Omelia di Natale – Messa della Vigilia

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Is 62,1-5
Sal 88
At 13,16-17.22-25
Mt 1,1-25

1.
«È apparsa la grazia di Dio che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà» (Tt 2,11).
A Natale, come ogni volta, stupore, incanto, gioia. Ma qual è il messaggio del Natale? Che cosa significa che Gesù viene chiamato “il Salvatore”? Quali contrasti contiene il brano evangelico appena letto? E quali sono i motivi della lode?
«Signore che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo concedici di avere una comprensione profonda di questo mistero abbagliante. Donaci una intelligenza spirituale degli eventi che celebriamo in questa notte, come già Francesco d’Assisi, Ignazio di Loyola, Caterina Vegri… (cfr. Colletta del Natale del Signore – Messa della notte).
Noi facciamo parte di quel popolo di cui scrive il profeta Isaia, «popolo che camminava nelle tenebre e ha visto una gran luce»; un popolo che abita in terra tenebrosa, ma sul quale rifulge una luce (cfr. Is 9,1), «perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio… Questo farà lo zelo del Signore» (Is 9,6).

2. Il racconto di quella nascita non inizia con un vago «Una volta…», ma c’è un preciso riferimento; siamo al tempo di Cesare Augusto. Per un attimo sembra di respirare l’aria serena della “Pax romana”. Ma è solo un attimo, perché in realtà la nascita del Messia avviene in un contesto drammatico, segnato da un clima di tensione e di povertà. Non si sa esattamente quando e come fu organizzato quel censimento, ma certamente fu vissuto dalla gente come l’ennesima umiliazione nazionale. I censimenti, infatti, servivano ad inasprire le imposte e quindi riaffermavano la sottomissione della nazione ebraica ai pagani. I censimenti, inoltre, comportavano non pochi disagi, lunghi viaggi e scarsità di alloggi, tanto che Giuseppe fu costretto a portare Maria a partorire in una stalla, perché non c’era posto per loro nell’albergo. Il bambino che nasce a Betlemme non è un potente che abita in un castello, ma un ebreo come tutti gli altri; fin dalla sua venuta al mondo condivide la loro difficile condizione e storia.

3.
I primi a riconoscere Gesù e ad accoglierlo sono i rozzi pecorai, esclusi dalla sinagoga e dai tribunali. Viene loro rivelato tutto quello che Israele attendeva da tempo: «È nato nella città di Davide un salvatore che è il Cristo Signore». È l’evento decisivo della storia della salvezza, per questo esplode il canto: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama».
I pastori, dopo un attimo di «grande spavento», si mettono in cammino per cercare colui che era stato loro annunciato. Lo cercano e lo trovano. Trovano un re venuto al mondo nel suo palazzo, circondato dai suoi servi? No, erano stati avvertiti che avrebbero trovato un bambino avvolto in fasce che giaceva in una mangiatoia. In un mondo in cui i potenti si consideravano semi-dei, il Messia si presenta come uno di loro pecorai, non è un potente ma un povero, è uno che abita il disagio e la precarietà.

4. I pastori provano un gaudio interiore così grande da sentire il bisogno di renderne partecipe la gente di Betlemme: «Dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro». Il loro incontro con Gesù si converte in urgenza missionaria, diventano i primi testimoni di Gesù. I pastori erano stati guidati dagli angeli, ma chi porge loro il Bambino? Maria e Giuseppe. Gesù, non lo incontrano da solo, ma in una famiglia che lo ha accolto e custodito. E non lo trovano da soli, con un percorso solitario, ma grazie ad una piccola comunità, che, come Maria, fa memoria degli eventi salvifici e ne cerca il senso «meditandoli nel suo cuore». Così noi in questa notte…