelli e abbiamo il compito di vivere la fraternità. Ce lo ricordava papa Francesco nel momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia del 27 marzo scorso: «Con la tempesta è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli». Allora anche il nostro sguardo, Signore, si estenda su tutto l’orizzonte, abbracci il tuo progetto, «ut omnes unum sint» (Gv 17,21) e che la tua Chiesa allarghi davvero la sua tenda, come ci sta quotidianamente ricordando papa Francesco. Tu dici, Signore: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno mi apre io verrò da lui, cenerò con lui e lui con me» (Ap 3,20). Veniamo da una Quaresima di digiuno dalla Santa Eucaristia. Ne abbiamo nostalgia, soffriamo dell’assenza di quel pane necessario per il cammino, soprattutto per questo cammino difficile. Ci fai capire, a dispetto del  modo a volte superficiale e scontato di nutrircene, quanto questo pane sia prezioso e indispensabile. A volte ci chiediamo se questa circostanza non costituisca una purificazione e non ci unisca di più ai cristiani costretti alla lontananza dai Santi Misteri. In questi giorni abbiamo preso coscienza di altre forme della tua presenza. Il «due o più» nella comunità ecclesiale, nella famiglia, soprattutto in questi giorni. «Dove due o più sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20). E poi la tua presenza nel fratello: «L’avete fatto a me» (Mt 25,40). Anche un bicchier d’acqua fresca non perde il suo significato. Inoltre, ci insegni ad adorare Dio «in spirito e verità»: aprire la sua Parola, leggerla insieme, portarla nel cuore e farne il riferimento per i nostri rapporti reciproci.
Tu, Signore, vuoi “fare Pasqua” ardentemente con noi: «Desiderio desideravi hoc Pascha manducare vobiscum» (Lc 22,15).
Ecco, nell’Eucaristia, svelato il significato della tua Passione. La cena che tu prepari per i tuoi discepoli è la chiave per capire l’intera tua vita, prossimità totale con noi fino al dono della vita: «Avendo amato i suoi, li amò sino alla fine» (Gv 13,1).
Nella tua Passione ci insegni – lezione indispensabile per questi giorni – la piena fiducia nel Padre, mai venuta meno perfino nel momento terribile della percezione della sua assenza. «Con forti grida e lacrime» (Ebr 5,7) hai pregato e sei stato esaudito. Intendiamoci: l’esaudimento fu il saper vivere da figlio e da fratello, per noi, la tua Passione. Così ridici a ciascuno di noi, anche oggi, «guarda se in me vedi altro che amore» (Angela da Foligno, Memoriale, IV, 193).

Settimana Santa

Discorso in occasione dell’Insediamento dei Capitani Reggenti

San Marino, 1° aprile 2020

Eccellenze,
un’immagine mi balena nel cuore in questa circostanza: quella di una staffetta nella quale ci si passa un rotolo di pergamena sigillato. Chi cede la Reggenza ha avuto in sorte di trovarci scritti eventi importanti. Tra i previsti l’incontro quotidiano, e sempre nuovo, con i cittadini, ognuno con il suo carico di attese, a volte di rivendicazioni, sempre bisognosi di attenzione. Nel semestre passato i Capitani Reggenti uscenti avevano il mandato di moderare il rito tra i più delicati della nostra Repubblica: le elezioni politiche. Tra gli imprevisti la tragedia, tutt’ora in corso, della pandemia da Covid-19. Mai avrebbero immaginato che quel rotolo riservasse tale sorpresa. Dico grazie per la Loro sollecitudine e la Loro dedizione. Vorrei, se ce ne fosse bisogno, togliere dal cuore ogni timore di non aver fatto abbastanza, sentimento che proviamo tutti.
Ora il rotolo sigillato passa nelle mani dei nuovi Capitani Reggenti; anche a loro dico grazie per il “sì” che hanno pronunciato accogliendo la proposta che il Consiglio Grande e Generale ha rivolto Loro. Un “sì”, in un certo senso, al buio, perché chiamati a svolgere un altro segmento dello stesso rotolo senza sapere cosa contiene. Ci auguriamo e auguriamo Loro di traghettarci verso “il dopo Covid-19”. Chi è costituito in autorità diviene punto di riferimento: a lui si chiede anzitutto di essere presente, reperibile, disponibile. Poi, di essere luce: nel buio una luce, per piccola che sia, si vede da lontano. Brillare, non tanto di luce propria, ma della luce delle nostre tradizioni civili, giuridiche, ideali. Un punto di riferimento dà sicurezza. È normale che chi è persona pubblica cada sotto il giudizio di tutti: accontenta e scontenta. Che fare? Pensare, decidere, agire sempre secondo coscienza, illuminata, retta e serena. Dunque, presenza, luminosità, sicurezza.
L’immagine del rotolo sigillato è familiare, in questi giorni, alla liturgia della Chiesa (Lettera agli Ebrei). Si dice del Messia che, entrando nel mondo, prima ancora di aprire il rotolo, proclami con fiducia: «Ecce, venio: in capite libri de me scriptum est». Che il Messia sia Loro di esempio.
Eccellenze, vi accompagniamo con tutta la stima e la considerazione.

Saluto del Vescovo ai Capitani Reggenti in pellegrinaggio alla Basilica del Santo Marino

San Marino Città (RSM), Basilica del Santo, 1° aprile 2020

Eccellentissimi Capitani Reggenti,
rinnovo il mio augurio per il vostro mandato.
Mi ha fatto particolarmente contento questo vostro pellegrinaggio alla Basilica del Santo Marino. So che siete passati davanti alla sede della Protezione Civile e poi farete sosta all’Ospedale di Stato: tutti luoghi che ci richiamano alla responsabilità necessaria per la grave epidemia che si è abbattuta anche sulla nostra Repubblica. Papa Francesco l’ha paragonata ad una tempesta!
Permettetemi di citare alcune parole del Papa: «La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende e i nostri progetti… La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità» (Papa Francesco, Momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia, 27 marzo 2020).
L’anima del nostro popolo sammarinese e le sue radici sono una sintesi, forse unica, sicuramente originale, di come la dimensione religiosa e la dimensione civile possano coesistere, dando vita ad una comunità capace di esprimere, in forza di questa sintesi, il massimo di rispetto della persona e di democrazia.
Le nostre istituzioni, e la Reggenza in particolare, portano nella loro forma e nella loro sostanza questa impronta. Questa è la prima risorsa da recuperare per la ricostruzione.
Chiediamo l’intercessione del nostro Santo Fondatore. Andiamo avanti insieme verso il futuro, ben piantati sulle antiche radici.