Omelia Festa del Battesimo di Gesù

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Cattedrale di San Leo, 11 gennaio 2015

1. “Venite all’acqua”(Is 55,1).
Gesù ha un rapporto particolare con l’acqua! Scende al fiume per farsi battezzare da Giovanni. Sulle rive del lago inizia il suo ministero, sceglie i primi discepoli e pronuncia indimenticabili parabole. Quattro tra gli apostoli sono pescatori. Gesù cammina sulle acque e invita Pietro a fare altrettanto. Va alla piscina di Betzaeta. Promette ricompensa per un bicchier d’acqua fresca offerto ad un fratello. Sulla croce grida: «Ho sete» (Gv 19,28). É vero: ha cambiato l’acqua in vino, ma per significare l’unità dei segni che testimoniano di lui: l’acqua e il sangue. Al pozzo di Giacobbe dice alla samaritana: «Io sono acqua viva» e durante la festa delle Capanne grida: «Chi ha sete venga a me e beva!» (Gv 7,37).
Certamente Gesù aveva presenti i testi di Isaia: «Venite all’acqua e chi non ha denaro venga lo stesso; venite bevete» (Is 55,1-2). E ancora: «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fatta germogliare perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola» (Is 55,10-11). Le acque nel loro movimento, effettivamente, assomigliano alle parole: scendono, penetrano, vivificano. Gesù voleva le sue parole come acque correnti: dette, ascoltate, vissute, distribuite. Non le ha scritte. Non ha avuto né segretari, né stenografi. Il discepolo veniva invitato a trattenerle col cuore e la mente. Non ha pensato di rinchiuderle in un rotolo di pergamena… Sapeva che vale di più la parola detta che scritta, con voce pacata o impetuosa che sia, ma sempre coinvolgente. Ignoriamo il timbro della voce di Gesù (non c’è registrazione!). Persino le lingue parlate da lui sono scomparse (l’ebraico e l’aramaico). Che dire del lieto messaggio, l’«Evangelo»? Annunciato coi fatti prima che con parole: una cascata! Ma fu necessario raccogliere l’«Evangelo» nei vangeli scritti: acque conservate per noi. I vangeli sono stati scritti per noi, per non dimenticare le parole di colui che ha promesso che dal seno di chi crede scaturiranno fiumi d’acqua viva (cfr Gv 7,38). «Un fiume e i suoi ruscelli rallegrano la città di Dio» (Sal 46,5).

2. Torniamo alle acque del Giordano, mentre Gesù compie il gesto profetico che anticipa la sua morte e risurrezione: la discesa nelle acque del fiume Giordano, l’alba del patto d’amore che ci mette sulla via della Pasqua.
«O se tu squarciassi i cieli e scendessi» (Is 63,19): oggi, festa del Battesimo del Signore, riecheggia quel grido. C’è una discesa. Che cos’è il Battesimo di Gesù se non una discesa nelle acque, una totale immersione?
Ma ci fu una prima discesa del Figlio di Dio nell’umanità. Fu al momento dell’incarnazione: Gesù è messo al mondo, per il mondo. E poi scende tra i peccatori per farsi battezzare. Si immerge nel più profondo della condizione umana quando, benché innocente e senza peccato, assume la responsabilità del nostro peccato.
Non metterà alcun limite alla sua missione di Salvatore discendendo negli inferi, là dove l’uomo viene trascinato dal peccato e dalla morte. Così diciamo nella professione di fede: «Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo», e più avanti: «discese agli inferi».
I cieli si aprono: è la conferma che si sta compiendo il mistero e la promessa. Dio dal suo cielo entra nella terra, scende per innalzare: è la sua “catabasi” – come dicevano i padri antichi – e all’uomo è dato di risalire a Dio attraverso Gesù (anabasi). Alla grazia di Dio noi rispondiamo con il rendimento di grazie.
La scena del battesimo ci parla di Dio più di quanto immaginiamo. C’è la voce del Padre che dichiara; c’è il Figlio che viene presentato; c’è la colomba, figura dello Spirito che scende su Gesù. Così Dio si rivela apertamente, più di quanto ha fatto con i pastori di Betlemme, più di quanto ha detto ai Magi con la stella. Anche se in questo brano non viene nominato il termine “Trinità” – verrà usato più tardi nella riflessione teologica – qui abbiamo la piena rivelazione del Dio cristiano: amore del Padre, missione del Figlio, consacrazione dello Spirito.

3. Realtà stupende! Ma noi siamo in cammino. Veniamo da una settimana tremenda.
La strage jihadista al giornale satirico Charlie Hebdo, a Parigi, ha causato 12 vittime e tanto smarrimento e insicurezza. Il tutto è accaduto in una modalità e con una efferatezza da farci sentire in una trincea. Ma non possiamo permetterci di perdere la speranza. L’Islam inautentico dei terroristi vuole lo scontro tra “in-civiltà”. L’assassinio si accompagna non alla presenza ma all’assenza di Dio, anzi alla sua negazione. L’intenzione è evidente: porre nel cuore dell’Europa la violenza senza legge. Ma l’Europa ha da mostrare che la speranza del mondo è l’integrazione. La sua missione è ricomporre i pezzi in un quadro di pace per tutti i popoli e tra tutti i popoli; nel rispetto reciproco tra religioni, culture, civilizzazioni.
È questa l’Europa che vogliamo. Il mondo che vogliamo.
Ci uniamo a quanti chiedono una esplicita e convincente condanna del terrorismo da parte del mondo islamico, ma chiediamo anche rispetto per la fede di tutti e il rifiuto di ogni derisione.
Ma il sole sorge ancora sull’umanità.