Omelia per il Venerdì Bello

Pennabilli (RN), Santuario B.V. delle Grazie, 18 marzo 2022

Prv 8,22-31
Sal 44
Ef 1,3-6.11-12
Lc 1,26-38

Maria, siamo ai tuoi piedi: siamo venuti in pellegrinaggio al tuo Santuario per chiedere la tua intercessione per la pace e per la salute di tante persone. In questo momento sacerdotale anticipiamo l’atto di consacrazione che rinnoveremo come Diocesi il 25 marzo in unità con tutta la Chiesa.

Nel 2006 fra’ Ermes Ronchi dei Servi di Maria ha scritto un bel libro intitolato “Le case di Maria”. Un libro da raccomandare soprattutto alle famiglie e ai gruppi-famiglia.
Ho preso spunto dal titolo per offrire questa meditazione, convinto – non è un’immaginazione – che ciascuno di noi è quel Gesù che Maria fa crescere a Nazaret, che Maria vuole forgiare nel Cenacolo, al quale Maria, accolta dall’apostolo Giovanni, dona una particolare familiarità ad Efeso.
Nazaret, Cenacolo, Efeso!

  1. Nazaret: entriamo!

Siamo immediatamente accolti in una comunità di vergini che, con le loro relazioni, moltiplicano l’amore. Ecco, allora, le premure, la custodia, il servizio di Giuseppe; ecco la disponibilità di Maria a cedere il suo grembo perché il Verbo si faccia carne; ecco Maria che offre la sua maternità per nutrire di sé il bambino Gesù, lo fa crescere, gli dà il suo stesso profilo («tutto sua madre»!).
Maria e Giuseppe, come caldo e luminosissimo arco voltaico, avvolgono Gesù insieme, come coppia: ci sono due annunciazioni, perché Dio vuole il “sì” di Giuseppe e il “sì” di Maria: il “sì” della coppia.
«Non è bene che l’uomo sia solo», è questo che Maria e Giuseppe insegnano a Gesù con la loro testimonianza: la famiglia è benedetta e voluta dal Creatore. «Dal principio…» fu data la grazia per realizzare questo progetto divino. Gesù fa famiglia con i genitori sposi. L’uomo e la donna con le loro caratteristiche coessenziali e complementari costituiscono lo spazio vitale nel quale cresce Gesù. L’episodio dello smarrimento di Gesù al Tempio non smentisce l’esperienza famigliare di Gesù, altro è il significato teologico dell’episodio.
Quel ragazzo dodicenne, a differenza del giovane Samuele (cfr. 1Sam 3), non resta al Tempio. Neppure un giorno di Seminario; il suo Seminario è la casa di Nazaret, con le relazioni che vi crescono attorno. Ci saranno trent’anni di vita nazaretana per Gesù!

Maria e Giuseppe testimoniano a Gesù adolescente il senso profondo della castità nell’amore e della sessualità vissuta in pienezza: per loro Dio è il tutto! Dio riempie il loro cuore, e il cuore, si sa, è il cuore e non palpita senza amore. Maria e Giuseppe appartengono alla corrente spirituale degli anawim, i poveri di Jahvè: i piccoli e i semplici di cui Gesù canterà la beatitudine (cfr. Mt 11,25-27; Mc 3,31-35), i poveri che si lasciano condurre dal volere di Dio.
Una considerazione pratica: oggi più che mai il prete deve crescere in questa atmosfera familiare e spirituale. La sua solitudine – per amore, d’amore – deve costantemente aprirsi alla relazione. Deve imparare a lasciarsi ridimensionare, quando è necessario anche correggere. Quando si è in relazione si fa spazio all’altro, ci si mette in ascolto, ci si dedica, si rinuncia al proprio punto di vista, al proprio puntiglio. È un presupposto indispensabile, questo, per far crescere attorno a sé collaboratori e far sbocciare la parrocchia “famiglia”.
Come sarebbe bello potessero formarsi comunità presbiterali: fosse anche soltanto per ragioni di ménage, meglio ancora per una nuova pastorale e – perché no? – in prospettiva carismatica: «Dove due o più sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20): veri e propri focolari sacerdotali.
Talvolta Nazaret viene dipinta come ideale di vita umile e nascosta, la casa delle virtù (ricordate la meditazione di san Paolo VI quando andò a Nazaret nel 1964). C’è di più: a Nazaret risplende la verità dell’Incarnazione. Nazaret, dove Gesù sta con Maria e Giuseppe, è già missione redentrice in atto. Nazaret proclama, con un silenzio assordante, che il Regno di Dio è presente. Se si togliesse Nazaret dai Vangeli l’enfasi della rivelazione sarebbe tutta e solo sui gesti miracolosi e sui grandi discorsi. Perderemmo parole di Gesù su famiglia, lavoro e relazioni.
Una lezione per il nostro attivismo: tutto il mondo attende il Messia e lui che fa? Scende a Nazaret e vi resta per trent’anni, «subditus illis»!
Lascio a ciascuno la considerazione sullo sviluppo armonico della nostra umanità, di cui Nazaret potrebbe diventare la cifra. Ho più volte constatato come una vita equilibrata, in salute fisica e spirituale, possa rispecchiarsi anche nelle nostre case canoniche.

  1. Il Cenacolo

Il Cenacolo non è propriamente una “casa di Maria”; è un luogo di passaggio, anzi: trampolino di lancio. Tuttavia, la presenza di Maria, insieme con le altre donne, la rende “casa” (cfr. At 1,14). Il presbitero ha familiarità col Cenacolo: vi entra e vi dimora, vi fa, anzitutto, l’esperienza forte della preghiera.
Diciamo tante preghiere, da soli e insieme ad altri fratelli e sorelle, ma da Maria apprendiamo la preghiera che è indispensabile ascolto e poi, dopo l’ascolto, del generoso “fiat”.
Di solito consideriamo il Cenacolo come il luogo della grande manifestazione dello Spirito Santo. «Si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo e riempì tutta la casa […]. Apparvero loro lingue di fuoco […] ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare…» (cfr. At 2,1-4). Maria era presente, ma è già esperta dell’azione dello Spirito fin dal momento del concepimento verginale. Lo Spirito l’ha santificata. In lei l’Ospite divino ha effuso i suoi doni e la sua fragranza. L’ha resa gravida di Gesù, miracolosamente. In un certo modo Maria è presente al formarsi e al nascere della Chiesa. La tiene, per così dire, a Battesimo.
Nell’Annunciazione e nel canto del Magnificat Maria anticipa l’esperienza della Pentecoste: la nube che l’avvolse, lo Spirito che la possiede e le fa compiere grandi cose, la franchezza e la parresia del suo canto, in cui abbraccia, con uno sguardo semplice ed intero, tutto il mistero, “historia salutis”.
Il presbitero è a suo agio nel Cenacolo, lo conduce Maria, la Vergine delle grazie: lì ha ricevuto la consacrazione, per l’imposizione delle mani.
Come è apparso il nostro desiderio di “fare il prete”? Ognuno sa… Grandi desideri sono balenati all’orizzonte dei cuori. Forse da un’esperienza che ha fatto percepire la bellezza della fede, forse da un’esperienza che ha fatto scoprire la gioia di appartenere a Cristo, che ha fatto intuire la possibilità di una umanità realizzata nel dono di sé agli altri e nella costruzione di una comunità cristiana. “Fare il parroco”: parola molto suggestiva per tanti di noi!
Qualche volta, tuttavia, i timori sono stati più forti dei desideri. Non mancano segnali di vite presbiterali lamentose, insoddisfatte e talvolta persino incoerenti. Fanno soffrire la sensazione di spendersi, in fondo, per delle strutture, la constatazione di come la pastorale tradizionale non tenga più, le sorprese del tempo che scorre veloce comprimendo preghiera e riposo. Giusti timori che pongono interrogativi e persino dubbi sulla qualità del proprio celibato e sulle relazioni superficiali e funzionali nella comunità.
Qualche decennio fa la crisi assumeva il carattere eclatante della nave a sirene spiegate, con il clamore dei media. Oggi la crisi assomiglia alla navigazione nascosta del sommergibile sott’acqua! Non si vede…
Ma la crisi è una parola che può indicare qualcosa di positivo, una presa di coscienza, voglia di cambiamento, superamento di ostacoli.
Oggi Maria ci invita a ripartire dal Cenacolo, a ritrovare lei e la compagnia di coloro che lo abitano: gli apostoli, i discepoli e le donne, ma soprattutto Lui, lo Spirito Creatore, Avvocato e Maestro (oggi diremmo “alleato” e “insegnante di sostegno”), e poi le porte spalancate sulla città degli uomini.
Nel Cenacolo gustiamo «quanto è bello che i fratelli vivano insieme», siamo ricondotti al mistero della Pasqua. È la sala grande e addobbata al piano superiore, in cui si gusta l’Eucaristia, in cui si fa memoria della lavanda dei piedi e dell’istituzione del ministero presbiterale. Nel Cenacolo Gesù ha pronunciato i discorsi di addio, ha rivolto al Padre la preghiera sacerdotale ed ha consegnato il comandamento nuovo, suo testamento.
Nel Cenacolo, apparendo a porte chiuse, supera le titubanze di Tommaso e inaugura la missione con i suoi stessi poteri per la remissione dei peccati: «Come il Padre ha mandato me, così io mando voi» (Gv 20,21).
Se paragoniamo la nostra vita presbiterale al battito del cuore, il Cenacolo rappresenta il primo movimento di raccolta, la missione fuori dal Cenacolo il secondo. Il sangue viene richiamato – per così dire – al suo centro e poi inviato ad irrorare ogni parte del corpo: momenti diversi e successivi, ma inseparabili in un organismo vivo.
Maria ci insegna l’omogeneità tra lo stare con Gesù e l’andare tra gli uomini.

  1. Efeso

Tutto è cominciato quel Venerdì Santo ai piedi della croce: «Gesù, vedendo la madre e lì accanto il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa» (Gv 19,26-27).
Un’imponente tradizione ci conferma che Giovanni prese con sé la Madre di Gesù, prima a Gerusalemme poi a Efeso, la città dell’Asia Minore a cui Paolo indirizzò una delle sue Lettere. Maria accanto al presbitero apostolo, fa famiglia con lui.
Prendiamo Maria nella nostra casa. Non è solo devozione, ma è la prossimità che arricchisce il presbitero della dimensione mariana. Ciò che fa di Maria “Maria” ci è donato. La prima espressione di tale dimensione è quella materna: essere accanto, far crescere, ascoltare con empatia, dare nutrimento, dare vita e dare la vita e scomparire in punta di piedi quando è ora. Essere mariani, in concreto: imparare a ricollocarsi nella trama delle relazioni ecclesiali: fratello tra fratelli e sorelle, a scendere dal piedistallo che a volte ci allontana (presi tra gli uomini per essere costituiti per le cose che riguardano Dio, ma non “uomini del sacro”), a vivere il ministero come servizio (a servizio del sacerdozio regale) sul modello della lavanda dei piedi raccontataci da Giovanni (cfr. Gv 13,1-17), ad integrare gli atti del ministero nella vita spirituale, dentro non dopo! Davvero l’esercizio mariano del ministero plasma la vita spirituale del prete. Il Concilio Vaticano II ci insegna che il ministero non solo esige la santità, ma la favorisce; il modello non è di per sé quello del prete-monaco, ma del prete-pastore; insegna al presbitero l’inserimento nella comunità cristiana e non sopra (cfr. Papa Francesco, “pastori con l’odore delle pecore”, “pastore, non pecoraio”). Al prete è affidata la più autorevole delle parole di Gesù: «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue», ma sono parole che contemplano il timbro corale della comunità, l’Amen. No all’individualismo, ma sempre più in comunione col presbiterio e col vescovo. Triplice il munus – Maria accanto all’apostolo ce lo ricorda –, non sono quello cultuale, ma egualmente quello profetico e quello missionario.
Nazaret, la cura dei rapporti. Il Cenacolo: le ritrovate ragioni della missione. Efeso: il sacerdozio formato mariano. Questo il Signore ci doni per intercessione della Vergine delle Grazie. Così sia.