Omelia IV Domenica di Quaresima

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Chiesa parrocchiale di Soanne (RN) – 6 marzo 2016
 
Gs 5,9-12
Sal 33
2Cor 5,17-21
Lc 15,1-3.11-32

Dopo aver proclamato una pagina così di Vangelo, non diciamo più che il Dio di Gesù è il medesimo delle altre religioni! Certo Dio è uno ed unico, non ve n’è altri. Ma i tratti del volto di Dio come ci vengono presentati, ad esempio in questa pagina, sono di una tale originalità e singolarità da stupirci ogni volta; ci fanno esclamare con audacia e confidenza: «Papà!». Un Dio che eccede nell’amore e nella misericordia, che sorprende, turba, disarma, converte, conquista, abbraccia, fa crescere. Una eccedenza che mette in difficoltà la teodicea stessa. Nell’Islam vengono proclamati con devozione i novantanove nomi di Dio; il centesimo – dice la loro tradizione – verrà svelato in paradiso… Ai cristiani è svelato ed è motivo e senso della loro vita: essere figli!
Ci vuole coraggio ad esser figli. Talvolta è più comodo esser serviccolo; prepariamo il suo ritorno; prendiamoci cura di lui. Fagli da padre e da madre.a dire: mettiti con me; cerchiamo il più p: «hai meno responsabilità; esegui e sei a posto; se rompi paghi; hai le tue ore di reperibilità e per il resto sei libero». Oggi siamo invitati a considerare il nostro grado di coinvolgimento nella relazione filiale. Lo possiamo fare rileggendo più volte la parabola del Figliol prodigo (più esattamente del Padre misericordioso).
Gesù presenta un papà giovanile, intraprendente, dal cuore grande e, soprattutto, capace di suscitare gioia, fino ad organizzare una festa coi fiocchi, dove c’è buona musica e si balla: su, presto, facciamo festa! In tutto il capitolo il termine gioia appare ben nove volte. Ci avviciniamo al padre da due punti d’osservazione: da quello del figlio più giovane e da quello del figlio maggiore. Il figlio più giovane vuole la sua parte di eredità; di solito la divisione del patrimonio avviene alla morte del genitore: simbolicamente quel figlio ha decretato la morte di suo padre. Vuole la sua parte per essere autonomo ed emancipato. Scoprirà ben presto che un conto è il divertimento, un conto la gioia. L’esplosione completa della gioia si avrà al suo ritorno, quando cadrà tra le braccia del padre. Il padre che, a malincuore, l’ha lasciato partire, ora lo accoglie senza risentimento. Ci domandiamo: perché il padre ha accettato la partenza del figlio? Il narratore – Gesù – ha messo abilmente in moto la nostra curiosità. Del padre vorremmo sapere tutto: i suoi sentimenti, i pensieri del suo cuore, la passione che scuote la sua compostezza orientale… Ma la gioia del padre è improvvisamente freddata dall’atteggiamento del figlio maggiore indispettito per il ritorno del fratello. Probabilmente non ha mosso un dito per rintracciarlo, tenere i contatti (non è questo quello che solitamente fa il fratello maggiore?) e adesso non si lascia coinvolgere nella festa. Il padre lo disarma: Figlio, tutto quello che è mio è tuo. Se questo è vero per i beni patrimoniali, non sarà altrettanto per i beni affettivi e spirituali? Il padre sembra dire: mettiti con me; cerchiamo il più piccolo; prepariamo il suo ritorno. Fagli da padre e da madre. A proposito: in questo racconto “di famiglia” manca del tutto la figura femminile. Alcuni commentatori la rintracciano in quella commozione viscerale del padre, espressa dall’evangelista col termine greco che indica il grembo materno.
Due notazioni conclusive. Riguardo al figlio minore: anche nell’ultimo naufragio (senza amici e compagnia, completamente al verde, lontano, tra i pagani e guardiano di maiali, a pancia vuota) rimane nel cuore un santuario di nobiltà: allora rientrò in se stesso; e nel fondo di sé il figlio trova l’immagine del padre.
Riguardo al figlio maggiore: l’uomo dei rimpianti, onesto e infelice; non ama quello che fa, lo subisce e il cuore è assente. Vive da salariato, non da figlio! Ci vuole coraggio ad essere figlio. Ci vuole coraggio ad essere fratello!